Nella regione dell’Evros, zona di frontiera tra Grecia e Turchia fortemente militarizzata, preoccupa la forte ostilità contro le persone in transito. Gruppi di estrema destra con la connivenza dei partiti politici di destra e nazionalisti, utilizzano strumentalmente la presenza delle persone in movimento in questa zona di confine, per fomentare odio e razzismo. Sarebbero causati da loro gli incendi che stanno devastando la regione.
Un clima che si alimenta anche grazie alcuni organi di stampa e all’uso dei social network che si traduce, purtroppo, in gesti concreti. Nei giorni scorsi c’è stato il sequestro nel rimorchio di un camion di un gruppo di 25 persone accusate dall’individuo che le ha “arrestate” di aver appiccato incendi.
Il 18 agosto, sempre a Evros, 18 corpi carbonizzati sono stati scoperti nel parco nazionale della foresta di Dadia, stavano cercando di fuggire o erano intrappolati nella stalla quando sono morti bruciati.
«Abbiamo assistito alla mobilitazione dei cittadini locali incitati dai politici di estrema destra che “catturano” i gruppi di transito con narrazioni razziste e nazionaliste che presentano l’immigrazione come una minaccia alla sicurezza della Grecia», scrivono in questa dichiarazione congiunta le organizzazioni della società civile che raccontano quello che sta succedendo. Le iniziative di questi “giustizieri” di estrema destra continuano anche in queste ore con il sequestro di gruppi di persone prese in ostaggio e la pubblicazione dei video in diretta, così come il mega incendio che sta devastando la regione continua a bruciare.
A questo link la versione in inglese pubblicata da Border Violence Monitoring Network.
La traduzione in italiano è stata curata da Federico Favaro.
Incendi, respingimenti e l’estrema destra
L’ingiusta colpevolizzazione e la mobilitazione della violenza contro le persone in movimento sull’Evros
24 agosto 2023
Gli incendi che devastano ogni anno la Grecia sono mai stati così terribili come quest’estate. La media totale dei territori che, dal 2009, vengono distrutti annualmente è di 43.000 ettari, ma al 15 agosto di quest’anno la media era già stata superata. Se consideriamo gli incendi degli ultimi giorni, sono andati bruciati più di 94.800 ettari, di cui quasi la metà nei giorni tra il 19 e il 21 agosto, facendo della Grecia il primo paese europeo per numero di incendi nel 2023.
Il 90% di quanto è andato distrutto nel corso di quei tre giorni si trova nella regione di frontiera terrestre dell’Evros, dove gli incendi continuano da sei giorni. Nulla di cui sorprendersi: il 18 agosto, la Direzione autonoma della protezione civile di Macedonia Orientale e Tracia aveva lanciato l’allarme di “rischio d’incendio molto elevato”.
Quell’avvertimento è diventato realtà già nelle prime ore del giorno successivo e, nonostante un maggiore impiego di vigili del fuoco nella zona, il fuoco ha continuato a diffondersi nelle ore serali. Il giorno dopo, l’incendio era diventato incontrollabile, si era spinto fino alle vicinanze di Alessandropoli, ne aveva bruciato l’area circostante, aveva portato all’evacuazione dell’ospedale universitario e si era spinto a sud-ovest della prefettura dell’Evros, verso quella di Rodopi. Benché gli altri stati membri dell’UE abbiano mostrato il loro sostegno in modo significativo, con la mobilitazione, da parte dell’Ue stessa, di personale, veicoli, elicotteri e attrezzature, queste misure sono state reattive e non preventive.
Gli incendi in Grecia – ed in Europa – non sono una novità e con il cambiamento climatico la situazione non potrà che peggiorare. Eppure, questo non ha portato gli stati membri come la Grecia a prepararsi adeguatamente; per il 2023 lo stato greco ha finanziato il corpo di polizia 29 volte tanto rispetto al servizio antincendi.
Nella regione dell’Evros gli impatti di questa realtà sono più rilevanti che altrove: una zona fortemente militarizzata, caratterizzata dalla proliferazione delle violazioni dei diritti umani e da reti di attori locali, associati con l’estrema destra o alla politica “mainstream”, che condividono l’ostilità verso le persone migranti, percepite come una minaccia alla sicurezza e all’identità della zona di confine e, di conseguenza, della Grecia.
