Il 4 e 5 maggio 2023 si è tenuta la seconda edizione degli Stati Generali sulla Detenzione Amministrativa al Teatro Officina di Milano 1. A partecipare, non solo avvocatə, realtà associative italiane ed estere per la difesa dei diritti delle persone trattenute e per la chiusura dei CPR, ma anche figure della Magistratura, della ricerca accademica e del mondo artistico-teatrale.
Una riflessione multidisciplinare 2 che ha abbracciato tanti e diversi aspetti di un regime di deprivazione che mette in discussione le libertà di tuttə, su cui è importante ragionare in termini anche emotivi, empatici e relazionali.
Oggetto delle due giornate: l’impianto normativo che inquadra il trattenimento della persona straniera ai fini del rimpatrio e non solo, in particolare le introduzioni del decreto 20/2023 recentemente convertito in legge; le condizioni di vita all’interno dei luoghi di privazione della libertà delle persone migranti in Italia e in Europa, attraverso il confronto con casi studio in Austria, Francia e Grecia; il racconto di Daniel Buraschi ha invece offerto un esempio dirompente su come l’attivismo migrante nelle Isole Canarie ha incontrato la solidarietà locale e rotto il “blocco migratorio” imposto dalle politiche governative. Un esempio che ha aperto, in ultimo, alla riflessione su opportunità, strategie e limiti dell’attività di monitoraggio e sensibilizzazione da parte delle organizzazioni della società civile.
Che cos’è la detenzione amministrativa?
Si tratta della privazione della libertà personale di un individuo sulla base di un provvedimento amministrativo, anziché penale. Si applica alle persone straniere in situazione irregolare in Italia soggette a un provvedimento di espulsione e, sotto una serie di condizioni, anche alle persone richiedenti protezione internazionale 3.
Il presupposto della detenzione non è dunque la commissione di un reato, a differenza di quanto sostenuto, per ignoranza o per manipolazione volontaria della realtà, da vari esponenti politici, di cui solo un esempio sono le parole dell’assessore alla sicurezza del Comune di Milano Marco Granelli, che in un’intervista a Radio24 afferma «ci vogliono i rimpatri e ci vogliono i Cpr perché chi delinque deve pagare la pena» 4.
Su questa pratica, il Garante nazionale per le persone private della libertà personale scrive:
«la detenzione amministrativa assume nella prassi prevalentemente i tratti di un meccanismo di marginalità sociale, confino e sottrazione temporanea allo sguardo della collettività di persone che le Autorità non intendono includere, ma che al tempo stesso non riescono nemmeno ad allontanare. (…) Come se l’individuo smettesse di essere persona con una propria totalità umana da preservare nella sua intrinseca dignità, dimensione sociale, culturale relazionale e religiosa per essere ridotta esclusivamente a corpo da trattenere e confinare» 5.
Concetti che riecheggiano anche nella ricerca condotta dalla ricercatrice Francesca Esposito ed espresso nella sua presentazione sulle condizioni di vita quotidiana del CPR di Ponte Galeria, nonché nel libro di cui è coautrice, “Corpi reclusi in attesa di espulsione”.
«Corpi reclusi in attesa di espulsione»
Intervista a Giacomo Mattiello, co-autore del libro sulla detenzione amministrativa in Europa al tempo della sindemia
Reclusione: dallo sguardo della comunità territoriale, combinata però con l’esposizione a uno sguardo razzializzante e stereotipante, che si concretizza nell’ipersessualizzazione delle donne nigeriane recluse nella sezione femminile di Ponte Galeria o nel concetto della “soglia culturale del dolore”, per cui un certo tipo di autolesionismo viene concepito in relazione a una sorta di “cultura” – non ben identificata – di persone di nazionalità nordafricana, invece che come una pratica di resistenza individuale estrema in mancanza di altre condizioni (come ad esempio la possibilità di riunirsi e protestare pubblicamente).
Disumanizzazione: delle persone recluse, ridotte a numeri identificativi come nei lager nazisti; degli e delle operatrici del centro, per quanto inevitabilmente collusə e partecipi, trasformatə in ingranaggi di un sistema di violenza che soffrono e poi riproducono attivamente.
Patologia: in primis delle persone recluse, portate a sofferenze psicologiche e psichiatriche, oltre che fisiche, da un sistema di totale discrezionalità, in cui le informazioni che vengono fornite (quando vengono fornite) sono scarse, fuorvianti o false; in cui la loro vita è scandita da temporalità diverse che si sovrappongono e alternano schizofrenicamente tra un tempo dell’attesa (di informazioni, di provvedimenti, di una novità, della fine, del peggio…) di sospensione (niente da fare, da leggere o scrivere…) e un tempo di rottura.
In cui tutto all’improvviso nella notte si accelera vertiginosamente quando vengono prelevate senza preavviso ed espulse dal territorio italiano.
