Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
PH: Piero Gorza
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La frontiera alpina del Nordovest italiano: luglio 2022-luglio 2023

Un report di Onborders da Oulx in Alta Val di Susa al confine con la Francia

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Ascoltare per capire, capire per “stare con e tra” le persone in cammino

Testo di Piero Gorza con la collaborazione di Rita Moschella, raccolta dati a Oulx, elaborazione grafica di Rita Moschella e Sofia Pressiani, revisione di Onborders.

Indice

  • 1. Quadri di una umanità in cocci alla frontiera alpina del Nord-Ovest italiano
  • 2. Rotte fluide e cambiamenti di scenari
  • 3. Breve intermezzo: non esistono i migranti esiste il migrare
  • 4. Ancora abitare il cammino
  • 5. Donne e minori: dalle diagnosi alle operatività
  • 6. Militarizzazione del confine e dispositivi securitari
  • 7. Vulnerabilità medico-sanitarie e problematiche legali
  • 8. Temporalità, biografie e presenza
  • 9. Ascoltare per capire, capire per operare

Non basta descrivere, bisogna cercare di capire perché le cose sono così come sono”.
Anonimo persiano

Osserva, non pensare”
Wittgenstein

1. Quadri di una umanità in cocci alla frontiera alpina del Nord-Ovest italiano

Parlare di emergenza quando questa si ripete quotidianamente è un errore colposo. Anche se è assolutamente appurabile che le situazioni divengono poco gestibili, queste rispondono a logiche, a progettualità che non ci permettono di parlare di eccezione, ma di sistematica ricerca di uno stato di eccezione.

A volte le istantanee ci permettono di focalizzare più rapidamente un problema. Scegliamo dunque di incominciare questo documento con la scarna descrizione di giorni paradigmatici dell’attuale riconfigurazione migratoria sulla frontiera alpina del Nord Ovest italiano. Ci sembra opportuno offrire memorie e osservazioni dal campo che rispecchino le difficoltà esistenti sia delle persone in cammino sia di chi cerca di stare loro a fianco. In questo testo poniamo l’accento soprattutto sulle criticità e sulla drammaticità dell’attuale contesto, non già per sottovalutare l’agentività, la forza, la dignità e la determinazione delle persone in cammino (peraltro già sottolineate in precedenti scritti cfr) ma per denunciare i rischi che corrono costantemente delle persone in transito e la costante violazione dei loro diritti.

Ad Oulx si arriva e si riparte per lo più dopo uno o due giorni. Il tempo è limitatissimo e quasi tutti hanno solo la volontà di varcare la frontiera. Ogni sforzo è diretto a percorrere questi ultimi venticinque, trenta chilometri di montagna prima di potersi sentire quasi sicuri di arrivare a destinazione. A patto che questa non sia l’Inghilterra. Non si tratta di un game qualsiasi, ma per molti dell’ultimo, sbarrato militarmente da parte francese. Per questa ragione scegliamo inizialmente di offrire un’immagine di insieme, poi di prestare attenzione ad alcune storie individuali.

Immagine tratta da OpenStreetMap
1.1 Primo quadro: un contesto in cui si concentrano vulnerabilità

In un giorno particolare ma anche paradigmatico di questo semestre, nel Rifugio Fraternità Massi di Oulx sono presenti più di 40 persone ma il convergere di fragilità e di umanità offese evidenzia la complessità della situazione. Nel corso di due giorni sono arrivati distinti nuclei domestici con il carico di stanchezza e di ansia per la frontiera che dovranno attraversare.

Sono presenti una famiglia dal Marocco con madre sola con tre figli, altra famiglia dalla Guinea (il papà è minorenne, la mamma è incinta e in più vi è un piccolo di 7 mesi), altri due nuclei sempre dalla Guinea (2 uomini, 2 donne incinte e 3 bambini con meno di 6 anni) e poi si aggiunge altra donna sola. Dall’Iran approdano alla montagna una donna e tre uomini che si dichiarano parenti e poi altro nucleo domestico con padre, madre e due bambini che si aggiunge ad altra coppia dalla Costa D’Avorio con una figlia. Infine, a completare il quadro, al rifugio vi è la presenza di una donna sola, confusa e disorientata, che non sa dire da dove viene e neppure dove vuole andare. Per fortuna non tutti i giorni presentano queste problematicità, ma sicuramente parliamo di contesti che si ripetono ormai in modo costante (diario di campo Onborders, Oulx maggio 2023).

