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Migrazione nel Sahel. Ultima fermata – deserto

Mentre l'UE esercita pressioni, sempre più persone rimangono bloccate ad Agadez, in Niger

di Kerem Schamberger, Medico international (marzo 2023)

Sadio ha poco più di 30 anni. In Senegal ha trascorso sei anni nell’esercito. Quando si ferisce ad una gamba durante una ribellione vuole lasciare l’esercito, ma i suoi superiori gli lasciano intendere che o rimane o la sua vita sarà in pericolo. Sadio scompare e intraprende un lungo viaggio, dal Senegal al Mali, passando dal Burkina Faso per poi arrivare in Niger. Dalla capitale Niamey arriva ad Agadez, l’ultima tappa prima della rotta attraverso il deserto verso l’Algeria o la Libia – e quindi verso il Mediterraneo e l’Europa. Sadio si mette nelle mani dei trafficanti. Si dirige verso nord a bordo di in uno dei tre pick-up. Tripoli è a quasi 2.000 chilometri di distanza. Dopo alcuni giorni, i conducenti scompaiono improvvisamente. Non si sa perché. In mezzo al nulla, a 50 gradi di giorno, 75 persone sono bloccate con appena 180 litri d’acqua. Dopo tre giorni, cominciano le discussioni sull’acqua e su cosa fare. La maggior parte delle persone decide di partire a piedi, compreso il nipote di Sadio. Sadio invece decide di rimanere, in attesa di una qualche forma di soccorso. Dopo altri tre giorni, appaiono improvvisamente dei veicoli militari. Sadio è uno dei pochi a sopravvivere. Suo nipote è ancora disperso.

Sadio ci racconta tutto questo ad Agadez, la porta del deserto e, in Africa occidentale, il centro da sempre della migrazione e della sua repressione. Dieci anni fa, qui vivevano circa 120.000 persone. Ora ce ne sono probabilmente il doppio. Ci sono quelli che aspettano una nuova opportunità di dirigersi verso nord; altri sono tornati volontariamente o forzatamente indietro e sono ancora troppo stremati, esausti e senza i mezzi materiali per pianificare i passi successivi; e c’è chi vuole tornare a casa ma non può. Nelle strade polverose incontriamo rifugiati che non mangiano da giorni. Alcuni portano in braccio bambini in gravi condizioni di salute, senza alcuna prospettiva di poter accedere a cure mediche. Tutti sono segnati in un modo o nell’altro. Le persone ci mostrano le loro cicatrici sulla testa, sulle braccia, sulla schiena. Sono causate da ferite da coltello, colpi, ossa rotte che non sono state curate e non sono guarite correttamente. Ogni cicatrice è il segno dei tentativi falliti di arrivare al nord, in Europa.

L’Unione europea fornisce armi ed equipaggiamenti

Lo stesso giorno in cui sentiamo storie di speranze infrante e di violenze subite in Africa occidentale, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen tiene un discorso durante un vertice straordinario dell’Unione europea, 4.000 chilometri a nord. Parla di fornire armi ed equipaggiamenti. «Forniremo un pacchetto integrato di infrastrutture, dalle automobili alle telecamere, dalle torri di guardia alla sorveglianza elettronica». Questo perché, dice von der Leyen, «Agiremo per rafforzare le nostre frontiere esterne e contrastare la migrazione irregolare».

Negli ultimi anni, l’UE ha sistematicamente fatto del Niger l’avamposto centrale del suo regime di frontiera in Africa occidentale. Questa politica di esternalizzazione è progettata per bloccare lì le persone che altrimenti potrebbero raggiungere l’Europa attraverso la Libia. Lo strumento giuridico più importante in questo contesto è la legge 036-2015 approvata nel 2015: rende la migrazione illegale e criminalizza molte forme di soccorso. Ciò ha reso la migrazione più invisibile e pericolosa. Mentre prima del 2015 i migranti raggiungevano il confine libico sotto la protezione dei convogli militari nigeriani, ora devono intraprendere rotte più pericolose attraverso il deserto, facendo affidamento sui trafficanti o sulla propria audacia.

