Dall’ultima settimana di giugno il Collettivo Rotte Balcaniche Alto Vicentino si trova al confine tra la Bulgaria e la Turchia per un nuovo progetto di solidarietà attiva e monitoraggio che durerà tre mesi.
La frontiera raggiunta è tra le più esterne dell’Unione Europea ed è considerata dal collettivo, che lì aveva svolto in precedenza una prima attività di osservazione, come «uno dei punti chiave nella strategia europea di controllo dei corpi e chiusura dei confini», nonché una delle zone dove non sono radicate iniziative continuative di cura e supporto delle persone in movimento. Oltre a ciò, nemmeno nei media è possibile reperire articoli e reportage sulla situazione vissuta dai e dalle migranti in Bulgaria.
La staffetta ha quindi molteplici scopi e scrive che dopo tre settimane di presenza sarebbero tantissime le cose da raccontare e le riflessioni da condividere.
Una situazione molto complessa
Il gruppo di attivisti e attiviste affronta la difficoltà di essere l’unica – o quasi – realtà solidale presente. Si muovono principalmente tra Harmanli – dove c’è il più grande campo della Bulgaria, con circa 1.500 richiedenti asilo – e Svilengrad, città di confine dove incontrano le persone del campo di Pastrogor, la cui architettura è quella di una prigione.
«Ci scontriamo quotidianamente – spiegano – con l’estrema violenza del confine, che si materializza in dimensioni molteplici.
Quella corporea, ovvero i corpi tumefatti delle persone prese a bastonate dalla polizia con le mazze da baseball, per un’ora e mezza, con le mani ammanettate dietro la schiena. E le piaghe causate dalle punture degli insetti che infestano i materassi dei campi, e i morsi dei cani della border police sulle gambe.
Ma anche la dimensione “psicologica”: nella paura diffusa di raccontare la realtà, di mostrare le proprie ferite, di farsi curare, di andare in ospedale. La violenza della polizia traumatizza e terrorizza, entra dentro le persone, così come la vita nei campi, che è un continuo addestramento all’inferiorità. Quando distribuiamo cibo e materiale, capita di dover spiegare alle persone che non serve esibire documenti».






«Ogni giorno incontriamo nuove emergenze sempre simili e diverse, che sono la normalità. Chi torna zoppo dal confine poi si ammala nei campi e nei centri di detenzione: il cibo è insufficiente se non immangiabile, le condizioni igieniche pessime, l’acqua sporca, il servizio medico assente. All’interno delle strutture, la polizia spesso mena arbitrariamente. Al confine, le guardie rubano i soldi e i telefoni, respingono le persone letteralmente in mutande», dichiara il gruppo che sta cercando di essere una presenza amica e solidale per le persone migranti.
Grazie ad un incessante e quotidiano intervento, in poco tempo, è entrato in contatto con numerose persone e raccolto diverse testimonianze che tracciano una mappatura della brutalità di un altro Paese utilizzato come cane da guardia dagli Stati più ricchi dell’Unione europea.
«Le persone migranti subiscono tanto la violenza del confine che quella dei campi. I respingimenti dalla Bulgaria sono continui e caratterizzati dall’utilizzo di armi da fuoco, cani e mazze da baseball. Ma la polizia bulgara “respinge” anche dal confine nord, quello con la Serbia, paradossalmente costringendo con la forza i migranti a rimanere all’interno del suo territorio nazionale, impedendo il sogno e il progetto di camminare verso l’Europa», racconta un’attivista del Collettivo raggiunto al telefono.
«Proprio ieri incontravamo a Svilengrad quattro ragazzi di origine marocchina che ci raccontano di essere stati respinti per quattro volte in Turchia. Erano un gruppo di circa 20 persone, sono stati derubati di tutto – in primis dei telefoni e dei soldi – e rimandati indietro letteralmente in mutande. Pochi giorni fa, invece, ci siamo imbattuti ancora una volta in alcune persone appena tornate dal confine serbo: dopo essere stati picchiati per un’ora e mezza con le mazze, ammanettati, avevano i corpi viola di ematomi, anche in testa. Rischiano danni agli organi interni, ma non è possibile effettuare gli esami ospedalieri che sarebbero necessari.
Le persone hanno paura perfino di parlare e mostrare il proprio corpo tumefatto, per timore delle ritorsioni poliziesche.
La settimana prima, ad Harmanli, veniamo invece a conoscenza che le guardie del campo avevano picchiato un uomo e due bambini semplicemente perché avevano dimenticato il documento, ma pare che questa futile violenza sia la normalità».
Come spesso avviene anche su altri confini, la violenza della polizia non è qualcosa di relegabile a qualche gendarme dalla mano pesante, oppure una pratica riservata solo a chi cerca di lasciare il paese o viene intercettato mentre cerca di attraversarlo, ma è sistematica e rappresenta il modo in cui le istituzioni hanno scelto di “gestire” la migrazione.
E’ questo sicuramente uno dei motivi per i quali le attiviste del Collettivo hanno riscontrato nelle loro attività ostilità sia da parte delle autorità che da parte dei nazionalisti locali che li giudicano una presenza inconsueta e sospetta. «In questo senso – dichiarano – abbiamo già sperimentato la repressione: in Bulgaria non è possibile dire pubblicamente la verità sulle violenze».
Questo primo breve resoconto si conclude con la richiesta di continuare ad appoggiare la staffetta solidale e di sostenere anche delle spese legali dovute all’attività in loco:
«Abbiamo bisogno di tutto – cibo, vestiti, medicine, cellulari, prodotti igienici -, e che tutto ciò si sappia. Come sapete, a causa della distanza non ci è possibile portare il materiale in furgone, quindi dobbiamo acquistarlo qui. Inoltre, stiamo già affrontando delle spese legali. Per questo, vi chiediamo ancora una volta di essere nostre complici anche con il supporto economico. Con tutto il nostro amore, con tutta la nostra rabbia, noi restiamo: al fianco dei e delle migranti che esistono e resistono, nonostante tutto. Proveranno a seppellirci, ma sappiamo di essere semi».
E’ possibile sostenere le spese donando a:
Associazione Di Promozione Sociale Megahub
Banca di Verona e Vicenza Credito Cooperativo
CC: 000000855755
IBAN: IT15H0880760750000000855755
Causale: Collettivo Rotte Balcaniche



Per informazioni potete contattare il Collettivo alla pagina facebook o via email a: [email protected]
Ripartire, ancora. Verso il confine tra Bulgaria e Turchia
Il nuovo progetto di solidarietà attiva e monitoraggio del Collettivo Rotte Balcaniche Alto Vicentino