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Sviluppo psicofisico del minore. Rilascio autorizzazione alla madre per assistenza minori e convertibilità del permesso in motivi di lavoro

Tribunale per i Minorenni di Milano, decreto del 22 marzo 2023

Photo credit: Raffaello Rossini

Il Tribunale per i Minorenni di Milano ha fatto il punto circa i presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per assistenza minori ex art. 31, comma 3, D.lgs. n. 286/1998, i suoi effetti e possibilità di conversione in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

Secondo il Collegio la Suprema Corte, da ultimo nella sentenza Cassazione civile sez. I, 04/06/2018, n. 14238, ha ribadito che «la pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 21799 del 25/10/2010, cui ha fatto seguito la costante giurisprudenza di questa Sezione, ha chiarito che siffatta autorizzazione [ai sensi dell’art. 31, comma 3 del dlgs. n. 286/1998] non richiede necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla salute del minore, ma può comprendere qualsiasi danno effettivo ed obiettivamente grave che deriva o deriverà allo stesso dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto, in considerazione della sua età o delle sue condizioni di salute sia fisica che psichica (Cass. n. 2648/2011; n. 13237/2011; n. 14125/2011, par. 2; Cass. 17739/2015, par. 9; n. 24476/2015, riv. 638154-01; n. 25419/2015, rv. 638177-01; n. 4197/2017; n. 29795/2017, par. 5). Il giudice del merito, in altri termini, è chiamato ad accertare la sussistenza di “gravi motivi” basati su una situazione oggettiva attuale o futura dedotta, (attraverso un giudizio prognostico, quale conseguenza dell’allontanamento improvviso del familiare (Cass. n. 17861/2017, rv. 645052-01)».

La medesima pronuncia della Cassazione ha altresì indicato che «l’art. 31 cit. delinea […] due distinte situazioni giuridiche soggettive: da un lato, il diritto del minore ad avere l’assistenza e la cura del proprio familiare in Italia; dall’altro, il diritto del familiare a dare assistenza al minore stesso, in ragione della tutela di “quel particolare bene della vita costituito dall’unità della famiglia e della reciproca assistenza tra i suoi membri” (Cass. n. 21799/2010). Si tratta di due posizioni complementari, di cui quella del familiare subordinata a quella del minore, titolare di un interesse che, infatti, costituisce l’oggetto primario della tutela apprestata dalla disposizione in esame, come risulta dalla sua rubrica (“Disposizioni a favore dei minori”) e, ancor più significativamente, dall’essere la valutazione sulla sussistenza dei “gravi motivi” rimessa all’apprezzamento del Tribunale per i minorenni. Ne deriva che l’interesse del familiare ad ottenere l’autorizzazione all’ingresso o alla permanenza nel territorio nazionale riceve tutela in via riflessa, ovvero nella misura in cui sia funzionale a salvaguardare lo sviluppo-psicofisico del minore, che è il bene giuridico protetto dalla norma nonché la ragione unica del provvedimento autorizzatorio»; inoltre la Suprema Corte nella sentenza del 05/03/2018, n.5084 stabilisce che «la valutazione del danno, conseguente all’allontanamento dei genitori o dallo sradicamento del minore, deve essere fondata su un giudizio prognostico che non trascuri in primo luogo la sua età, il grado di radicamento del nostro Paese, e le prospettive, riferite agli anni immediatamente successivi (trattandosi di misura temporanea, revocabile o rinnovabile), di concrete possibilità di rapporto con i genitori nell’ipotesi del rimpatrio dei medesimi».

Nel caso di specie, sono stati ritenuti sussistenti gli estremi di cui sopra in quanto l’allontanamento della ricorrente dal territorio italiano determinerebbe gravi ripercussioni nella dimensione di vita attuale e nella prospettiva di un armonico sviluppo psicofisico delle figlie derivanti dallo sradicamento e dal conseguente trasferimento forzato nel Paese di origine, che è caratterizzato da una situazione di estrema precarietà e di elevata criminalità. La permanenza della madre in Italia consentirebbe la stabilizzazione economica dell’intero nucleo familiare e la sua completa e definitiva integrazione, valutato il già avvenuto radicamento delle figlie sul territorio ove hanno avviato il percorso formativo.

I giudici, infine, hanno precisato che il permesso di soggiorno per assistenza minori consente lo svolgimento di un’attività lavorativa e l’iscrizione del nucleo familiare al Servizio Sanitario Nazionale, “in quanto una diversa conclusione contrasterebbe in modo insanabile con i presupposti e le finalità specifiche della norma citata” nonché  la sua convertibilità in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, ove ne ricorrano i presupposti (art. 6 D.lgs. n. 286/1998, novellato dall’art. 1, comma 1, lett. b), D.L. 21 ottobre 2020, n. 130, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 173).

Si ringrazia l’avv. Lorenzo Chidini per la segnalazione e il commento.