Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
PH: Top Manta

Top Manta: l’arte della resistenza contro l’arte dell’ipocrisia

Intervista a Papalay Seck, attivista del Sindacato dei venditori ambulanti di Barcellona

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«Somos manteros, trabajadores migrantes y luchadores, que ante el racismo y la violencia institucional que sufrimos cotidianamente hemos decidido organizarnos para luchar por nuestros derechos».

La manta è la coperta, il telo, sul quale i venditori ambulanti stendono le loro merci sui marciapiedi delle città turistiche in Spagna. Vengono chiamati «manteros».

Nel 2015 dopo la morte, durante una retata della polizia, di Mor Sylla, un ambulante senegalese nella località balneare di Salou sulla Costa Daurada a nord-est della Spagna, nasce a Barcellona il Sindacato popolare dei venditori ambulanti. Molti di loro sono “irregolari” sul territorio spagnolo. 

Il Sindacato è nato per essere uno spazio-rifugio, un luogo in cui condividere le paure – le paure del clandestino senza documenti – e vincerle. Non esisteva uno spazio simile. Nel migliore dei casi c’erano posti in cui veniva offerto un aiuto ma senza l’obiettivo di creare persone autonome. Capaci di vincere la paura”.

Alla lotta sindacale per rivendicare i propri diritti contro il razzismo, il colonialismo e la violenza istituzionale, che quotidianamente i manteros subiscono dalle forze dell’ordine, nel 2017, si affianca una lotta creativa con la nascita della marca di abbigliamento «Top manta».

Durante l’intervista che abbiamo realizzato a margine della marcia, Papalay Seck, uno degli attivisti del sindacato, ribadisce che le loro dinamiche di lotta radicale continuano e continueranno ad essere promosse ed attuate per “[…]quemar el sistema por racista, colonial y patriarcal”.  

Intervista a Papalay Seck, attivista del Sindacato dei venditori ambulanti di Barcellona

Papalay sottolinea come la loro unione non si dia solo a partire da un legame artistico, ma dall’intersezione di diversi vissuti e competenze, che insieme permettono di contrastare la violenza perpetrata dallo Stato e dalla polizia verso le persone marginalizzate e razzializzate. 

Le mantes sono anche quelle che riempiono, sospese a pochi centimetri da terra, lo spazio degli ex Cantieri Cucchini nell’evento Collaterale “Catalonia in Venice_Following the Fish” della Biennale di Venezia.  

Un mercato ambulante con dei grandi teli che ondeggiano, sui quali sono contenuti dei messaggi amplificati da cartelli in legno di testi o immagini.

E’ il progetto di Leve Productora e Top Manta che è stato selezionato per rappresentare la Catalogna alla 18° Biennale di Architettura. 

«Non siamo qui per celebrare niente, siamo qui assumendoci la responsabilità di essere da megafono di moltissime persone che giorno dopo giorno subiscono la violenza di un’Europa fortezza che ci caccia dalle nostre case, che ci uccide alle frontiere e ci punisce con il razzismo istituzionale e le leggi sugli stranieri quando riusciamo ad arrivare», dice Lamine Sarr nell’intervento ufficiale di Top Manta alla Biennale. «Solo lo scorso anno, 2.390 persone sono morte nel Mediterraneo. Si tratta di una stima, poiché i loro corpi non sono ricercati».

«Siamo stati scelti per andare alla Biennale di Venezia a spiegare la nostra storia per difendere i diritti delle persone migranti. Per la prima volta, un collettivo di persone migranti, afrodiscendenti e precarie occupano uno spazio centrale in questo summit di stati che è la Biennale di Venezia», spiega il Sindicato de Manteros de Barcelona nel video di lancio della marcia che hanno convocato giovedì 18 maggio a Venezia dal Ponte di Quintavalle a qualche centinaio di metri dal padiglione di “Catalonia in Venice”.

Sfruttare questa opportunità quindi, per lanciare un messaggio per porre in risalto l’esperienza socio-politica del loro collettivo parallelamente al loro percorso artistico di lotta creativa. 