1.1.1 Scenari complessi, umanità ferite e soluzioni difficili

Il primo scenario che si apre non pone solo l’attenzione su singole storie di vita e di erranza, ma sul loro convergere in un luogo che ospita per tempo limitato prima di attraversare sentieri montani sempre più militarizzati. Emerge in modo evidente la pluralità delle provenienze. Non solo, rispetto a un anno fa, sono cambiate le composizioni dei flussi (più subsahariani e maghrebini e meno iraniani, afghani e curdi) ma si registra una scarsa omogeneità esperienziale delle persone che arrivano. Si possono affiancare in uno stesso giorno vite diversamente umiliate, ma anche bagagli esperienziali poco comunicanti. Si tratta di nodi legati al genere, all’età, alla rotta, ai tempi di viaggio, alle sofferenze subite, alle solidarietà allacciate e di certo anche alle provenienze.

Molti sono reduci dalla traversata del Mediterraneo con barconi, altri sono approdati in Italia dalla rotta dell’Egeo, altri dai Balcani e ancora molti appartengono a coloro che, privi di speranze di ottenere una protezione umanitaria o uno Stato che li accolga, “galleggiano” tra le marginalità a cavallo di diverse frontiere. Come cercheremo di mostrare in seguito, il cambiamento repentino della composizione dei flussi, da rotta balcanica a rotta proveniente dal Mediterraneo centrale, ha scombinato bisogni e risposte solidali. Non è trascurabile che per molte persone provenienti dall’Africa subsahariana la montagna sia spazio di cui non si ha esperienza ed è quindi vissuta con spaesamento e inadeguatezza.

L’eterogeneità delle provenienze e delle rotte è un ostacolo alla formazione di gruppi coesi e solidali: minor comunanza linguistica, distanze esperienziali, offese patite in paesi di transito, ostacolano il dialogo o addirittura sono fonte di tensioni. Dal 2015 alla frontiera italo-francese è stato sospeso Schengen e negli ultimi anni la caccia all’uomo della Police aux Frontières (PAF) si è intensificata: la sorveglianza sempre più finanziata e gli inseguimenti hanno moltiplicato i momenti di pericolo in montagna. Il gioco demagogico di rimpallo tra le nazioni europee delle responsabilità si è tradotto in aggravio di sofferenza per le persone in cammino. Chi non ha più nessuna terra non si ferma: per i più fragili e i più vulnerati l’affidamento a smuggler diviene sovente soluzione inevitabile.

Per altri, non sempre più preparati alle asprezze dell’attraversamento in quota, la scelta è inerpicarsi in sentieri pericolosi, e pertanto meno controllati, mettendo a rischio la vita. Fathallah è morto affogato in una diga dopo aver superato un colle impervio. Ullah, di soli 14 anni, è finito stritolato dal treno, forse per aver voluto seguire i binari dopo aver cercato di sfuggire a un controllo della polizia in una stazione a 11 chilometri da Oulx. Ancora a maggio del 2023 nove persone di provenienze differenti sono state salvate in alta montagna.

Uno dei sopravvissuti ha anche denunciato con dettagli precisi di essere scivolato in un canalone e di essersi trovato vicino a un cadavere: è stato trasferito in Francia e il cadavere mai trovato. In questi mesi più persone si sono perse in montagna: per le fatiche una donna ha perso il bimbo che aveva nel ventre, altra ha vagato due giorni cercando di trovare un cammino che la portasse in salvo. Tragicamente ci si dovrà attrezzare a un incremento di vittime causate dal sistema securitario di controllo delle frontiere. Lunedì 7 agosto 2023, in un giorno in cui erano dispiegate truppe e tecnologie su tutta la montagna, è stato trovato il cadavere di Moussa, guineano di 20 anni, poco lontano da Briançon.

