Il rapporto è stato pubblicato il 1° giugno 2023 (link articolo originale).
- Le autorità locali e le forze Amhara nella zona del Tigray occidentale, nel nord dell’Etiopia, hanno proseguito una campagna di pulizia etnica contro i tigrini dopo l’accordo di tregua del 2 novembre 2022.
- Il governo etiope dovrebbe sospendere, indagare e perseguire adeguatamente le forze di sicurezza e i funzionari implicati in gravi violazioni dei diritti nel Tigray occidentale.
- Il diritto internazionale prevede che le persone allontanate con la forza dalle loro case abbiano il diritto di tornare. Tuttavia, l’attuale contesto nel Tigray occidentale non è favorevole a ritorni volontari, sicuri e dignitosi.
«Le autorità locali e le forze Amhara nella regione settentrionale del Tigray hanno continuato a espellere con la forza i tigrini nell’ambito di una campagna di pulizia etnica nella zona del Tigray occidentale dopo l’accordo di tregua del 2 novembre 2022», ha dichiarato Human Rights Watch in report di chi vi proponiamo la traduzione. «Il governo etiope dovrebbe sospendere, indagare e perseguire adeguatamente i comandanti e gli ufficiali implicati in gravi violazioni dei diritti nel Tigray occidentale».
La ricerca
Dallo scoppio del conflitto armato in Tigray nel novembre 2020, le forze di sicurezza Amhara e le autorità provvisorie hanno condotto una campagna di pulizia etnica contro la popolazione tigrina nel Tigray occidentale, commettendo crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Una recente ricerca di Human Rights Watch ha rilevato che due ufficiali, Demeke Zewdu e Belay Ayalew, precedentemente implicati in abusi, continuano a essere coinvolti in detenzioni arbitrarie, torture e deportazioni forzate di tigrini.
«La tregua di novembre nel nord dell’Etiopia non ha posto fine alla pulizia etnica dei tigrini nella zona occidentale del Tigray», ha dichiarato Laetitia Bader, vice direttore per l’Africa di Human Rights Watch. «Se il governo etiope è davvero intenzionato a garantire giustizia per gli abusi, allora dovrebbe smettere di opporsi a indagini indipendenti sulle atrocità nel Tigray occidentale e chiamare a rispondere i funzionari e i comandanti responsabili degli abusi».
Da settembre 2022 ad aprile 2023, Human Rights Watch ha intervistato telefonicamente 35 persone, tra cui testimoni e vittime di abusi e personale delle agenzie umanitarie. La maggior parte sono tigrini e sono stati detenuti arbitrariamente nella città di Humera. Gli intervistati hanno dichiarato che le autorità locali e le forze Amhara hanno trattenuto più di mille tigrini nelle città del Tigray occidentale di Humera, Rawyan e Adebai sulla base della loro identità, prima di espellerli con la forza nel novembre 2022 o nel gennaio 2023. A maggio, Human Rights Watch ha fornito una sintesi dei suoi risultati preliminari al governo etiope, ma non ha ricevuto alcuna risposta.
Mi hanno chiesto di pagare 300.000 ETB per essere rilasciato in [Sudan], non in Tigray. Davanti a noi dicevano: “Dovreste essere uccisi tutti, non dovreste rimanere in vita”.
Ex detenuto di 30 anni nel carcere di Bet Hintset
Le forze armate Amhara e le milizie di Fano (gruppo giovanile armato Amhara) a Humera e Rawyan hanno trattenuto i tigrini in luoghi di detenzione ufficiali e non ufficiali in condizioni disastrose. «Non c’erano cure mediche», ha detto un 28enne detenuto nella prigione di Bet Hintset a Humera. «Se le persone si ammalavano, rimanevano lì fino alla morte». Molti sono morti per mancanza di cibo e di medicine.
La sera del 9 novembre, le forze Amhara e le autorità del Tigray occidentale hanno effettuato l’espulsione coordinata dei detenuti dai luoghi intorno a Humera e dalle città vicine verso il Tigray centrale. Secondo un rapporto redatto dalle agenzie umanitarie, ripreso da Reuters, il 10 novembre le milizie di Fano hanno trasportato più di 2.800 uomini, donne e bambini da 5 centri di detenzione nel Tigray occidentale.
