Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Giudizio di comparazione e protezione speciale: è da ritenersi prevalente e preminente la condizione di vulnerabilità del richiedente

Tribunale di Lecce, ordinanza del 10 luglio 2023

Il Tribunale di Lecce accoglieva il ricorso avverso il diniego di istanza di protezione speciale ex art. 19 T.U.Imm. emesso dal Questore di Taranto, concedendo il permesso per protezione speciale in favore di cittadino albanese con precedenti penali tra cui il tentato omicidio, che dopo un periodo di carcerazione, ha visto concedere gli arresti domiciliari con percorso terapeutico psichiatrico individuale e familiare presso il Centro di Salute Mentale.

Secondo il Tribunale, ha il rilievo centrale il c.d. giudizio di comparazione, ossia la valutazione comparativa tra il grado di integrazione sociale effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente nel Paese di origine; tanto, al fine di verificare se la “compressione” della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani possa essere ritenuta al di sotto del nucleo minimo dei diritti della persona il quale connota la condizione di vulnerabilità.

«La condizione di vulnerabilità va verificata di volta in volta all’esito di una valutazione individuale della vita privata e familiare del richiedente, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza alla stregua di “un più generale principio di comparazione attenuata, concettualmente caratterizzato da una relazione di proporzionalità inversa tra fatti giuridicamente rilevanti” nel senso che “quanto più risulti accertata in giudizio (con valutazione di merito incensurabile in sede di legittimità se scevra da vizi logico-giuridici che ne inficino la motivazione conducendola al di sotto del minimo costituzionale richiesto dalle stesse sezioni unite con la sentenza 8053/2014) una situazione di particolare o eccezionale vulnerabilità, tanto più è consentito al giudice di valutare con minor rigore il secundum comparationis, costituito dalla situazione oggettiva del paese di rimpatrio, onde la conseguente attenuazione dei criteri rappresentati dalla privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”. (cfr. Cassaz., n. 8819/2020 che richiama i principio affermato in Cass., n.1104/2020).

Quanto innanzi per porre in evidenza come la nuova disciplina, in particolare, con il ripristino nel comma 6 dell’art. 5 del D. Lgs. 1998 dell’inciso: “fatto salvo il rispetto degli obblighi costituzionali ed internazionali dello Stato Italiano” e la sostituzione del comma 1.1. dell’articolo 19 del medesimo decreto legislativo, abbia in sostanza operato una sorta di reviviscenza della vecchia protezione umanitaria, potenziandone l’applicazione e chiarendo i relativi presupposti, sulle orme del percorso tracciato dai principi affermati nel corso dell’ultimo decennio dalla gran parte dei giudici di merito con l’avallo della Suprema Corte.

Non altra lettura può esser data infatti alla esplicita codificazione in quest’ultima norma del “diritto al rispetto della propria vita privata e familiare” del richiedente ed alla valutazione dei fondati motivi, al vertice dei quali è posta “la violazione sistematica e grave di diritti umani” con l’indicazione specifica dei quattro criteri di valutazione ai quali deve attenersi l’interprete:

  • a) natura ed effettività dei vincoli familiari dell’interessato;
  • b) il suo effettivo inserimento sociale;
  • c) la durata del suo soggiorno sul territorio nazionale;
  • d) l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese d’origine”.

Alla stregua di tali principi va dunque esaminata la domanda del ricorrente, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno con la nuova dicitura “per protezione speciale”, in base, appunto, alle novellate disposizioni, applicabili al presente giudizio ai sensi della chiara disposizione transitoria dell’art. 15 del D. l. n.130/2020.

Nel caso di specie, il ricorrente vive in Italia da circa venti anni, è padre di 2 minori nati in Italia che frequentano regolarmente la scuola, coniugato con una connazionale madre dei 2 minori, titolare la donna, dapprima di permesso di soggiorno per assistenza minori e poi di permesso di soggiorno per motivi di lavoro; il ricorrente è stato titolare di permessi di soggiorno per motivi di lavoro, per assistenza minori e infine per motivi di giustizia, veniva condannato alla pena di anni 4 e mesi 8 di reclusione, per il reato di tentato omicidio, in esito a giudizio abbreviato condizionato ad esperimento di perizia psichiatrica, che riconosceva la capacità di intendere e volere grandemente scemata. Dopo un periodo di carcerazione, gli venivano concessi gli arresti domiciliari con percorso terapeutico psichiatrico individuale e familiare presso il Centro di Salute Mentale.