1.2 Secondo e terzo quadro: si scappa per tante ragioni

Leyla (pseudonimo) è gracile, spaventata, proviene dal Camerun. Si tiene lontana dagli uomini, ma poi il bisogno di parlare è più forte e racconta la sua storia. “Mia mamma è il mio nemico, sono scappata perché mi ha obbligata all’infibulazione e di questa pratica è morta mia sorella”. È passata dalla Tunisia e ha subito ripetutamente violenza sessuale. Poi il barcone, l’Italia. È arrivata a Oulx perché le hanno detto che “è un posto dove ci sono uomini buoni”. Viene visitata, portata in ospedale si scopre incinta, per fortuna di pochi mesi. Cerca di passare la frontiera, poi la montagna e il buio la spaventano e allora torna a piedi al rifugio percorrendo 17 chilometri nella notte lungo la statale. Si scopre che è minorenne e allora, su consiglio di tutti, passa il confine consegnandosi alla Polizia di frontiera francese e richiedendo protezione per la sua età (diario di campo Onborders, Oulx maggio 2023).

Eleonore, arriva a Oulx con una bambina e un compagno. Sono del Camerun, e lunga è la loro traversia. Dopo una situazione di persecuzione da parte della rete familiare per le sue scelte affettive, lascia il Paese natio e intraprende la via del deserto con la meta dell’Italia. Grazie a persone vicine alla famiglia riesce ad essere accolta in una casa tunisina di persone agiate. Per due anni è sequestrata, schiavizzata e abusata sessualmente e il denaro del suo lavoro ritorna alla famiglia intermediaria camerunense. Scappa, saltando da una finestra, si arreca distorsioni, si ricongiunge con il compagno e lavora 6 mesi. Poi l’imbarco. Dopo diversi tentativi falliti ed ogni volta denari buttati a mare e da ritrovare, riesce ad arrivare a Lampedusa. Viene trasferita in un CAS del Nord Italia. Scappa e arriva a Oulx. Viene visitata, portata in ospedale. Le sevizie sono ancora evidenti e scolpite sul corpo. La montagna è per lei ostacolo insormontabile e sceglie di ritornare al CAS (diario di campo Onborders, Oulx giugno 2023).

1.2.1 Donne che hanno attraversato inferni

Secondo i dati riportati dal Consiglio dell’Unione Europea, dal 2020 la rotta del Mediterraneo centrale è ritornata il principale punto di ingresso irregolare in UE 1. Dal 2023, la Tunisia ha superato la Libia per numero di arrivi e questo dato si riflette sulla realtà della frontiera italo-francese del Monginevro. Chi arriva dal Mediterraneo centrale ha conosciuto il deserto, rischiato la vita, è stato sottoposto in Libia e Tunisia a tortura e trattamenti disumani e degradanti. Spesso, per partire ha dovuto sottostare a condizioni lavorative schiaviste e anche a costanti comportamenti xenofobi, in Libia come in Tunisia.

Nel 2023, il Memorandum con l’UE ha suggellato il sostegno al presidente Saied e alla sua gestione degli indesiderati tramite la legittimazione di ideologie e pratiche razziste. Ma sono soprattutto le donne subsahariane a pagare il prezzo più caro per aver cercato una vita degna oltre l’orizzonte. La stragrande maggioranza ha patito sevizie e violenza sessuale, in un clima di assoluta impunità.