Diversi ex detenuti hanno raccontato a Human Rights Watch che all’inizio di gennaio 2023 almeno 70 persone, tra residenti e detenuti, sono state espulse con la forza dal Tigray occidentale.
Sebbene il termine pulizia etnica non sia formalmente definito dal diritto internazionale, la Commissione di esperti delle Nazioni Unite, incaricata di indagare sulle violazioni del diritto umanitario internazionale commesse nell’ex Jugoslavia, l’ha descritta come una “politica intenzionale progettata da un gruppo etnico o religioso per rimuovere con mezzi violenti e che incutono terrore la popolazione civile di un altro gruppo etnico o religioso da determinate aree geografiche“. Il diritto internazionale prevede che le persone allontanate con la forza dalle loro case abbiano il diritto di tornare. Tuttavia, il contesto attuale nella zona del Tigray occidentale non è favorevole a un ritorno volontario, sicuro e dignitoso dei rifugiati e degli sfollati interni del Tigray, ha dichiarato Human Rights Watch.
A marzo, le milizie del Tigray occidentale hanno continuato a minacciare e molestare i civili tigrini. Una donna di Adebai, fuggita verso il Sudan, ha dichiarato: «Le [milizie] sono entrate in casa mia e mi hanno detto che devo andarmene perché non è la nostra terra. Bussavano a mezzanotte e dicevano che i tigrini non possono tornare». Ad aprile, tre ex residenti e uno attuale di Humera hanno dichiarato che le autorità provvisorie stavano ripopolando la città con comunità provenienti dalla regione Amhara, rendendo quindi più difficile il ritorno dei tigrini.
Molti sfollati hanno detto a Human Rights Watch che speravano di tornare a casa, ma che non si sentivano al sicuro finché rimanevano funzionari e forze di sicurezza che commettevano abusi. A ottobre 2022, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) aveva registrato 47.000 rifugiati etiopi nel Sudan orientale, molti dei quali sarebbero stati sfollati dal Tigray occidentale. La cifra esatta degli sfollati interni del Tigray occidentale rimane sconosciuta. Nel 2021, si stimava che centinaia di migliaia di persone fossero sfollate in altre parti della regione del Tigray al di fuori della zona occidentale.
La comunità internazionale deve svolgere il suo ruolo per assicurarsi che ciò non si ripeta. Sono inoltre necessari accertamenti sulle responsabilità e giustizia per tutte le violazioni dei diritti umani nel Tigray occidentale. A partire dagli alti funzionari, a quelli di livello inferiore e presenti sul campo, fino ai cittadini comuni che hanno partecipato alle attività criminali, tutti devono essere interrogati e chiamati a rispondere.
Ex detenuto di 40 anni nel carcere di Bet Hintset
I tigrini intervistati hanno espresso il bisogno di giustizia e l’emersione delle responsabilità. «A partire dagli alti funzionari, a quelli di livello inferiore e presenti sul campo, fino ai cittadini comuni che hanno partecipato alle attività criminali, tutti devono essere interrogati e chiamati a rispondere delle loro azioni», ha detto un uomo di 40 anni di Humera. «La comunità internazionale e il governo etiope devono lavorare sodo per assicurarsi che questo non accada mai più».
Il governo etiope ha dimostrato scarso interesse nel consegnare alla giustizia i responsabili degli abusi nel Tigray occidentale. Nel settembre 2022, una task force interministeriale istituita dal Ministero della Giustizia ha riferito che avrebbe indagato sulle violazioni nel Tigray occidentale entro il mese di dicembre 2022. Finora il governo non ha reso noti i dettagli di queste indagini, né ha individuato i responsabili di gravi violazioni.
A maggio, durante l’esame dell’Etiopia davanti al Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura, i funzionari etiopi hanno minimizzato le notizie di pulizia etnica. Il Comitato ha affermato che il governo dovrebbe condurre indagini rapide, imparziali ed efficaci sulle presunte violazioni dei diritti umani durante il conflitto nel nord dell’Etiopia e ha raccomandato che un organismo indipendente indaghi sulle accuse di tortura e maltrattamenti.