Nell’esposizione si ribadisce come le politiche estrattiviste estirpando le risorse naturali del territorio, in questo caso del Senegal, inneschino meccanismi viziosi di precarietà estrema in termini non solo ambientali, ma anche e soprattutto sociali: “[…] When the canoe stops giving you fish, you use it to leave” (Lamine Sarr, Top Manta). 

Migliaia e migliaia di persone si ritrovano dunque senza risorse primarie e naturali, perché queste vengono inglobate in una massimizzazione del profitto, che così facendo, produce un’ascesa dei flussi migratori verso l’Europa e altre parti del mondo. 

Tra i territori di destinazione di tali rotte l’Europa si colloca in una posizione strategica e rappresenta, pertanto, una concreta alternativa a condizioni di estrema povertà nei paesi sfruttati. Tuttavia, nonostante il continente si vanti di promuovere la libertà di movimento, l’inclusività, la multiculturalità e il diritto di ogni essere umano a vivere una vita degna, le politiche predatorie di esternalizzazione dei confini, i continui pushbacks e torture ne dimostrano il contrario, diventando maestri di quella che i membri di Top Manta hanno definito come art of hipocracy

Nelle magliette blu indossate alla manifestazione, infatti, veniva rappresentato il simbolo europeo sostituito con il filo spinato proprio per invertire la semantica e la simbologia delle stelle utilizzate nella bandiera dell’UE. Queste rappresenterebbero gli ideali di unità, solidarietà e armonia tra e dei popoli membri, ciò nonostante, attraverso la legge migratoria e la prassi di gestione del fenomeno migratorio, questi ideali vengono violati volontariamente provocando sistematicamente morte e violenze estreme.

«La ley de extranjerìa mata gente cada dìa»

Top Manta Nasce come un collettivo di strada, che in virtù di un trascorso feroce di violenza, decide di congiungersi e situarsi in una posizione antagonista, di resistenza verso le linee dispotiche di produzione e discriminazione attraverso attività di sensibilizzazione su diversi temi, campagne e lotta di strada.

La creazione di una marca di abbigliamento che nasce da un collettivo di strada utilizzando lo stesso termine che viene usato per discriminarlə rappresenta la possibilità e la potenza di invertire il paradigma in quella che potremmo definire come art of resistence.

Una straordinaria esperienza che si basa sull’autorganizzazione dal basso e ribalta anche lo stereotipo della persona migrante come soggetto passivo. Un progetto che sta dando risultati concreti: ad oggi sono 33 le persone regolarizzate e che vivono di Top Manta, diventato anche un riferimento per il movimento antirazzista in tutto il paese. Hanno un negozio a Barcellona e vendono anche on line le loro creazioni. Sono sostenutə da una vasta rete sociale che condivide le proprie professionalità a supporto del progetto.

In battello mentre lasciamo Venezia una canzone ci riecheggia in testa. I manterəs la hanno intonata più volte, su e giù dal ponte di Ponte di Quintavalle.

«Hay que quemar (Hay que quemar), Hay que quemar (Hay que quemar), Hay que quemar el sistemaaa, por racista y colonial (y patriarcal)» (Bisogna bruciare, bisogna bruciare il sistema razzista, coloniale e patriarcale).

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Barbara Barbieri

Direttrice responsabile del Progetto Melting Pot. Dal 2014 sono iscritta all’albo dei giornalisti pubblicisti dell’ODG del Veneto.
Da diversi anni mi occupo dell’organizzazione di Sherwood Festival, rassegna musicale e culturale che si svolge a Padova nel periodo estivo.

Federica Zenobio

Sono studentessa di Scienze politiche, relazioni internazionali e diritti umani presso l’Università di Padova.
Da diversi anni sono un’attivista e militante all’interno della rete dei centri sociali del Nord-est attraverso le sue diverse articolazioni tra cui l’ambito transfemminista (collettivo sQUEERt), universitario (collettivo Spina) e migratorio (Open your borders).