In generale, patologia di un sistema politico, economico e legale che, nonostante denunce e criticità, non si arresta. Si cronicizza e si espande ulteriormente come un cancro maligno e metastatico.
Le metastasi: la moltiplicazione delle condizioni e dei luoghi di trattenimento
Con la conversione in legge del decreto 20/2023 assistiamo a «un’estensione della detenzione amministrativa senza precedenti» – nelle parole di Elena Adamoli dell’Ufficio del Garante nazionale.
La detenzione di una persona richiedente protezione internazionale si applica ora anche quando sia «necessario determinare gli elementi su cui si basa la domanda di protezione internazionale che non potrebbero essere acquisiti senza il trattenimento». Inoltre, per lo svolgimento delle procedure di frontiera e del provvedimento di Dublino.
Già il D.L. 113/2018 (Decreto Salvini) aveva legittimato la detenzione di persone richiedenti la protezione internazionale oltre che nei CPR, anche negli hotspot, in “punti di crisi”, ambienti di sicurezza o locali di frontiera, in aeroporti e questure o altri “luoghi idonei”, che attualmente ammontano a 60 sul territorio nazionale 6. Il trattenimento presso tali strutture era però limitato alle sole procedure di identificazione. Il decreto 20/2023 non solo aggiunge anche la previsione di “strutture analoghe”, ma ne estende le funzioni anche allo svolgimento delle procedure di frontiera e “al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato”. Si moltiplicano così, luoghi e condizioni per il trattenimento.
Le procedure di frontiera, che prima si chiamavano procedure accelerate e si applicavano di fronte a una serie di condizioni che dessero a presumere l’inammissibilità della domanda di asilo (tra cui ad esempio la provenienza da un paese considerato “sicuro”), si applicano ora a tutte le persone che presentano domanda direttamente “alla frontiera”, che nel frattempo ha mutato forma e collocazione: è ovunque e da nessuna parte.
La frontiera diffusa e la finzione di non ingresso
Le “zone di frontiera” o “di transito” non hanno più nulla a che fare con i confini geografici e politici del territorio italiano. Già con il Decreto Salvini sono identificate all’interno di intere province 7. Così il concetto di frontiera si diffonde – anch’esso, come un cancro – in una rete intricata che si proietta all’esterno – attraverso le pratiche di esternalizzazione delle frontiere – e all’interno nel territorio nazionale, anche a chilometri di distanza dai confini fisici.
Tutti questi elementi creano quello che i giuristi chiamano la “finzione di non-ingresso”.
Non importa se hai attraversato mari, terre, violenza e confini con il tuo corpo: fin tanto che sei sottoposta alla procedura di frontiera – una frontiera che ormai è solo un dispositivo legale – il tuo ingresso effettivo nel territorio non è né riconosciuto né autorizzato. È autorizzato a entrare solo chi già riconosciuto come titolare di una qualche forma di protezione.
Una fiera dell’assurdo in cui le parole cambiano faccia alla realtà fino a negare l’evidenza. Ma soprattutto che scardinano il principio finora valido, per cui l’accesso al territorio di uno Stato é un diritto intrinseco a quello di presentarvi la domanda di asilo. In ultimo, in contrasto con la stessa Direttiva Rimpatri (EU), per cui il richiedente non può essere trattenuto al solo scopo di esaminare la sua domanda di protezione.
La conseguenza è che la detenzione amministrativa diventa il quadro ordinario della permanenza delle persone irregolarizzate in Italia.
Il risultato macabro di un collage del peggio tratto dai modelli di tutta Europa (la reclusione dal modello greco, l’extra-territorialità e il criterio di inammissibilità da quello francese 8. Di sperimentazioni elaborate in occasione di “crisi” ed “emergenze” – che poi diventano la norma.
I diritti dei richiedenti asilo in Grecia
Due report fanno il punto sulla situazione dei centri pre-rimpatrio
Il monitoraggio della società civile
In un sistema ordinato, fisso e legittimo, “monitoraggio” assumerebbe il significato di vigilare che tutto proceda nella norma: proceda cioè, in linea con le procedure disposte e le responsabilità individuate.
Quando le norme mutano in continuazione, le procedure rimangono opache e mancanti, le responsabilità mai definite e anche quando lo sono, vengono semplicemente disattese, è naturale che le organizzazioni e gli individui impegnati nella difesa di diritti fondamentali si interroghino sul loro ruolo all’interno del sistema.
Come per l’operatrice del CPR che si sente l’unico presidio di umanità all’interno del centro, per poi vedersi costretta a pulire il sangue dell’ennesimo gesto autolesionista; come per l’Associazione della Diaconia Valdese che si preoccupa di essere un’alternativa di consulenza legale all’agenzia statale austriaca, che ha tutto l’interesse di portare le azioni legali degli assistiti a vantaggio delle istituzioni che se ne vogliono deresponsabilizzare 9; come per gli operatori del centralino Mai Più Lager – No CPR, che a seguito della denuncia sui social di un pestaggio da parte delle “forze dell’ordine” a danno di un recluso nel CPR di via Corelli, che ha insistito per la pubblicazione, riceve la sua chiamata dal Marocco dove l’hanno rispedito a forza con ulteriori violenze e sedazione forzata 10; la sensazione è quella di remare a vento contrario, per alleviare ingiustizie che non possono essere cancellate o evitate, perché parte di un sistema complesso che non riguarda solo le leggi.