Sebbene l’Unione Europea, gli Stati Uniti e altri partner internazionali abbiano affermato che la giustizia è una priorità nel Tigray, non sono riusciti a identificare parametri di riferimento espliciti o concreti per sanzionare le atrocità contro i tigrini nel Tigray occidentale, come sono quasi del tutto assenti indagini indipendenti in quel territorio, ha affermato Human Rights Watch. Invece, dalla firma della tregua, molti governi hanno cercato un riavvicinamento con le autorità federali etiopi piuttosto che cercare progressi tangibili per accertare le responsabilità. Ad aprile, il Consiglio Affari Esteri dell’UE ha adottato conclusioni formali sul suo futuro impegno con l’Etiopia, ma non ha affrontato la mancanza di progressi in materia di giustizia, anche nel Tigray occidentale.
Secondo Human Rights Watch, il monitoraggio internazionale e le indagini nel Tigray occidentale restano fondamentali. La missione di monitoraggio dell’Unione Africana ha riferito che intende visitare il Tigray occidentale a giugno. I governi dovrebbero continuare a sostenere il mandato della Commissione internazionale delle Nazioni Unite di esperti in diritti umani sull’Etiopia (ICHREE), istituita dal Consiglio per i diritti umani, esortare il governo etiope a cooperare con la Commissione e controllare le indagini del governo etiope nel Tigray occidentale. Il reimpegno con l’Etiopia dovrebbe essere legato a progressi concreti nel garantire l’accertamento di responsabilità e giustizia per le vittime delle violazioni.
L’Unione europea dovrebbe prendere l’iniziativa per garantire che il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite rinnovi il mandato degli esperti nella sua 54a sessione in settembre 2023.
«I partner internazionali dell’Etiopia sono ansiosi di sottolineare il miglioramento della situazione dei diritti, ma questo non è in sintonia con la realtà vissuta da molte comunità», ha detto Bader di HRW. «Se vogliono davvero vedere un progresso sostenibile e credibile in materia di diritti, dovrebbero smettere di ignorare le richieste delle vittime e fare pressione sulle autorità etiopi affinché pongano fine agli abusi in corso e indaghino su coloro che sono a capo delle atrocità».
Per ulteriori risultati e dettagli, HRW ha raccolto diverse testimonianze.
Pulizia etnica in Tigray
Dallo scoppio del conflitto armato nel nord dell’Etiopia nel novembre 2020, un mix di forze di sicurezza etiopi, in particolare la polizia regionale Amhara, nota come “Amhara Liyu”, gruppi di miliziani noti come “Fano” e, in alcuni casi, le forze federali etiopi ed eritree, hanno sistematicamente rastrellato migliaia di persone di etnia tigrina. In tutta la zona del Tigray occidentale, le forze di sicurezza li hanno detenuti per lunghi periodi senza alcuna accusa in stazioni di polizia, prigioni, campi militari e altri siti non ufficiali, tra cui magazzini e scuole. Parallelamente a questi arresti etnici, le forze di sicurezza e le autorità provvisorie hanno espulso centinaia di migliaia di tigrini verso il Tigray centrale.
In un rapporto dell’aprile 2022, Human Rights Watch e Amnesty International hanno documentato che le forze di sicurezza Amhara e le autorità provvisorie hanno effettuato una pulizia etnica della popolazione tigrina nella zona occidentale del Tigray, in una campagna che equivale a crimini di guerra e contro l’umanità. Le organizzazioni hanno rilevato che centinaia e forse migliaia di tigrini sono ancora detenuti e sottoposti a trattamenti pericolosi per la loro vita, che potrebbero equivalere al crimine contro l’umanità di sterminio.
Da allora, le autorità e le forze di sicurezza hanno detenuto migliaia di tigrini, per lo più uomini, in siti che includono uffici amministrativi, stazioni di polizia, campi militari e prigioni. La maggior parte dei detenuti intervistati è stata trattenuta per oltre un anno, da luglio o dicembre 2021. Alcuni sono stati trasferiti da un luogo all’altro.

