Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
Il Palamilone di Crotone svuotato. PH: Ottavia Segalla

Cutro non è un decreto, Cutro è una strage

Un aggiornamento a tre mesi dal naufragio di Steccato di Cutro (KR)

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di Ottavia Segalla, Martina Gentile, Silvia Di Meo, Valentina Delli Gatti, Yasmine Accardo

Cimitero delle Serre a Cutro dove sono stati seppelliti gli ultimi 7 corpi non identificati del naufragio del 26.2.2023. PH: Martina Gentile 

A tre mesi dalla strage dello scorso 26 febbraio, non solo si attende che si chiariscano le cause e le responsabilità di un crimine ancora impunito ma restano sottintesi ed invisibilizzati gli effetti che, a partire da questo naufragio, riguardano tutti coloro che ogni giorno spariscono nel silenzio nel mar Mediterraneo lontano dalle camere parlamentari.

Dopo che i riflettori mediatici si sono spenti e l’attenzione su un evento così drammatico è progressivamente calata, non possiamo né dimenticare né trascurare gli effetti di quanto accaduto che coinvolgono tante persone, sia direttamente che indirettamente. 

La promulgazione del cosiddetto “Decreto Cutro” – che preferiamo chiamare Piantedosi o Meloni in onore dei loro responsabili – ha strumentalizzato la strage per implementare politiche ancor più securitarie nell’accesso ai diritti per le persone migranti, ma anche il destino di quelle persone che quel 26 febbraio hanno sfidato la frontiera e hanno trovato violenza e morte. 

Il destino dei superstiti e delle vittime di Cutro

In questi mesi abbiamo continuato a mantenere contatti e relazioni con i familiari e i sopravvissuti, cercando di supportali anche a distanza nelle loro richieste. 

Per quanto riguarda i superstiti del naufragio sono 76 le persone che hanno fatto richiesta di protezione internazionale: 18 l’hanno chiesta all’Italia (15 di nazionalità pakistana, 2 di nazionalità afghana e 1 di nazionalità iraniana) e sono attualmente ospitati presso centri del Sistema Accoglienza e Integrazione (SAI); 5 minori stranieri non accompagnati sono collocati in strutture per minori. 

53 richiedenti protezione internazionale in paesi diversi dall’Italia (49 Afghani, 2 Siriani, 1 Iraniano, 1 Somalo) hanno aderito al programma di ricollocazione volontaria, di questi 53, 14 si sono allontanati autonomamente.

La posizione di altre 39 persone è stata esaminata dalle autorità tedesche, che hanno ammesso al programma di ricollocamento 33 persone (29 Afghani, 2 Siriani, 1 Somalo, 1 Iraniano), e sono partite per la Germania a fine marzo.

Il numero esatto di dispersi ancora non si conosce ma dovrebbero essere alcune decine di persone di nazionalità differenti. Tra questi c’è anche un bambino di 5 anni.

Sepoltura di una vittima del naufragio di Cutro. Cimitero delle Serre. PH: Martina Gentile

Le vittime accertate del naufragio sono 94. L’ultimo cadavere è stato rinvenuto il 15 aprile a Praialonga. La maggioranza dei corpi sono stati rimpatriati nei paesi di origine, molti sono stati sepolti negli attuali paesi di residenza delle famiglie che vivono in Europa (Germania, Svezia, Danimarca, Finlandia), alcuni sono stati sepolti a Crotone e a Cutro, altri nel cimitero musulmano di Bologna.

Al cimitero delle Serre a Cutro sono state deposte – e non sepolte – per lungo tempo 11 salme. Successivamente 4 sono state trasferite: una bambina, non identificata, è stata sepolta a Paola per accordi tra il Ministero dell’Interno e la procura sotto richiesta del Comune di Paola; 2 salme sono state identificate e hanno avuto autorizzazione per rimpatrio in Afghanistan: quella di Mohamed e quella di Zainal, bimba nata nel 2019. Della quarta salma non sono state raccolte informazioni.