Per quel che abbiamo potuto ascoltare non siamo di fronte al fenomeno della tratta organizzata, anche se questo non vuol dire che le donne non siano state sottoposte a violenze sessuali e che il loro partire non fosse già inquadrato in logiche mercificanti che sempre hanno al centro abusi e riduzione del corpo femminile a merce da sfruttare in ogni modo. L’arrivo di molte donne sole induce più a pensare a casi isolati ma diffusi, sfuggiti al ferreo mercato organizzato transnazionale dei corpi femminili. Tuttavia, siamo di fronte a persone che conoscono questo inferno e nel grembo spesso ne portano le conseguenze. Le vulnerabilità sono tante, le difficoltà si accavallano e si moltiplicano per la presenza di tanti bambini o di gravidanze in corso. La montagna è un ostacolo che spesso risulta insormontabile. Sia le condizioni fisiche, sia i pargoli, sia non conoscere l’habitat montano e non padroneggiare l’uso delle mappe congiurano nello scoraggiare la prosecuzione del cammino.

Per passaparola Oulx è preannunciato come luogo sicuro dove si può essere protetti anche se fragili ed esposti, se si è donne sole, se si hanno bambini piccoli, se la propria gravidanza è a rischio. Inoltre, il Rifugio Fraternità Massi offre un’accoglienza dignitosa, in cui si può usufruire di spazi privati per donne che viaggiano sole, di un’attenzione medica, di consulenza giuridica e di un ambiente rassicurante in cui, anche se per poco, ci si può riposare. Se questa costatazione è rassicurante, per altro verso è paradossalmente problematica: l’umanità offesa aumenta ed è già cresciuta esponenzialmente creando nell’unico rifugio presente prima della frontiera situazioni di carenza di spazio sufficiente per ospitare tutti, tensioni, inadeguatezza delle risorse disponibili. Per converso la montagna e il suo sistema securitario si ergono come sbarramento insormontabile proprio verso i più indifesi. Nonostante la presenza di attivisti e persone che cercano di operare in loco, le difficoltà sommergono le intenzioni propositive.

Ogni caso necessiterebbe di tempo e di attenzioni particolari. Gli intenti di cercare protezione umanitaria in Italia si scontrano con il tempo sospeso delle lungaggini burocratiche e con l’incapacità delle istituzioni di fornire accoglienza e riparo anche solo a numeri ridotti. Il confine, lungi dal rappresentare una mera linea di demarcazione tra Stati, si rispiega e ripropone costantemente nelle città tramite prassi e meccanismi burocratici che costringono le persone in movimento alla marginalità. Ma queste sono le facce bifronti della frontiera e i diritti enunciati nelle leggi e prescritti dalla Costituzione rimangono voce afona. La latitanza delle istituzioni nell’accoglienza corre lungo tutte le rotte, senza distinzione tra le nazioni che sono all’interno o all’esterno della UE. Il palcoscenico della disumanità alterna politiche di esternalizzazione a costruzione di lager in paesi terzi, premeditazione nel lasciar morire nei mari, nei deserti e sulle montagne a confinamenti estenuanti, atti a disincentivare qualsiasi volontà di fermarsi.

1.3 Quarto e quinto quadro: La guerra non è solo quella da cui si fugge, ma quella che continua in ogni terra

È sui trent’anni (l’età è difficile da indovinare), provato, proviene dall’Iran. Mahdi, come molti, porta con sé il bagaglio delle violenze subite. È sicuramente reattivo e sono già due giorni che si è fermato al Fraternità Massi e deve essere, per regola, allontanato. In un momento di maggiore serenità racconta: “Ho partecipato a una manifestazione di “Vita, donna e libertà” in Iran.La polizia morale ha sparato e due amici mi sono morti a fianco, anzi mi sono caduti addosso. Hanno ferito anche me, ma sono riuscito a scappare e ad andare in ospedale”.

Ci mostra le radiografie e il suo corpo è ferito da una costellazione di centinaia di pallini di piombo (quelli piccoli per caccia ai volatili) sottocutanei, diffusi dal capo al viso, alla gola, al busto, al pube fino alle caviglie. “Sono arrivato in ospedale e mi hanno detto che non ero a rischio di vita, poi ho dovuto scappare, perché la polizia voleva arrestarmi e interrogarmi sui miei amici morti. Per evitare torture, ho dovuto lasciare di fretta l’Iran e voglio andare in un Paese dove ci sia un ospedale che mi asporti le micro-pallottole”.