Un uomo di 42 anni arrestato nel luglio 2021 e detenuto nella prigione di Bet Hintset a Humera ha dichiarato: «Mi hanno arrestato a causa della mia identità, perché sono tigrino. All’inizio hanno detto che saremmo stati rilasciati dopo aver fatto delle domande per scoprire chi è un criminale e chi no. Ma non l’hanno fatto… Eravamo più o meno 2.000 persone in detenzione. Eravamo tutti tigrini».
Alcuni hanno detto di essere riusciti a eludere la campagna di pulizia etnica nascondendosi presso amici o parenti Amhara, o celando la propria identità tigrina. «Le persone hanno finto di avere rapporti di sangue con Amhara, Walqayte o con Eritrei per salvarsi la vita», ha detto una donna di 30 anni, riferendosi ad altri gruppi etnici del Tigray occidentale. Nell’agosto del 2022, le forze di sicurezza hanno arrestato molti dei clandestini e li hanno infine espulsi.
La prigione di Bet Hintset era particolarmente sovraffollata. «C’erano due blocchi, uno aveva circa 1.000 persone, l’altro circa 900», ha ricordato un detenuto che è stato rinchiuso in una cella di 12 metri per 4 con circa 140 persone. «Alcune stanze avevano 198 prigionieri, altre 379. Non c’era spazio, era davvero pieno… Tutte le stanze erano piene…. Durante la stagione calda, era molto difficile dormire, quindi dormivamo a turno».
Le guardie limitavano l’accesso dei detenuti tigrini a cibo, acqua e medicine. Un agricoltore detenuto in un centro amministrativo di Rawyan ha detto: «Eravamo circa 60 e non ci hanno dato cibo. Erano gli abitanti di Rawyan, di altre etnie, a portarci il cibo. Si sentivano insultati quando lo facevano. A volte non mangiavamo nemmeno».
Gli ex detenuti di Bet Hintset hanno raccontato di essere stati tenuti in celle sovraffollate per mesi, con quantità di cibo e acqua sempre minori. Un agricoltore detenuto ha detto: «A volte ci davano tre biscotti per una settimana. A volte sparivano… Non c’erano medicine». Un uomo di 35 anni ha descritto il giugno 2022 come un «mese pericoloso in cui la fame ha raggiunto il culmine». Un altro detenuto ha detto: «Le guardie dicevano che ci stavano punendo negandoci il cibo. Volevano finirci; dicevano ripetutamente che eravamo un popolo difficile». I detenuti del carcere di Badu Sidiste hanno ricordato privazioni simili.
Non avrei mai pensato di essere liberata. Perché erano così crudeli e aggressivi. Se si vedeva il modo in cui ci trattavano, non si poteva immaginare e sperare che saremmo stati rilasciati.
Ex detenuto di 40 anni nel carcere di Badu Sidiste
Sei detenuti hanno raccontato che almeno diciannove persone sono morte a causa della mancanza di cibo e farmaci nella sola prigione di Bet Hintset tra luglio 2021 e novembre 2022. Dal giugno 2022 in poi, il trattamento e le condizioni già precarie dei detenuti nel carcere di Bet Hintset sono peggiorati quando le guardie hanno ulteriormente ridotto il cibo limitato che i detenuti ricevevano.
Uccisioni durante la detenzione
Le forze di sicurezza hanno ucciso almeno sei detenuti nel carcere di Bet Hintset, a Humera, tra giugno e agosto 2022, a seguito di fughe di prigionieri.
Intorno alla metà di giugno, 16 detenuti, la maggior parte dei quali detenuti in un’unica cella, hanno approfittato delle forti piogge e sono riusciti a fuggire.
Le guardie, comprese le forze speciali regionali dell’Amhara e di Fano, sono venute a conoscenza dell’evasione il giorno successivo, quando hanno contato i prigionieri. «Hanno iniziato a interrogarci per scoprire come sono scappate le persone e chi le ha aiutate», ha spiegato un detenuto. «Hanno iniziato a picchiare e a trattare male le persone».