La legge 036-2015 è stata approvata in Niger e viene messa in atto dalle autorità governative; tuttavia, è l’Unione europea a dettare le condizioni e a promuovere fortemente questa forma di cooperazione. L’UE e i suoi Stati membri sono infatti diretti responsabili di una parte considerevole del bilancio statale nigeriano. Da quando è stata approvata la legge 036-2015 per bloccare le migrazioni verso il nord, il paese ha ricevuto più di un miliardo di euro ai fini della “cooperazione allo sviluppo”: la maggior parte di questo denaro si perde immediatamente in canali irregolari, come sottolineato dagli attivisti delle due organizzazioni partner nigeriane di medico, Alternative Espaces Citoyens (AEC) e Alarmphone Sahara (APS). «Perché l’Unione europea non è realmente interessata a tenere traccia di ciò che accade ai suoi soldi?» domanda il giornalista investigativo Ibrahim Manzo Diallo di AEC.

Regime di confine e neocolonialismo

La cosiddetta cooperazione allo sviluppo è diventata da tempo uno strumento di ricatto. Viene fornita quando i paesi in questione si conformano agli interessi dell’UE. In Africa occidentale, questo di solito significa ostacolare le migrazioni. Quella che viene definita la condizionalizzazione della cooperazione allo sviluppo è una forma di neocolonialismo che tenta di controllare ogni singola area migratoria in Africa. Il più recente evento da sottolineare: il presidente del gruppo parlamentare FDP Christian Dürr suggerisce che gli stati del sud del mondo ricevano denaro per la tutela ambientale (da utilizzare per produrre carburanti a emissioni zero per l’Europa) solo se accettano in cambio l’invio verso i loro paesi di persone deportate dalla Germania. Allo stesso tempo, all’interno dell’Unione europea si dibatte sul mantenimento di privilegi commerciali come tariffe di accesso al mercato europeo più basse solo per gli stati che accettano i deportati. Sono proprio politiche come queste che stanno causando un crescente senso di rifiuto nei confronti dell’Occidente nella regione, con paesi come Mali e Burkina Faso che vedono la Russia come un partner alternativo e accettabile che sta diventando più forte.

Le numerose misure non hanno completamente eliminato la migrazione in Africa occidentale. Quindi l’UE vuole chiudersi ancora di più. L’annuncio di Von der Leyen di piani di riarmo ne è una conferma. Non è la sola a volerlo. A fine gennaio, ad esempio, la presidente del consiglio italiano e neofascista Giorgia Meloni durante una visita in Libia prometteva alle milizie – sminuite dai media europei come “guardie costiere” – cinque nuovi motoscafi finanziati dall’Unione europea per aiutare a intercettare i rifugiati in mare, ignorando il fatto che queste milizie sono anche legate agli stessi trafficanti che mettono le persone sulle barche.

Il secondo tentativo di Sadio di migrare dal Senegal termina sul mar Mediterraneo. Sebbene fosse quasi morto nel deserto durante il suo primo tentativo, nel 2019 decide di riprovarci. Questa volta riesce ad arrivare a Sabratha, a ovest di Tripoli, sulla costa mediterranea. Riesce a salire su una barca. Ma dopo un’ora di viaggio nel Mediterraneo, la barca viene intercettata proprio dalle milizie libiche che agiscono per conto dell’UE e in particolare dell’Italia. Sadio e gli altri vengono portati in un campo di prigionia. Sadio viene detenuto lì per più di due settimane. Riesce a fuggire per una fortunata coincidenza.

