Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
Ph: Gustavo Alfredo García Figueroa
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Stessi paesaggi, differenti passaggi

Riflessioni sulla frontiera alpina franco-italiana

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“Ma la frontiera tra Francia e Italia esiste davvero?”

Da piccola sono andata in Costa Azzurra in camper passando per Ventimiglia e, se non fosse stato per i cartelli in un’altra lingua, non avrei capito che mi trovavo in un altro paese: il mare era lo stesso, la strada pure, il paesaggio rimaneva immutato. Nessuno ci aveva fermato alla dogana: anni dopo avrei scoperto che questo era dovuto a Schengen e alla libertà di circolazione tra paesi aderenti. E, con disgusto, avrei anche appreso che tale libertà era un privilegio dovuto a un semplice pezzo di carta – un passaporto “forte”, un visto valido, un titolo di viaggio, una semplice carta d’identità come la mia. 

PH: Gustavo Alfredo García Figueroa

La frontiera è visibile per alcuni e invisibile per altri. Per me, quella franco-italiana è sempre stata invisibile. Per le persone in movimento sul confine alpino, tra Claviere e Monginevro, è visibile e tangibile: nella torcia della polizia che ti viene puntata addosso la notte come fossi un animale pericoloso, nei segni sul corpo lasciati dal freddo e dal camminare nella neve, ché la strada principale non la puoi fare ma devi passare dalle montagne, nella stanchezza e la frustrazione di camminare ore per poi essere respinto e dover riprovare, daccapo 1.

In quella terra di frontiera, dove sciatori con giacche di marca si muovono accanto a persone con i cosiddetti passaporti “deboli”, un pomeriggio faccio una passeggiata per comprare le cartine, mi trovo sul lato italiano. Dal tabaccaio ho davanti due ragazzi francesi che comprano stecche di sigarette. Il tabaccaio parla un francese perfetto ed è gentilissimo. Passano almeno 5 minuti interi in cui devo avere un’espressione interdetta se non contrariata, tanto che il tabaccaio mi dice, scusa, pensavo fossi con loro, altrimenti ti avrei fatto passare. In realtà stavo pensando all’(in)visibilità delle frontiere. Perché loro (noi?) possono attraversare il confine così facilmente? Che diritto hanno (abbiamo!) più di altri? Povero tabaccaio, non poteva sapere che avessi in testa.

PH: Gustavo Alfredo García Figueroa

Se la frontiera è visibile per le persone in movimento, viceversa le persone in movimento sono visibili per la frontiera: i gruppi di persone con i tratti fenotipici differenti, i passaggi alternativi alla strada catturati da binocoli attenti a ogni movimento. Si tratta di quell’apartheid descritto da Balibar, in cui i confini differenziano le persone che godono di un surplus di diritti da quelle respinte dalla linea del colore 2. Ed è così che le persone in transito devono mettere in atto una performance di confine: vestirsi “bene,” da Occidentali, mischiarsi e confondersi con gli sciatori di giorno o approfittare del buio della notte, insomma fare di tutto pur di non aver scritto “migranti” sulla fronte. Muoversi nell’invisibilità.

In montagna si può morire e chi ci vive (o come me ci è cresciuto) lo sa bene: bisogna essere ben equipaggiati per il freddo, per la camminata, guardare le previsioni del tempo, sapere dove andare. Per le persone in movimento in questa frontiera, non è una scelta di una gita domenicale. Il regime di confine costringe le persone ad affrontare ore di cammino in sentieri sconosciuti a volte la notte a volte al freddo, con la paura della polizia e dei respingimenti. Per gli effetti necropolitici delle pratiche messe in atto dal regime di confine, le persone in movimento sono messe nelle condizioni di essere esposte alla morte  3: come succede a Blessing nel 2018, caduta nel fiume della Durance mentre veniva inseguita dalle forze dell’ordine o a Fathallah, trovato morto a inizio 2022 al Barrage del Freney, vicino a Modane 4. Come molti, avevano provato ad attraversare dal Colle del Monginevro e, come altri, di confine ne sono morti. E a noi con il passaporto “forte” ci bastano pochi minuti di automobile sulla strada principale.

Ho percorso quel tratto di confine in auto più volte, come i ragazzi della stecca di sigarette francesi, e di nuovo, come da piccola, a cambiare sono solo i nomi dei cartelli (neanche troppo, perché in realtà l’ultimo paese italiano prima della Francia ha un nome che suona così francese…). 

Stessi paesaggi, differenti passaggi

Il discrimine: un pezzo di carta inventato da un regime di mobilità che disegna una linea tra chi attraversa confini “legalmente” da chi non lo può fare, da chi passa dalla dogana a chi cammina per ore nascosti tra le alture. Un pezzo di carta costruito da un sistema di confini a sua volta costruito che divide chi è migrante, illegale, clandestino da chi è viaggiatore, expat, business man; che decide che i primi sono corpi sofferenti, vulnerabili, criminali, terroristi, arretrati mentre i secondi sono spiriti liberi, coraggiosi, intraprendenti, avventurosi. Come suggerisce Khosravi, siamo tutti viaggiatori, ma è il regime di mobilità ad aggiungere l’attributo di regolare o irregolare 5.

Se l’(ir)regolarità della mobilità così come la potenza del pezzo di carta è prodotta, sta a noi decostruire tutto questo giorno dopo giorno, pur rimanendo consapevoli dell’esistenza delle frontiere e dei loro effetti: sfruttare il privilegio dell’invisibilità che i confini hanno per noi e riconoscerne (e combatterne) la visibilità per altri. Nelle parole di Anzaldúa, dobbiamo essere “incrocio”:

To survive the Borderlands
you must live sin fronteras be a crossroads
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  1. Per approfondimenti sul contesto della frontiera alpina franco-italiana, gli ultimi report dell’associazione Tous Migrants; Pratiques policières du contrôle de la frontière (Novembre 2021 – Novembre 2022); L’accueil des personnes exilées dans le Briançonnais et dans les Hautes-Alpes : constats, initiatives et perspectives
  2. Balibar, Étienne. 2002. Politics and its other scene. New York: Verso
  3. Mbembe, Achille. 2003. «Necropolitics». Public Culture
  4. Si ritorna a morire alla frontiera nord ovest delle Alpi, Medici per i diritti umani (febbraio 2022)
  5. Khosravi, Shahram. 2008. «The ‘Illegal’ Traveller: An Auto-Ethnography of Borders*: THE ‘ILLEGAL’ TRAVELLER». Social Anthropology 15 (3): 321- 34
  6. Anzaldúa, Gloria. 1987. Borderlands / La Frontera: The New Mestiza. 4° edizione (2012). San Francisco: Aunt Lute Books. pp. 216-7

Sara Minolfi

Laureanda magistrale in Peace and conflict studies all’Università di Torino. Come studentessa, attivista e aspirante ricercatrice, mi occupo di confini e delle persone che li attraversano nonché delle interconnessioni tra cambiamenti climatici, migrazioni e conflitti.