Due detenuti hanno detto che i funzionari hanno presto sostituito le guardie con altre più aggressive. Un autista detenuto ha detto: «Ci hanno chiuso nella nostra stanza per un giorno e una notte…. Non ci hanno permesso di usare il bagno. Faceva così caldo». Tre giorni dopo, mentre usava il bagno, le guardie hanno sparato e ucciso un uomo soprannominato “Bambini”. L’autista ha continuato: «Forse hanno immaginato che anche lui potesse fuggire. Lo hanno picchiato e ucciso con un Kalashnikov [fucile d’assalto militare] e hanno portato il suo corpo davanti ai prigionieri per intimidire gli altri».
Il 15 agosto 2022, una settimana prima della ripresa dei combattimenti nella regione del Tigray, tre prigionieri sono evasi dalla stanza n. 7 di Bet Hintset. Le guardie hanno risposto duramente picchiando i detenuti in quel blocco di celle. Un agricoltore detenuto ha detto: «Prima ci hanno chiuso nelle nostre stanze. Ci hanno picchiato duramente, soprattutto quelli che fungevano da facilitatori [detenuti che facevano da rappresentanti tra le guardie e gli altri prigionieri] in ogni stanza». Le guardie hanno poi selezionato otto detenuti dalla stanza n. 7 per ulteriori interrogatori. L’agricoltore ha proseguito: «Ne hanno presi [otto] dalla stanza da cui le persone sono scappate. Ho sentito le percosse, le grida e le urla delle persone».
Due degli uomini selezionati erano Kahlayu Seyoum, descritto come un uomo di 70 anni o più, che aveva lavorato come insegnante nella regione di Amhara, e l’altro, Seare Berihu, uno studioso di religione. Le guardie hanno picchiato entrambi e sono morti di conseguenza, hanno detto le persone intervistate. «L’Amhara Liyu ha iniziato a picchiarli duramente con un bastone di ferro. Kahlayu era malato di diabete e aveva la pressione alta», ha spiegato un detenuto. «Seare ha iniziato subito a sanguinare dalla bocca quando hanno iniziato a picchiarli con una spranga di ferro».
Un altro detenuto che ha assistito ai loro pestaggi ha aggiunto:
«Gli [Amhara Liyu] hanno iniziato a picchiarli con i bastoni. Ma poi un Amhara Liyu ha iniziato a criticare il modo in cui li picchiavano. Ha preso un bastone di ferro e ha iniziato a picchiarli lei stessa, colpendoli al petto. Hanno iniziato a sputare sangue».
Un altro prigioniero ha cercato di aiutare alcuni dei detenuti selezionati per gli interrogatori, ma che sono sopravvissuti alle percosse:
«Li picchiavano con il filo elettrico, con un bastone di ferro, sulla schiena e sul davanti, sulle gambe, persino sugli occhi. Ho cercato di farli curare a causa del dolore. Di solito era impossibile ottenere assistenza medica. Non esisteva. Ma abbiamo ripetutamente implorato. Alla fine hanno permesso a una donna fuori dal centro di detenzione di portare delle medicine antidolorifiche, in modo che potessimo curare le loro ferite».
Quattro detenuti hanno raccontato che un membro della milizia di Fano nel carcere, noto come “Shiferaw”, ha convocato una riunione pochi giorni dopo e si è vantato di aver catturato e ucciso uno dei prigionieri evasi. Shiferaw ha minacciato di fare lo stesso con altri che avessero tentato la fuga. Un detenuto ha ricordato le sue minacce:
«Non cercate di scappare. Se lasciate scappare un solo prigioniero, ucciderò dieci di voi. Nessuno si chiederà perché l’ho fatto. Nessun funzionario o ente governativo può mettermi in discussione. Nessuno mi accuserà. Dio è favorevole a uccidervi. Non è un peccato uccidere i tigrini».
I corpi sono stati gettati in fosse poco profonde vicino a un capannone nel complesso carcerario di Bet Hintset o portati via, secondo quanto riferito da diversi detenuti, tra cui due che erano stati costretti dalle guardie a scavare le fosse all’interno del complesso.
Le uccisioni di agosto hanno terrorizzato alcuni detenuti. Un uomo di 62 anni ha detto: «Ho avuto paura dopo questo fatto. Da allora abbiamo cercato di convincere gli altri a non scappare perché sapevamo quali sarebbero state le conseguenze».
