Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
Hotel Porin a Zagabria

Di ritorno dalla Croazia

Un resoconto del viaggio dell'associazione Open Your Borders

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di Federica Zenobio e Laura Rizzi

Dal 26 al 28 maggio, un gruppo di attiviste e attivisti dell’associazione Open your borders di Padova si è recato in territorio croato per monitorare la situazione delle persone in transito a seguito della sua entrata in area Schengen, avvenuta il 1° gennaio 2023.

Gli hotspots visitati sono stati il transition point a Rijeka e il centro d’accoglienza a Zagabria, luoghi in cui, attraverso un dialogo diretto con le persone interessate, è stato possibile avere una panoramica più ampia della questione.  

Il transition point di Rijeka è operativo da ottobre 2022 vicino alla stazione centrale della città. È composto da 2 containers e una tenda gestite dalla Caritas, dalla Croce Rossa e dalla ONG “Jesuit Refugees Services” (JRS). I servizi assistenzialistici di queste associazioni consistono in 2/3 pasti al giorno, della disponibilità di docce per qualche ora e, una volta a settimana, del ricambio di coperte, materassi e qualche indumento ricavato dalle donazioni. Il tendone adibito a dormitorio non può accogliere tutte le persone in transito, tra le 50 e le 100 ogni giorno: molti infatti si trovano costretti a dormire lungo la ferrovia, per poi essere allontanati alla mattina dalle forze dell’ordine. Da questo elemento è evidente come il comune, invece che intervenire virtuosamente nei termini di un’accoglienza dignitosa, mira a perpetuare la costante di una pulizia sociale in virtù di un decoro che si dimostra fine a se stesso. 

Una dinamica analoga, anche se con caratteristiche differenti, si registra anche all’Hotel Porin a Zagabria, centro di accoglienza per i richiedenti asilo dal 2015 a carico anche qui della Caritas croata e della ONG JRS.

L’edificio ospita all’incirca 500 persone con una composizione variegata tra uomini, donne e famiglie con un ricambio giornaliero che varia tra le 50 e le 100 persone. Esso si compone di 5 piani, di stanze da 3/4 persone ognuna e di un giardino esterno completamente circondato da un’alta recinzione che, come accennato in precedenza, rappresenta, in linea con il decoro sociale, una demarcazione netta dal vicinato “croato”, anche in termini relazionali. Come conseguenza si ha una forte ghettizzazione e marginalizzazione delle persone al suo interno.

Sebbene siano garantiti i servizi di prima necessità attraverso l’erogazione di 3 pasti al giorno, di un’assistenza medica, psicologica e legale, ad ogni richiedente vengono dati 13 euro al mese, una cifra irrisoria per l’affermazione del diritto fondamentale all’autodeterminazione. 

Invece che per una gestione capillare e dignitosa delle pratiche di asilo, i soldi provenienti dalla Commissione Europea per le politiche migratorie (equivalenti a 163 milioni) vengono utilizzati per aumentare il livello di sicurezza dell’UE con l’ammodernamento delle frontiere, l’addestramento e soprattutto l’equipaggiamento in dotazione alla polizia di confine [149% di fondi in più rispetto al budget (2021-2027) precedente].

Nel corso degli anni, le istituzioni dell’UE hanno ripetutamente chiuso un occhio davanti a prove schiaccianti di sistematiche violazioni dei diritti umani ai confini esterni dell’UE, inclusa la Croazia, premiando tattiche dal pugno di ferro che hanno fortificato le frontiere e hanno impedito ad ogni costo alle persone in cerca di protezione di entrare nell’UE”. 

È questa la denuncia di molte ONG, ed e’ un’accusa che aiuta a contestualizzare l’ingresso della Croazia in Schengen come ricompensa per aver contenuto i flussi migratori lungo la rotta balcanica. E questo stando a Frontex, sarebbe quella dove si sono registrati più attraversamenti di confine illegali: 140 mila da gennaio ad oggi, cioè il 150% in più rispetto al 2021. Sono numeri che indicano come si continui ad optare per pesanti politiche di respingimento piuttosto che mirare ad accoglienza ed integrazione.

Nel 2022 l’UE applica la direttiva speciale per concedere un permesso temporaneo (direttiva del 2001 tesa a stabilire un dispositivo per affrontare afflussi massicci nell’Unione Europea di stranieri che non possono rientrare nei loro paesi, soprattutto a causa di guerre, violenze o violazioni dei diritti umani) di protezione proteso a promuove un equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri dell’Unione che ricevono gli sfollati. 