Dal certificato acquisito in atti del casellario giudiziario risultano a carico del ricorrente altri reati risalenti nel tempo e nulla più dal certificato dei carichi pendenti. Premesso che è compito del Giudice valutare la situazione del ricorrente in comparazione alla situazione personale che egli viveva prima della partenza dal Paese di origine, nel caso di specie rileva quella “effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono il presupposto indispensabile di una vita dignitosa (art.2 Cost.)” richiesta da Cass. 4455/2018.

Alla famiglia, infatti, deve essere riconosciuta la più ampia protezione ed assistenza, osservando come deve essere apprestata al minore la tutela prevista dalla Convenzione Internazionale del Fanciullo e che, in caso di conflitto con altri interessi, quello del bambino viene riconosciuto sempre come primario e superiore, anche ai sensi dell’art. 28, c. 3 d.lgs. 286/1998; risulta, infatti, di primaria importanza tutelare i minori, alla bigenitorialità e che per il benessere psicofisico dei fanciulli si deve giustificare la permanenza regolare di entrambi i genitori sul territorio italiano.

Come innanzi precisato, infatti, la condizione di vulnerabilità va verificata di volta in volta all’esito di una valutazione individuale della vita privata e familiare del richiedente, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza alla stregua di “un più generale principio di comparazione attenuata, concettualmente caratterizzato da una relazione di proporzionalità inversa tra fatti giuridicamente rilevanti” nel senso che “quanto più risulti accertata in giudizio (con valutazione di merito incensurabile in sede di legittimità se scevra da vizi logico-giuridici che ne inficino la motivazione conducendola al di sotto del minimo costituzionale richiesto dalle stesse sezioni unite con la sentenza 8053/2014) una situazione di particolare o eccezionale vulnerabilità, tanto più è consentito al giudice di valutare con minor rigore il secundum comparationis, costituito dalla situazione oggettiva del paese di rimpatrio, onde la conseguente attenuazione dei criteri rappresentati dalla privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”. (cfr. Cassaz., n. 8819/2020 che richiama i principio affermato in Cass., n.1104/2020). Per di più, il ricorrente ha dimostrato comunque di essersi ulteriormente integrato depositando in atti copiosa documentazione lavorativa.

A fronte di un giudizio di comparazione degli interessi sottesi, è da ritenersi prevalente e preminente la condizione di vulnerabilità estrinseca in cui versa il ricorrente, padre di due minori sul territorio nazionale, anche rispetto alla potenziale pericolosità sociale dimostrata. Infatti alla luce della documentazione prodotta nonché alla positiva integrazione lavorativa provata da copiosa documentazione in atti, deve ritenersi che egli stia compiendo un apprezzabile sforzo di inserimento nella realtà locale e che, verosimilmente, il suo percorso di integrazione potrà trovare ulteriore sviluppo, considerata la generale e crescente difficoltà di reperire un’attività lavorativa, a causa della notoria situazione di crisi socio – economica odierna che coinvolge l’intero Paese.

Egli ha, pertanto, diritto ad ottenere il permesso di soggiorno per protezione speciale ai sensi degli artt. 19 comma1.e 1.1, 5 comma 6 del D.lgs. n.286/1998 e art. 32 comma ter D.lgs. n. 25/2008».

Si ringrazia l’Avv. Mariagrazia Stigliano per la segnalazione e il commento.

Vedi le sentenze:

Assegna il tuo 5‰ al Progetto Melting Pot: scrivi 00994500288
La tua firma per uno sportello di orientamento legale online

Quest’anno destinando il tuo 5‰ a Melting Pot sosterrai l'avvio di uno sportello di orientamento legale online, un servizio a supporto delle persone che si trovano spesso colpite da prassi illegittime della pubblica amministrazione.