Tortura e trattamenti crudeli, inumani e degradanti
Le forze di sicurezza, le milizie e i funzionari dell’Amhara hanno torturato, maltrattato e sottoposto i detenuti tigrini a trattamenti inumani, anche picchiandoli con tubi di ferro, fili elettrici e bastoni. A Badu Sidiste, una prigione che fungeva anche da campo per gli Amhara Liyu, i detenuti hanno descritto di essere stati legati in posizioni di stress per lunghi periodi, di notte o sotto il sole cocente. «Le nostre mani e le nostre gambe erano legate con una corda e venivamo trascinati fuori al sole dove ci picchiavano con dei bastoni», ha detto un prigioniero. «[I Fano e Amhara Liyu] ci facevano stare al sole tutto il giorno».
Ci hanno stretto le mani all’indietro, ci hanno picchiato. È difficile per me spiegare e ricordare tutto. Ero traumatizzato
17enne detenuto nella prigione di Badu Sidiste, nella città di Humera
Un agricoltore detenuto per quattro mesi, fino alla sua espulsione nel gennaio 2023, ha raccontato di aver perso temporaneamente la capacità di usare le mani. «Le guardie ci hanno legato le mani dietro la schiena per molti, molti giorni», ha detto. «Per questo motivo non ho potuto nutrirmi per un mese. Altre persone hanno dovuto aiutarmi a nutrirmi».
I detenuti hanno ripetutamente identificato Belay, un funzionario della sicurezza del Tigray occidentale, che Human Rights Watch ha identificato nel suo rapporto congiunto dell’aprile 2022, e un altro funzionario di nome Kassahun. Hanno detto che Belay supervisionava personalmente i siti di detenzione a Humera e Rawyan, impartiva istruzioni alle guardie e partecipava alle percosse e agli interrogatori dei detenuti nella prigione di Badu Sidiste. Un detenuto a Badu Sidiste ha detto di essere stato picchiato e interrogato da funzionari, tra cui Belay e Kassahun:
«[Belay e Kassahun] mi hanno portato fuori dalla stanza. Mi hanno legato le mani dietro la schiena e hanno iniziato a picchiarmi. Mi hanno colpito con le loro scarpe. Mi hanno fatto molte domande, se stavo mandando soldi in Sudan, o se stavo chiamando il Sudan… e dopo molte ore ho detto: “Sì, avrei chiamato mia moglie per sentire la voce di mio figlio in Tigray, e avrei chiamato mia madre in Sudan”. Li ho pregati di uccidermi, ma mi hanno detto di no, morirai qui di fame».
Un detenuto di 26 anni, tenuto in una stanza sotterranea in un campo militare noto come Enda Quaja, situato a sud di Humera, verso la città di Rawyan, ha dichiarato:
«Il buco era molto ampio e molto buio. Dopo molte ore, ci portano fuori per usare il bagno. Uscire alla luce ci accecava. Se volevano farci delle domande, ti legavano le braccia dietro la schiena e ti lasciavano al sole. Per questo motivo molti sono rimasti paralizzati o i loro nervi non funzionano bene».
Un lavoratore giornaliero detenuto nel carcere di Bet Hintset ha raccontato che le guardie tormentavano i prigionieri:
«C’è stata la volta in cui hanno selezionato 14 persone. Ci portarono in una stanza stretta, senza luce, senza aria sufficiente e ci lasciarono lì tutto il giorno. Di notte… sono arrivate due guardie e hanno iniziato a insultarci. Uno era un Amhara Liyu che disse: “Sarebbe bello uccidervi tutti con questa pistola”».
I detenuti hanno anche descritto maltrattamenti che hanno causato danni fisici e mentali duraturi. Un contadino di 60 anni di Rawyan ha raccontato che suo figlio è diventato cieco dopo essere stato trattenuto in un magazzino dove si macinava il berberé (miscela di spezie etiopica). Ha detto: «Mio figlio è stato trattenuto lì per 17 giorni e poi portato in prigione con me. Ora è cieco a causa della detenzione nel magazzino di berberé e della mancanza di medicine».
Sparizioni forzate
Familiari ed ex detenuti hanno inoltre espresso preoccupazione per la sorte e il luogo in cui si trovano i detenuti scomparsi e si teme che siano stati fatti sparire con la forza.
