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«Mal di Libia»: un libro impetuoso e profondo, come il mare

La recensione del libro di Nancy Porsia

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di Gennaro Avallone 1

Ho letto in quattro giorni “Mal di Libia. I miei giorni sul fronte del Mediterraneo 2” scritto da Nancy Porsia (Bompiani, 2023, 290 pagine, 18 euro). Appena ho finito di leggerlo ne ho scritto, con urgenza, perché è necessario confrontarsi con quanto i suoi contenuti, analisi e denunce.

È un libro che consiglio a tutte le persone che vogliono capire cosa è accaduto in Libia negli ultimi dodici anni, dalla fine del regime di Gheddafi, quali disillusioni e dolori ha dovuto pagare la sua popolazione, e cosa è successo all’Italia e all’Europa nello stesso periodo, le cui identità, aspirazioni e prospettive di democrazia e giustizia si sono definitivamente perse (chissà per quanto tempo) nelle politiche di contrasto a una parte delle persone in movimento, quelle ormai definite meccanicamente e acriticamente migranti.

Nel libro, la giornalista indipendente Porsia ci fa vedere come questi due fallimenti vadano compresi insieme: il divenire Stato fallito della Libia, terreno di una guerra per procura tra le potenze regionali, e il divenire mare di morte del Mediterraneo a causa delle politiche migratorie italiane ed europee, che hanno accettato di fare accordi con i trafficanti di esseri umani pur di ridurre gli arrivi via mare in Europa e di non mettere in discussione la politica migratoria fondata sulla selezione delle popolazioni da contrastare e da fare entrare, attraverso la delega ad altri Stati (la cosiddetta esternalizzazione delle frontiere) dei respingimenti e dei blocchi delle persone.

Il racconto in prima persona, frutto di una presenza sul campo durata anni in maniera totale, è impetuoso. Lo è nel ritmo della scrittura, nella capacità di far ritrovare chi legge nei luoghi di cui si scrive, evidentemente intensamente vissuti dall’autrice. E lo è anche nella messa in evidenza delle responsabilità internazionali che hanno condotto la Libia a divenire un terreno di guerra senza fine e il Mediterraneo la frontiera più mortale e carica di sofferenze del mondo.

Il libro mi ha richiamato più volte alla mente i discorsi che ho sentito nel tempo sul Mediterraneo come ponte tra i popoli o mare di pace, confermandomi che si tratta di vuote, e dannose, retoriche: utili per organizzare convegni con aperitivi e relative pubblicazioni, ma del tutto avulse e lontane dalla realtà. Si tratta di retoriche che dimenticano la tragedia delle non meno di 47 mila morti nel mare tra il 2003 e il 2023, tutte morti evitabili con politiche migratorie che, ad esempio, si fondassero sulla concessione dei visti nei paesi di emigrazione e transito e non sui respingimenti, i mancati soccorsi ai naufraghi o i centri di detenzione. E che dimenticano le guerre, le rivoluzioni tentate e le repressioni violentissime che ne cingono tutta la costa meridionale ma, se pensiamo al caso greco e, per certi aspetti, a quello italiano, anche parte della costa settentrionale.

In diverse parti, il libro si sofferma sulla definizione delle politiche migratorie che hanno avuto in Libia un sostegno fondamentale al loro divenire sistematicamente violente, agite – hanno detto alcuni politici europei, come, ad esempio, il ministro dell’Interno italiano Marco Minniti nel 2017 – per difendere la democrazia e determinando, in realtà, una torsione strutturale, per cui, scrive Nancy Porsia, si è verificata “la muta dell’Europa che per resistere ai neofascismi diventa fascista” (pagina 225). Assecondando questa torsione, che ha stracciato i diritti umani di centinaia di migliaia di persone specialmente dal 2017 in avanti con il Memorandum Italia-Libia, la stessa democrazia italiana ed europea ha cambiato la sua natura: nell’immediato l’ha cambiata per i libici, per i quali, scrive Porsia a pagina 246, “si sente solo la puzza, e non la brezza di cui narrano i naviganti d’Occidente“.

Tra corpi affogati ritrovati in mare, persone riportate dai naufragi e dal mare alla violenza dei centri di detenzione dalla Guardia costiera, feriti e morti nel conflitto bellico, violenze sistematiche registrate verso gli stranieri, specialmente se subsahariani, e centinaia di migliaia di libici sfollati interni a causa della guerra, la Libia è stata trasformata in un abisso.

Questo abisso, nel quale sono state cacciate la popolazione libica e quella migrante in fuga, è il tormento di Nancy Porsia, un tormento esistenziale, fraterno e politico al tempo stesso, che non trova giustizia, ma alimenta la voglia di capire, approfondire, non fermarsi in superficie: la voglia, insomma, di lottare.

  1. Docente di sociologia presso l’Università degli Studi di Salerno. Autore di diversi saggi, collabora con alcune reti internazionali di ricerca, tra cui «Agromig», «World-ecology network», Etnocórdoba e la rete interistituzionale «Cruce de saberes y prácticas para enfrentar la pobreza». È membro del Comitato scientifico della Collana «Energia, Ambiente e Società» presso l’editore Aracne di Roma e responsabile, con Emanuele Leonardi e Salvo Torre, della collana «Ecologia politica» per l’editore Orthotes di Napoli-Salerno. È parte del Consejo de Redacción della rivista «Sociología Histórica» e del Comitato editoriale delle riviste «Theomai» e «Relaciones Internacionales».
  2. La scheda del libro