Uno tra gli effetti di questo permesso temporaneo è quello rispetto agli Stati membri che devono fornire a chi ha ottenuto protezione temporanea un titolo di soggiorno, valido per tutta la durata della protezione; titolo che consente al cittadino di uno stato estero di trattenersi nel territorio nazionale per periodi di durata superiore a quelli normalmente previsti da un visto (solitamente fra tre e sette giorni). 

Molte delle persone che abbiamo incontrato a Rijeka sono infatti in possesso di un documento di questo tipo rilasciato dalle autorità: 

Traduzione del documento:

“In base all’articolo 3 del regolamento sulla modulistica e la raccolta dei dati in fase di approvazione della protezione internazionale e temporanea, viene rilasciato a questo commissariato un certificato di iscrizione, ha manifestato l’intenzione di presentare una domanda di protezione internazionale, in merito alla quale è stata redatta una nota ufficiale. La persona in questione deve essere iscritta nell’elenco di accoglienza per richiedenti asilo”.

Il documento però, essendo scritto in lingua croata, non è comprensibile dalle persone migranti, che per giunta non sono intenzionate a rimanere sul territorio croato. Questi due elementi dimostrano che questo documento è una pura formalità: l’intento dei ragazzi è quello di non rimanere in Croazia; la convinzione è infatti che la Croazia sia solo una tappa di passaggio per poi proseguire verso un paese terzo (la maggior parte di loro desidera arrivare in Germania, in Italia o in Francia). Eppure si ritrovano inconsapevolmente ad avere tra le mani un documento che enuncia la loro richiesta di domanda di protezione internazionale all’interno dello stato croato. 

Secondo la direttiva le persone che godono di protezione temporanea hanno il diritto di:

  • esercitare attività di lavoro subordinato o autonomo
  • accedere all’istruzione per adulti, alla formazione professionale e a esperienze di lavoro
  • ottenere un alloggio adeguato
  • ottenere assistenza sociale, sostegno economico e cure mediche.

Nel centro di accoglienza a Zagabria le persone devono aspettare 3 mesi dal loro arrivo prima di poter cercare lavoro e una sistemazione al di fuori della struttura. Viene concessa la possibilità di lasciare il centro prima di un anno, se dimostrano, tramite ripetuti colloqui, di aver trovato alloggio e impiego stabili. Tuttavia, molte persone hanno sottolineato la grande difficoltà nel trovare un’occupazione lavorativa in virtù della marginalizzazione della struttura dal centro di Zagabria. 

Dopo un anno, ə richiedenti vengono sottoposti a un colloquio che determinerà la loro futura permanenza in Croazia oppure il loro rimpatrio nei paesi d’origine. 

C’è dunque una negazione dei diritti di libera scelta e di libertà di movimento messa in risalto dal Trattato di Dublino, che stabilisce il completamento dell’intero iter burocratico di concessione (e non più di diritto) della richiesta d’asilo nel primo paese d’approdo in cui sono state registrate le loro impronte digitali. Molti dei ragazzi/e con cui abbiamo parlato ci hanno raccontato di essere arrivatə fino in Belgio o in Austria e di essere statə successivamente riportatə in aereo in Croazia.

Questo diniego all’autodeterminazione emerge anche nelle dinamiche amministrative dell’Hotel Porin, dal quale è permesso uscire dalle 7.30 del mattino fino alle 23 di sera e, nel caso in cui non si faccia ritorno alla struttura per più di due notti consecutive, si viene espulsi definitivamente dal centro senza nessun tipo di tutela preventiva. È centrale sottolineare come questo sia un meccanismo di deresponsabilizzazione da parte dei dirigenti di un esercizio di tutela di principio imperativo. 

L’entrata della Croazia in area Schengen quindi non fa altro che esternalizzare e fortificare ulteriormente i confini dell’Unione Europea, il tutto facendo leva sulla protezione dei cittadini dell’UE attraverso una maggiore cooperazione tra le forze di polizia e le autorità preposte ai controlli delle frontiere esterne, per compensare l’abolizione dei controlli alle frontiere interne, agendo talvolta in deroga in caso di circostanze eccezionali che mettono a rischio il funzionamento globale dello spazio Schengen.

Non va assolutamente dimenticato (e le persone con le quali siamo entrate in contatto lo testimoniano) l’impossibilità di movimento da parte di persone migranti che arrivano in uno stato europeo.

Il regolamento di Dublino, nonostante le svariate modifiche nel corso degli ultimi 30 anni, sta continuando di fatto a vincolare la richiesta di asilo (e tutto il farraginoso iter che ne consegue) al primo paese di approdo, impedendo di fatto alle persone di scegliere liberamente cosa fare della propria vita, come e soprattutto dove soddisfare i propri bisogni.

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