Non è una persona propensa a un dialogo pacato. Gli stessi operatori del rifugio, per capire se fosse da allontanare o da ospitare ancora, richiedono il consulto dei medici che confermano anche con il supporto di una visita in ospedale, che la sua situazione clinica non prospetta rischi di vita, anche se centinaia di pallini di piombo possono nel tempo creare problemi. Quindi, secondo le logiche di vulnerabilità che governano l’umanitarismo, può essere tranquillamente allontanato. Dopo una giornata di trattative in rifugio gli viene concessa una notte in più di riposo.

A distanza di tempo, dopo una missione in Iran e dopo aver raccolto testimonianze di persone presenti alle manifestazioni, veniamo a conoscenza di 800 persone accecate con questa modalità repressiva. L’ansia di questo giovane per togliersi i pallini e la sua indisponibilità ad accettare logiche repulsive in quella che dovrebbe essere la terra dei diritti divengono più chiare e drammatiche. Togliere quei pallini non parla di interventi medici salvavita, ma della necessità di togliere la morte dentro per vivere.

Eravamo impreparati e incapaci di mettere in connessione patologie a storia. Non si trattava di scoperchiare inferni, ma semplicemente di ascoltare (diario di campo di Onborders, Oulx giugno 2023).

Mohammed (pseudonimo) è di origine marocchina, arriva a Oulx con l’intenzione di andare in Francia. Appare tranquillo, gentile e disponibile al dialogo.

Dopo un primo tentativo fallito di passaggio, esprime la volontà di chiedere asilo in Italia.

Quindi, viene trasferito in accoglienza al Polo logistico della CRI di Bussoleno.

Una notte ha una discussione con un gruppo subsahariano per l’alto volume della musica. Si ritira in bagno e con una lametta si auto-lesiona tutto il petto arrecandosi ferite che necessitano molteplici punti di sutura. Viene allontanato dal centro e, dopo aver vagato tra stazioni dormendo dove capita, ritorna a Oulx in stato di profonda depressione e abissale stanchezza. Viene visitato e risulta in via di guarigione, ma per tutto il pomeriggio piange e racconta ossessivamente il fallimento della sua vita. Nella notte cerca di tagliarsi la gola con una penna. Forse non è un tentativo di suicidio, ma un grido disperato di aiuto. Di nuovo allontanato, si sposta a Torino e non c’è posto per lui sia nei luoghi di accoglienza istituzionale sia in quelli informali. La risposta è ripetitivamente la stessa: non possiamo rispondere alla sua disperazione. Di fronte ai dinieghi di presa in carico provenienti da ogni dove, rimane la strada (diario di campo di Onborders, Oulx aprile 2023).

1.3.1 Si muore in tanti modi

Si scappa per tante ragioni, per persecuzione politica, religiosa e sessuale. A volte si scappa per la desertificazione delle possibilità nella propria terra. A volte ancora si prende il cammino per l’inquietudine che ci porta a desiderare un altrove. Tante sono le ragioni e ognuna racconta una storia.

Mahdi ha un passato politico e ha conosciuto la brutale repressione della polizia morale e dei pasdaran. È fuggito e per fortuna ce l’ha fatta ad arrivare in Europa, forse anche pensando di approdare nella patria dei diritti. Ha attraversato come tanti i Balcani accumulando offese e ingiurie perpetrate contro chi viene solo ritenuto preda di passo. Non si arriva a Oulx ignudi, ma le persone portano con sé la sequela di angherie che istituzioni e singoli riservano alle persone in cammino. Non si muore solo una volta, ma la morte si incarna e si nutre e si ripropone con la sequenza delle pratiche disumanizzanti. La guerra contro chi fugge non riserva tregue. Calvino direbbe che l’inferno non dobbiamo inventarlo, è qui e presente. È impressionante che l’atteggiamento più difficile da estirpare sia la sordità verso la voce di chi vorremmo proteggere. Il desiderio di Mahdi di togliere quei pallini riguardava la necessità di vivere una vita qualificata e anche per questa ragione aveva partecipato a manifestazioni contro il regime teocratico degli ayatollah. L’ offerta di cura che prescindesse dal suo vissuto gli risultava inammissibile. Paradossalmente era l’agentività soggettiva che imponeva di non scendere a compromessi. L’aver cura e l’accoglienza avrebbero dovuto incominciare dall’ascolto.