Un sistema, quello italiano, che non ha fatto i conti con il suo passato coloniale. In cui molte persone ancora non vedono la linea del colore che determina così diverse esperienze del mondo, del diritto, delle frontiere. E anche quando la vediamo, poi, non è semplice eliminare quegli elementi che rendono la relazione di aiuto una relazione di potere.
La relazione di aiuto diventa una relazione di potere quando la fiducia, su cui il rapporto si basa, si traduce di fatto in dipendenza. È all’interno di questo quadro che è possibile comprendere alcuni atteggiamenti, apparentemente controproducenti o irrazionali, come strategie di emancipazione dalla dipendenza, di resistenza a quella relazione di potere: come quando, ad esempio, una persona assistita moltiplica le persone a cui chiede consulenze legali, mettendo continuamente in discussione il lavoro dell’avvocatə di “fiducia”. Comprendere questa difficoltà nel quadro della relazione diseguale è fondamentale per capire che a volte non è possibile superarla soltanto migliorando la qualità della relazione a due. È invece necessario riflettere su strumenti emancipatori comuni, che restituiscano a ognuno un proprio ruolo e una propria agency.
L’attività di monitoraggio può esserne un esempio, quando condivisa in tutte le sue fasi tra tutti gli attori coinvolti. Quando cioè, applicato al contesto dei CPR, le persone recluse non si esauriscono a semplici tramite di informazioni, ma compartecipano alla attività di denuncia e sensibilizzazione, in ultimo, nel processo costitutivo del cambiamento.
Nel distruggere la gabbia
Le rivolte al CPR di Torino sono un lampo di luce in un orizzonte sempre più cupo
Il CPR di Torino ha chiuso a seguito delle continue proteste dei reclusi e purtroppo non dopo le numerose segnalazioni e denunce da parte della società civile. Schiacciati dall’obiettivo di evitare la repressione, di preservare il proprio ruolo di “mediazione” o dalla paura di ancor peggiori ripercussioni sulle persone detenute, si rischia di non valorizzare a sufficienza quella che sembra essere la forza più dirompente ed efficace per la chiusura dei CPR e delle altre strutture detentive in Italia: la protesta.
- Un evento promosso da ASGI, ActionAid, Antigone, CGIL Camera del Lavoro Metropolitana di Milano, CGIL Lombardia, CILD, Naga, Rete Mai più Lager – NO ai CPR, Le Carbet e Spazi Circolari
- Qui il programma e a fondo pagina i video della due giorni
- Introdotte a livello europeo dalla Direttiva Accoglienza del 2005 e attuata in Italia con decreto legislativo di recepimento nel 2008. Per un approfondimento sul tema: Colpevoli di viaggio di Corallina Lopez Curzi, Antigone 2017
- Assessore di cui, tra l’altro, è stata aspramente criticata l’assenza in sede di audizione della Commissione Welfare del Comune di Milano relativa alle somministrazioni massicce e ingiustificate di psicofarmaci nel CPR di via Corelli: video
- Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, “Rapporto sulle visite effettuate nei centri di permanenza per i rimpatri (CPR) (2019-2020)”
- Secondo quanto affermato dal Garante, che pubblicherà la mappatura aggiornata dei locali idonei a giugno
- In particolare: Trieste e Gorizia; Crotone, Cosenza, Matera, Taranto, Lecce e Brindisi; Caltanissetta, Ragusa, Siracusa, Catania, Messina; Trapani, Agrigento; Città metropolitana di Cagliari e Sud Sardegna
- In Francia le “zone d’attente” equivalgono alle “zone di transito” nostrane e costituiscono la seconda modalità di detenzione amministrativa, oltre al trattenimento presso i “Centre de Retention Administrative”, corrispondenti ai nostri CPR. Sul caso studio francese, rimandiamo alla documentazione dell’Associazione Anafé disponibile in lingua francese
- Nel sistema austriaco in materia di protezione internazionale non c’è obbligo di difesa da parte di legali, se non di fronte alla Corte di Cassazione e al Tribunale superiore amministrativo. Dal 2021 a occuparsi della difesa delle persone trattenute negli equivalenti dei CPR in Austria è principalmente un’Agenzia parastatale – una s.r.l. di cui è proprietaria il Ministero dell’Interno. Solo quando queste decidono di non avvalersi dei legali dell’Agenzia possono intervenire delle ONG ma al momento in Austria ce ne sono solo due attive su 3 dei 15 CPR presenti sul territorio
- Come segnalato sulle pagine social della Rete