Il dibattito sull’Europa si intensifica

A causa di tutti i tentativi di rendere la migrazione un problema invisibile, è difficile stimare quante migliaia di persone partano ogni anno. I numeri dei rimpatriati danno un’indicazione. Solo nel 2022, Alarmphone Sahara ha registrato più di 25.000 persone deportate dall’Algeria 1. Provenivano da paesi come Niger, Guinea, Costa d’Avorio, Burkina Faso, Senegal, Nigeria, Gambia, Camerun e Sierra Leone. Il rimpatrio sembra una scelta volontaria. In realtà, la maggior parte delle persone sono state costrette a salire su dei camion dalle forze di sicurezza algerine, condotte al “punto zero” al confine con il Niger e abbandonate lì, in mezzo al deserto.

In Niger, tuttavia, le critiche alla legge 036-2015 sono sempre più forti. Anche perché la legge sta danneggiando l’economia locale. Le compagnie di trasporto stanno perdendo affari a causa delle restrizioni, ai commercianti è vietato vendere cibo e altri beni ai migranti e ai proprietari di case lungo le rotte non è più permesso affittare posti per dormire. Ai sensi della legge, tutte queste azioni sono considerate favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Hassane Boukari, giornalista investigativo per AEC, riferisce che anche rappresentanti dell’élite politica stanno spingendo per un cambiamento. Ma ad oggi la legge è rimasta invariata. Hassane è convinto che questo sia il risultato di forti pressioni da parte dell’Unione europea, che sta quindi inavvertitamente destabilizzando il governo nigeriano.

Ad Agadez incontriamo molte persone che, dopo tutto quello che hanno passato, vogliono semplicemente tornare nei loro paesi di origine. Ammassati insieme, aspettano di fronte a un piccolo ufficio container dell’Organizzazione Internazionale delle Nazioni Unite per le migrazioni (OIM), sperando di essere registrati, precondizione per quello che l’OIM chiama cinicamente “rimpatrio volontario”. Tuttavia, la registrazione sta diventando sempre più difficile. L’organizzazione in Niger è infatti sottofinanziata. Soprattutto dall’inizio della guerra in Ucraina, le priorità – e conseguentemente i finanziamenti – sono cambiate. Di conseguenza, molte persone vivono per le strade intorno agli uffici e ai rifugi dell’OIM, senza accesso al cibo, senza cure mediche, senza prospettive. Anche per chi riesce a registrarsi, non è garantito alcun tipo di aiuto. Le strutture sono così sovraccariche che non possono ospitare e dare da mangiare a tutti. L’OIM evidentemente non vuole parlarne, nonostante diverse richieste.

E ora le migrazioni climatiche

Gran parte di ciò che vediamo ad Agadez sembra distopico. Questo anche perché oltre ai migranti, ci sono migliaia di sfollati interni. Sono qui perché il disastro climatico è diventato una realtà nei loro campi. I raccolti sono troppo scarsi, così come l’acqua. Quindi si spostano nelle città in cerca di cibo e lavoro. Più di 2.000 persone sono già arrivate ad Agadez dalla sola regione di Kantché, nel sud del Niger. Soggiornano in tende di fortuna fatte con bastoni, fogli di plastica e avanzi di stoffa. Non sono i benvenuti. L’esclusione e la stigmatizzazione impediscono ai bambini di andare a scuola; quasi nessuno ha accesso all’assistenza sanitaria. Nella loro povertà, sono in competizione con le decine di migliaia di migranti provenienti da altri paesi che sono bloccati qui.

Anche Sadio vive ad Agadez da diversi anni. Poiché ha forti legami con le comunità di migranti nei rifugi clandestini, lavora come informatore per l’organizzazione partner di medico, Alarmphone Sahara. È informato su chi stabilisce quando e dove, chi è bloccato nel deserto in difficoltà e ha bisogno di aiuto. Le sue informazioni permettono agli attivisti Alarmphone Sahara di salvare vite umane. Sadio guadagna anche un po’ di soldi extra come istruttore di taekwondo. Può e vuole rimanere ad Agadez a lungo termine? Non lo sa ancora.

Traduzione dal tedesco all’inglese di Rajosvah Mamisoa

  1. Alarme Phone Sahara report on situation at Assamaka, May 2023