1.3.2 La voce più difficile da tacitare è quella interiore

La storia di Mohammed è completamente differente e parla del fallimento dell’esperienza migratoria ed ha come cifra il ripiegarsi degli orizzonti di speranza nella disperazione. Vivere a lungo il margine è destabilizzante e per alcuni, più fragili o più offesi, il rischio del tracollo psichico è sempre latente. René Thom parlerebbe dell’oltrepassamento del punto di catastrofe. Ci è toccato documentare come per molti la perdita della speranza di una vita degna oltre l’orizzonte si traduca nel perdere la possibilità di vivere in qualsiasi angolo di questa terra. È come se non ci fosse più cammino in ogni dove. Lungo tutte le diverse rotte, sono innumerevoli quelli che hanno bruciato la scommessa del viaggio.

Il termine “Harraga”, diffuso in Tunisia, Algeria e Marocco, si traduce come “coloro che bruciano” e si riferisce pragmaticamente ai sans papiers. Condensa le declinazioni semantiche di “bruciare i documenti, le frontiere e di bruciarsi”. Oltre alla strage che abbiamo di fronte agli occhi quotidianamente, innumerevoli persone su tutte le rotte non arrivano a destinazione e rimangono invisibili anche dopo la morte o definitivamente fuori gioco, menomati o lesi nel corpo e nella psiche, a cui si chiude definitivamente il futuro. Si tratta degli oppressi dal mondo e a volte anche sconfitti da sé. Anche in questo caso il corpo, nell’accezione di soma e psiche, è il luogo della memoria e non scindibile dalle esperienze migratorie. È estremamente indicativo il caso dell’autolesionismo perché è scrittura e grido contro la propria persona e contro gli altri. È testimonianza che sanguina a partire dall’io.

Il tracollo emotivo può avvenire in qualsiasi momento, scatenando reazioni violente. Il game usualmente obbliga le persone a raccogliere le forze ed è momento di agentività verso un orizzonte di speranza e, quindi, diviene deterrente anche solo momentaneo al ripresentarsi dell’esperienza del fallimento. Di segno esattamente opposto è il campo e il Cas, dove il tempo vuoto, le attese esasperanti e l’inattività concorrono a introspezioni e al riportare a galla il rimosso. Anche l’ennesimo respingimento può risultare elemento detonante e ripresentare il fantasma di un fallimento esistenziale. Tuttavia, i fattori che concorrono a scatenare le introspezioni dolorose sono tanti e di sicuro l’abuso di alcool e di sostanze, spesso assunti insieme, producono comportamenti devianti e riportano a galla emotività, insofferenze, rabbie e ostilità maturate durante il cammino o anche già presenti in terra natia.

Non tutte le esperienze sono eguali e per la popolazione migrante proveniente dal Maghreb le derive dipendono anche dalla difficoltà nel trovare protezione umanitaria nei diversi paesi europei e nell’incontrare luoghi in cui albergare e fonti di reddito. La limitazione legale nel riconoscimento della protezione, soprattutto per le persone provenienti da paesi considerati “sicuri”, produce clandestinità. Sopravvivere a cavallo delle frontiere e nei margini dei vari contesti può indurre a strategie opportunistiche e a comportamenti illegali che producono a loro volta stigmatizzazioni generalizzanti e pregiudizi verso una terra o un popolo. L’espulsione è sovente la risposta e alla strada non c’è alternativa.