Il 5 gennaio 2023, il [Fano] mi ha chiamato al Kebele (ufficio amministrativo), senza dirmi perché mi avessero chiamato. Speravo che mi portassero mio marito per poterlo vedere, per potergli parlare. Invece mi hanno lasciato lì tutto il giorno. Poi, di notte, mi hanno spinto nel Tigray centrale.
Donna di 30 anni
Una donna ha raccontato che la milizia di Fano e il funzionario Kassahun le hanno estorto pagamenti per avere notizie del marito, detenuto nell’agosto del 2022. Ha detto: «Ho venduto la proprietà della mia casa e ho pagato 45.000 Birr etiopi [850 dollari], ma non mi hanno dato alcuna informazione. Poi, dopo un mese, mi hanno chiesto 100.000 Birr etiopi [1.900 dollari] per avere informazioni su dove si trovasse, in modo da potergli dare da mangiare». All’inizio di gennaio, Fano l’ha chiamata all’ufficio del governo locale nella città di Humera. «Speravo che portassero mio marito per poterlo vedere, per potergli parlare», ha raccontato la donna. Quella sera, Fano l’ha espulsa nel Tigray centrale. Da allora non ha più visto né sentito parlare di suo marito.
Il 10 ottobre 2022, Belay e i funzionari della prigione di Bet Hintset hanno chiesto ai detenuti tigrini con istruzione universitaria di offrirsi come volontari per un “addestramento”. Un detenuto ha descritto la disperazione dei prigionieri: «I prigionieri pensavano che sarebbero morti se fossero rimasti. Se volevano ucciderci, potevano farlo ovunque, dicevano alcuni. Così la gente ha iniziato a registrarsi».
Un altro detenuto ha spiegato il processo: «All’inizio si sono offerti volontari in quindici, ma i funzionari hanno detto che non era abbastanza. Così hanno convocato una riunione per i facilitatori in ogni stanza e hanno chiesto loro di registrare coloro che avevano un titolo di studio universitario o superiore, altrimenti lo avrebbero fatto con la forza. Così, hanno iniziato a girare stanza per stanza e a registrare le persone». Le autorità hanno portato via 56 persone. Gli altri detenuti non li hanno più visti e la loro posizione rimane sconosciuta.
Espulsioni forzate
Le espulsioni forzate di tigrini dalla zona del Tigray occidentale sono continuate dopo l’annuncio dell’accordo di “cessazione delle ostilità” del 2 novembre. Ex detenuti hanno raccontato che nel pomeriggio del 9 novembre, Belay ha riunito i detenuti nella prigione di Badu Sidiste per un incontro. «Ha parlato per un’ora», ha detto uno di loro. «Ha detto: “Questa non è la vostra terra. Questa non vi appartiene. Vi manderemo nella vostra terra”». Diversi detenuti hanno confermato che Belay ha tenuto un discorso simile in diversi luoghi di detenzione a Humera lo stesso giorno, tra cui Bet Hintset, Badu Sidiste e la stazione di polizia di Setit.
Quella notte, le guardie hanno radunato i detenuti in diversi siti, tra cui Humera, la stazione di polizia di Geter e intorno ad Adebai, e li hanno picchiati costringendoli a salire su decine di camion medi Isuzu FSR, per poi condurli verso Adi Asr e il ponte Tekeze più a nord, che separa il Tigray occidentale dalle altre parti del Tigray, dove sono stati espulsi con la forza. Ex detenuti hanno raccontato che almeno due detenuti sono stati uccisi durante le espulsioni. Uno ha detto: «Sono morti non solo a causa delle percosse, ma anche perché erano fisicamente deboli per il trattamento subito durante la detenzione». Tre detenuti hanno aggiunto che i corpi sono stati sepolti intorno al fiume Tekeze, verso il Tigray centrale, e nella città di Sheraro.