Nonostante i vigili del fuoco abbiano confermato, il 23 agosto, che l’incendio è iniziato vicino al confine e che è stato causato da un fulmine, si sono moltiplicate sui social media narrazioni pericolose e post offensivi dal punto di vista razziale, in cui si attribuisce la colpa alle persone in movimento. In seguito a queste affermazioni, ed approfittando del caos provocato dagli incendi, fazioni di estrema destra si sono mobilitate contro i gruppi di persone migranti.
Il deputato di Elleniki Lysi (Soluzione Greca), Papadakis, ha invitato i membri dell’Anisio Delta (l’associazione dei proprietari di capanne nella zona del delta dell’Evros) a “prendere provvedimenti” e a “fare ciò che sanno fare bene“. Le sue parole alludono al ruolo avuto dall’associazione nei fatti occorsi tra la fine di febbraio e marzo 2020, quando, in collaborazione con la polizia e l’esercito, ha pattugliato il delta del fiume Evros impedendo attraversamenti e arrestando persone in movimento, secondo quanto dichiarato dai membri ai media. Due giorni dopo Papadakis ha affermato che “20 immigrati clandestini stavano appiccando incendi” dietro un negozio Lidl a Nea Hili, un sobborgo di Alessandropoli. Entro due ore dal post, l’agenzia di stampa locale e-evros ha pubblicato un video sul “materiale infiammabile” – composto da due pneumatici, assi di legno e schiume – nello stesso luogo. In un’intervista allo stesso media, Papadakis ha affermato che “gli immigrati clandestini” hanno appiccato “incendi in più di dieci località“. Il 22 agosto è stato pubblicato un video in cui un uomo vestito in abiti militari dà istruzioni e consigli a un gruppo di pattugliatori civili locali nel parcheggio dello stesso Lidl.
In questo contesto, è stato pubblicato un altro video che mostra un individuo che afferma di aver “arrestato” “25 pezzi” e apre la porta di un rimorchio attaccato al suo camion, all’interno del quale ha aveva rinchiuso persone in movimento. Lo speaker del video accusa le persone nel camion di aver di aver appiccato gli incendi, dicendo “ci bruceranno” e il video stesso è stato condiviso da Konstantinos Velopoulos, leader del partito di estrema destra Elliniki Lysi.
I responsabili sono stati arrestati e la Corte Suprema greca ha ordinato un’indagine, che ha suscitato l’indignazione di Velopoulos, il quale ha affermato che gli individui nel video stavano proteggendo “le foreste, le loro proprietà e il loro Paese“. Ha chiesto agli individui di difendere il confine con ogni mezzo, tra cui, se necessario, la posa di mine, incitando in continuazione, via Twitter, le reti di estrema destra della regione a mobilitarsi.
L’arresto dei cittadini ripreso dal video non è un fatto isolato. Evros News ha riportato che un atto simile si era verificato nella cittadina di Lefkimmi il giorno prima. Oltre ad essere tollerati, simili atti sono fomentati direttamente da membri eletti del Parlamento greco, i quali stanno divulgando false informazioni nei media per accusare le persone in movimento dell’incapacità del governo di prevenire in modo adeguato gli incendi nella regione.
Per quanto riguarda gli sviluppi più recenti, ieri sera (23 agosto 2023 n.d.T.) la Procura di primo grado di Alessandropoli ha avviato un’azione penale per tentato incendio doloso contro 13 membri del gruppo di transitanti catturato. Questo nonostante la vaghezza delle accuse basate su “prove” trovate dallo stesso soggetto che ha catturato il gruppo di migranti in transito e benché egli, nel video, avesse espresso opinioni razziste. L’avvocato dell’uomo ha in seguito presentato una deposizione in cui sosteneva di essere “guidato da un senso di responsabilità nei confronti delle vite umane… e ha agito per prevenire un comportamento criminale“.
Ci sono anche gruppi di persone in transito che hanno avuto un destino più tragico. Il medico legale locale, Pavlos Pavlidis, ha confermato un totale di 18 corpi provenienti dalle foreste di Dadia, due dei quali erano bambini e un altro appartenente a un uomo trovato bruciato vicino al villaggio di Lefkimi.