Le 7 salme rimanenti, tutte non identificate, sono state inumate nel cimitero delle Serre di Cutro pochi giorni prima della fine del mese del Ramadan. Tra loro ci sono almeno 3 bambini.

Le operazioni di comparazione del DNA dei familiari con quello delle salme –  iniziate solo dopo diverse settimane dalla strage a causa della tardiva autorizzazione della Procura di Crotone – dipendono dall’ufficio della scientifica di Palermo che sta attualmente lavorando alla comparazione dei campioni del materiale genetico. 

Ad aprile le ricerche dei dispersi erano ancora attive ed è stato recuperato il motore del caicco affondato. La base di ricerca si è spostata a Le Castella, mentre il Palamilone – che per settimane è stato il fulcro del dolore e della lotta delle famiglie – è vuoto e in fase di ristrutturazione.

L’ultima volta che le attiviste di Mem.Med si sono recate sul luogo del naufragio, ancora rimanevano molti indumenti e pezzi della barca lungo la spiaggia di Steccato di Cutro.

Dalla battigia non sono mai stati raccolti e archiviati i reperti della strage: scarpe, oggetti personali, zaini, borse, indumenti ricoprono ancora quella costa, come nei giorni di marzo quando eravamo solite percorrere quella battigia con i familiari, cercando in mare e in terra tracce di dispersi. Oggetti lì depositati dal mare, simbolo macabro dell’abbandono delle vittime della frontiera. Tracce di vite e di storie ancora disperse tra le onde e la sabbia dove probabilmente resteranno inabissate.

La memoria di una strage: non chiamatelo decreto Cutro 

Eventi come quello del naufragio di Cutro incidono mediaticamente appena il tempo di una tempesta. Ciò che resta, invece, tra quei relitti tutt’oggi depositati sulla battigia della spiaggia e l’intimo dolore arrecato a chi ne sopravvive, è una formula politica che prosegue indisturbata a oltraggiare la memoria delle vittime e la dimensione catastrofica che dispiega.

Cimitero di Crotone, salma KR3. PH: Ottavia Segalla

Un decreto propagandistico, che porta il nome di una simile strage, violentemente annunciato il 13 marzo scorso proprio in quei giorni di shock, a Cutro, il luogo del delitto, e convertito recentemente nella legge 5 maggio 2023, nel tentativo di nascondersi sotto narrazioni criminalizzanti e logiche securitarie che continuano a strumentalizzare la morte delle persone migranti per costruire dispositivi frontalieri sempre più stretti e non solo. Un decreto che alza muri sulle possibilità di regolarizzazione, di fatto demolendo la protezione speciale; decide di aumentare il numero di centri di detenzione amministrativa (CPR), riportando i tempi di trattenimento a sei mesi. Un decreto da cui ci aspettavamo l’ampliamento delle possibilità di canali umanitari e  che invece aggredisce con maggiore ferocia la libertà di movimento delle persone, consegnandole all’abuso, all’umiliazione ed alla morte. Un decreto killer.

Blocchi navali, finanziamenti autoritari e militari, armi da guerra, persecuzione violenta e ripetute discriminazioni sostituiscono la già debole pagina legislativa relativa alla protezione internazionale e alla dignità delle persone migranti.

Lo abbiamo già gridato a Cutro mentre una passerella di auto conduceva i ministri al meeting del Consiglio: non solo non possiamo considerare legittimo un decreto che anziché scongiurare altri naufragi e morti, li utilizza per criminalizzare le persone migranti;ma soprattutto in quanto promotore di un regime della mobilità che alimenta le probabilità che questi accadano.

Nel mar Mediterraneo, in acque internazionali, quelle libiche, tunisine, maltesi, italiane, greche, si continua a morire ogni giorno, malgrado ciò gli sforzi per evitarli sono nulli e addirittura contrari. 

E’ sempre di pochi minuti prima l’ultima notizia che precede quanto riportiamo. C’è sempre una nuova, un’ultima strage da testimoniare, da raccogliere e raccontare. 