Nel gennaio 2023, i funzionari hanno organizzato altre espulsioni forzate di detenuti e residenti tigrini dal Tigray occidentale, anche da Badu Sidiste e da altre prigioni. Un uomo di 40 anni era tra gli 11 detenuti di Badu Sidiste e altri 60 di altri luoghi di detenzione, comprese le stazioni di polizia di Setit e Geter, espulsi una notte:
«Belay e il suo collega Kassahun sono venuti in prigione. Mi hanno chiamato separatamente, dicendomi che avevamo deciso di ucciderti, ma ora sei fortunato, tu e gli altri prigionieri avete la possibilità di andare in Tigray. Hanno portato dei camion FSR e ci hanno mandato a Tekeze. Dopo aver raggiunto Tekeze, ci dissero di prendere la strada fino a raggiungere “il posto che ci meritavamo”».
Ci hanno detto molte volte che dobbiamo morire di fame.
Donna di 25 anni di Adebai
A marzo, i tigrini rimasti ad Adebai, nel Tigray occidentale, sentivano di non avere altra scelta se non quella di lasciare la città dopo aver subito continue minacce e vessazioni. Una donna fuggita in Sudan alla fine di marzo ha dichiarato:
«I Fano, e il loro leader di nome Belay, ci dicevano: “Voi siete [tigrini], avete usato il Tigray occidentale il più possibile, per 30 anni, ma ora è finita. Dovete lasciare questo posto. Non potete vivere o lavorare qui. Non vi permetteremo di usarlo; non mangerete cibo da qui, quello che avete preso è sufficiente per voi”. Ci hanno detto molte volte che dovevamo morire di fame».
Raccomandazioni:
Al governo federale etiope e alle autorità regionali:
- Sospendere i funzionari civili, compresi quelli ad interim dell’Amhara, e il personale delle forze di sicurezza delle forze speciali dell’Amhara e delle forze federali etiopi implicati in gravi abusi nella zona del Tigray occidentale, in attesa di indagini sulle loro azioni.
- Indagare in modo appropriato sulle gravi violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale, comprese le tre persone citate nel rapporto di Human Rights Watch/Amnesty International dell’aprile 2022: il Colonnello Demeke Zewdu, il Comandante Dejene Maru e Belay Ayalew.
- Perseguire adeguatamente tutti i responsabili di gravi violazioni dei diritti umani nel Tigray occidentale e altrove.
- Facilitare l’accesso al Tigray occidentale di investigatori indipendenti sui diritti umani, compresa la Commissione internazionale di esperti sui diritti umani in Etiopia.
- Garantire che gli osservatori dei diritti umani, tra cui la Commissione nazionale etiope per i diritti umani e l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, abbiano accesso al Tigray occidentale e ad altre aree colpite dal conflitto e che riferiscano regolarmente e pubblicamente le loro scoperte.
- Istituire un organismo indipendente, in consultazione con le comunità sfollate e le agenzie ONU competenti, che possa organizzare e monitorare i rientri sicuri, volontari, adeguatamente informati e dignitosi.
All’Unione Africana:
- Assicurarsi che la Missione di monitoraggio dell’UA riferisca pubblicamente sui problemi di protezione, sulle violazioni dei diritti e sull’accesso umanitario nel Tigray occidentale durante la sua visita proposta a giugno.
Ai partner dell’Etiopia:
- Prendere in considerazione l’imposizione di sanzioni finanziarie e per il rilascio del visto a persone implicate in gravi violazioni dei diritti umani durante il conflitto nel nord dell’Etiopia e dopo la tregua.
- Monitorare le iniziative in materia di giustizia e di accertamento delle responsabilità all’interno dell’Etiopia e cercare una maggiore trasparenza sulle indagini governative e sugli sforzi per accertare le responsabilità.
- Valutare un nuovo impegno con il governo federale etiope sulla base di indicatori chiari e specifici sulla responsabilità e la giustizia per le vittime di gravi abusi.
- Sostenere la Commissione internazionale di esperti in diritti umani sull’Etiopia (ICHREE), anche rinnovando il mandato della Commissione al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a settembre, poiché restano essenziali indagini approfondite e indipendenti sugli abusi perpetrati durante il conflitto.
- Sostenere la creazione di meccanismi di controllo indipendenti per garantire che il personale militare e di polizia federale e regionale responsabile di gravi abusi non venga reintegrato nell’esercito o nella polizia nazionale.