Pavlidis ha dichiarato che sono stati trovati in un raggio di 500 metri l’uno dall’altro, vicino a un recinto di pecore e in gruppi di due o tre, il che indica che stavano cercando di fuggire o erano intrappolati nella stalla quando sono morti bruciati. I loro corpi sono stati portati ad Alessandropoli per svolgere degli esami post mortem, ma identificarli sarà difficile e le autorità avranno bisogno della collaborazione dei parenti.
Altre fonti fanno riferimento ad altri nove cadaveri potenziali, ma per un po’ sarà impossibile accertare quali siano le cifre reali. Piuttosto che piangere con rispetto per le vite perse, il ministro greco per la Migrazione Dimitris Karidis ha colto l’occasione per denunciare quella che ha definito “l’attività omicida dei trafficanti criminali” che è “ciò che mette in pericolo la vita di molti migranti sia a terra che in mare ogni giorno“. Ancora una volta, una situazione tragica è stata manipolata per incolpare le persone in movimento della propria stessa morte e per rafforzare i legami tra migrazione e criminalità, che hanno portato alla proliferazione di gruppi di destra nella regione.
Inoltre, ci sono gruppi di persone in movimento di cui ancora non si conoscono le sorti, mentre continuano le segnalazioni di respingimenti in concomitanza con i pericolosi incendi. Alarmphone riferisce di essere entrata in contatto con quattro gruppi negli ultimi giorni. 28 persone che si erano messe in contatto il 22 agosto dai pressi di Sidiro non sono state più raggiungibili il 23 agosto, dopo che la polizia ha dichiarato di non essere riuscita a localizzarle. Recenti aggiornamenti suggeriscono che siano stati respinti in Turchia.
Anche vicino a Soufli il 22 agosto 8 persone avevano segnalato la loro presenza e il giorno dopo hanno perso i contatti con Alarmphone. In serata, anche quel gruppo aveva riferito di essere stato respinto. Entrambi i gruppi avevano riferito che gli incendi erano in avvicinamento e che temevano per le loro vite. Alarmphone ha riportato inoltre che circa 250 persone erano bloccate in alcuni isolotti del fiume Evros. Un gruppo (tra le 60 e le 150 unità) ha dichiarato di essere stato accerchiato e brutalmente aggredito più volte dalle autorità greche, nonostante la polizia sostenga che esso non si trovasse in territorio greco. L’ultimo aggiornamento lascia intendere che la scorsa notte il gruppo sia stato respinto in Turchia.
Il secondo gruppo, di 100 individui, ha contatti con Alarmphone da cinque settimane, ha subìto ripetuti respingimenti, trasferimenti e aggressioni, tra cui violenza sessuale. Nonostante la vicinanza agli incendi – l’indicazione di una misura dell’articolo 39 da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo e l’esacerbazione delle vulnerabilità dei gruppi e delle condizioni di pericolo di vita in cui si trovano – le operazioni di ricerca e soccorso vengono sistematicamente negate e le violente operazioni di respingimento si moltiplicano.
Gli incendi nell’Evros, le morti e gli attacchi alle persone in movimento erano evitabili. Gli avvertimenti erano stati dati giorni prima, le condizioni erano state valutate come particolarmente pericolose e gli incendi si sono diffusi in tutto il paese per molte estati consecutive. Eppure, i servizi antincendio non disponevano di risorse adeguate. L’intensa attenzione della Grecia nei confronti dell’immigrazione è avvenuta a spese della sua terra e dei suoi cittadini, con decine di milioni di euro versati in centri ad alta tecnologia ad accesso controllato e in sistemi di sorveglianza automatizzata delle frontiere utilizzati per “impedire l’ingresso” di 2.170 persone prive di documenti tra il 14 e il 17 agosto, e per arrestare 29 presunti smuggler. Eppure, sono state attuate poche misure di preparazione per gli incendi che hanno distrutto il paesaggio naturale greco e raso al suolo case e mezzi di sussistenza. Invece di attribuire la colpa a chi di dovere, i gruppi di destra, media mainstream e i politici hanno sfruttato gli incendi per cercare un capro espiatorio e “dare la caccia” alle persone in movimento che già vivono nella regione in un contesto di rischio aggravato. I casi di “crisi” si traducono sempre in ulteriori deroghe agli obblighi di protezione e, purtroppo, questo caso non si è rivelato diverso: ci sono state e continueranno ad esserci vite umane perse e la portata delle devastazioni deve ancora essere rivelata.
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