La presunta guardia costiera tunisina, le motovedette italiane e le navi di soccorso in mare non smettono di recuperare cadaveri dall’inizio dell’anno. Eppure nessuna norma o disposizione politica mira a mettere in atto azioni efficaci per evitare che donne, uomini e bambini corrano il rischio di annegare in mare.

Il 23 maggio scorso, a tre mesi dalle dichiarazioni incerte e contraddittorie di Frontex su Cutro, il direttore esecutivo Hans Leijtens, si è pronunciato ancora nel tentativo di infangare a pieno potere la morte delle oltre 100 persone che non furono soccorse. 

«Se avessimo avuto le stesse informazioni che avevamo allora, ci comporteremmo esattamente nello stesso modo», ha affermato senza minimamente dimostrare segni di cedimento sulle responsabilità che l’Agenzia e il governo italiano avrebbe su questa e tutte le altre stragi. 

Parole come quelle pronunciate da Leijtens non sono solo parole ma fatti concreti che rappresentano l’ennesima negazione alla vita spezzata perché considerata nulla, perché non desiderata. Le dichiarazioni di Frontex costituiscono il fango che trascina via ogni segno di giustizia che proviamo a delineare da quella notte. Dichiarare di “aver fatto tutto il possibile” è una condanna a morte per tutte le altre stragi che avverranno sotto l’occhio vigile del controllo repressivo che resta a guardare impunito. 

Cimitero delle Serre a Cutro, tumulazione dei 7 corpi non identificati. PH: Martina Gentile

Fare tutto il possibile per salvare vite umane non si limita, infatti, a segnalare un’imbarcazione suscettibile di trovarsi in difficoltà – perché lo è a prescindere – ma vuol dire scongiurare in ogni modo possibile che qualcosa di terribile accada. 

Fare tutto il possibile per salvare vite umane non si esaurisce nel controllo di chi è in mare per respingerli come criminali ma prevede l’immediato soccorso per riportarli a terra, nonostante le condizioni avverse, soprattutto in condizioni avverse. 

E non è stato fatto. Non è stato fatto tutto il possibile per salvarli ma si continua a fare di tutto per reprimerli. 

Quante stragi  ancora ci saranno prima di capire che le retoriche e le pratiche che credono di far credere che questo decreto e tutto il meccanismo necro politico non impediranno alle persone di partire?

Cutro non si dimentica, Cutro resta nel dolore di chi con molta probabilità solo ora inizia a processare quanto ha perduto e vissuto. Cutro non è solo un decreto, non è solo una strage. È la testimonianza di molte più numerose altre stragi che an-negano la vita quotidianamente, nel dimenticare e nascondere la morte. 

Cutro è la memoria che tessiamo per restare vigili e impedire che altre così avvengono ancora. Una memoria che attraversa il Mediterraneo per giungere anche dove la spettacolarizzazione delle stragi è sempre stata legge. 

Il naufragio di Cutro costituisce una pietra di paragone per tutti gli altri naufragi a venire, non solo perché esito di politiche che le producono ma perché, a differenza dei molti altri avvolti dal silenzio, è possibile raccontarlo. 

Continueremo a raccontare, per rispondere alla narrazione e alla persecuzione politica delle persone migranti con atti concreti volti alla denuncia e al supporto delle famiglie delle persone morte e disperse nel Mediterraneo, attraverso un esercizio di memoria viva e attiva che sia alla ricerca di verità e giustizia per tutte le vittime di frontiera. Continueremo a batterci insieme a tutte le persone in cammino per la libertà di movimento. 

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Mem.Med

Mem.Med - Memoria Mediterranea si occupa di ricerca e identificazione delle persone disperse nel Mar Mediterraneo, fornendo supporto legale e psico-sociale alle famiglie che cercano verità e giustizia. Mem.Med si occupa di monitorare e denunciare le violenze della frontiera e di costruire una memoria collettiva su quanto accade alle due sponde del Mediterraneo.