Nel caso di Mohammed si sono verificate tutte queste situazioni in modo concomitante. Tuttavia, ad esse si è aggiunto anche un conflitto causato da convivenza forzata e dalle storie di violenza e sopraffazione vissute durante la rotta. Gli afghani hanno memoria del trattamento a loro riservato in Iran, i magrebini delle bande afghane che assaltano le persone in cammino in Bulgaria, i subsahariani dei trattamenti degradanti subiti in terra “araba”. Il risentimento, anche quando argomentato con stereotipi, ha storia e riproduce relazioni di potere. Il margine è spesso foriero di abusi e di violenze e rende la vicinanza e la convivenza complessa.

2. Rotte fluide e cambiamenti di scenari

Dal 2017 al 2023 gli scenari migratori alla frontiera della Valle di Susa sono più volte cambiati repentinamente. Seppure queste montagne abbiano una lunga tradizione di immigrazione, solo dal 2017 diviene significativa la presenza di persone in cammino che non desiderano risiedere, ma transitare. Sono perlopiù subsahariani e nel primo inverno lo snodo è Bardonecchia e il valico da attraversare è quello del Colle della Scala. Già l’anno seguente i flussi cambiano destinazione e passano per Oulx scavallando il Monginevro con destinazione Briançon. Dal 2020 alla fine del 2022 il cambiamento più evidente riguarda la composizione dei gruppi in cammino e delle rotte: crolla la presenza africana e diviene predominante quella da nazioni orientali (in particolare Afghanistan, Iran e terre curde) con attraversamento dei Balcani (cfr. Altri report sulla frontiera Alpina).

Il 2023 si apre con il ricorrente calo di affluenze dovuto alla stagione invernale che rende più ardui gli spostamenti ed anche la navigazione. A partire da marzo riprende la crescita con andamento progressivo che sfocia in un vero e proprio rialzo numerico in luglio. Sul versante italiano si contano giorni in cui si toccano le 150 presenze, ospitate in gran parte a Oulx (capienza massima 70) e in forma ridotta a Bussoleno, mentre dal lato francese si supera più volte il tetto delle 200 presenze (capienza limite 80). Le oscillazioni degli arrivi a Oulx sono coerenti con i dati offerti dal Cruscotto statistico giornaliero 2.

Le oscillazioni mensili e quotidiane seguono andamenti irregolari dipendenti da molte variabili di natura geopolitica, dalle strategie statali di contenimento dei flussi, dalle temporalità imposte dai trafficanti ed anche dalla agentività delle persone in cammino nel variare rapidamente i loro tracciati. Ogni giorno negli snodi di passaggio si presentano imprevisti e nuovi scenari, che si devono comprendere rapidamente e a cui si deve poter rispondere in un lasso di tempo ridottissimo. Per altro verso possiamo confermare che non si tratta di episodicità dell’emergenza, ma di un fenomeno strutturale che ormai si ripropone negli anni. Per capirne concretamente il peso, non bisogna prendere in considerazione i soli nuovi arrivi ma come questi si coniugano con le partenze. La stessa persona può risultare più giorni presente in rifugio, perlopiù perché soggetto fragile o perché respinta in frontiera dopo essere stata intercettata dalla PAF.

L’afflusso numerico alla frontiera alpina del Nord-Ovest non è variato sensibilmente negli ultimi tre anni. Nel 2021 arrivano circa 10.000 persone, nel 2022 circa 9.000 ed anche nel primo semestre del 2023 rileviamo una certa coincidenza. A luglio di quest’anno si documenta uno scarto che potrebbe addirittura accentuarsi, anche per il crescente numero degli sbarchi.

Tuttavia, come abbiamo già anticipato, il vero drastico cambiamento si esplicita non tanto nelle discrepanze numeriche, ma nella composizione dei flussi e nel modificarsi delle rotte. In pochi mesi, da novembre 2022 a gennaio 2023, la rotta dei Balcani, strada maestra che portava a Oulx, perde gran parte della sua cogenza soprattutto per ciò che riguarda le persone che arrivano dall’Afghanistan, dall’Iran e dall’area curda: ad essa si sostituisce l’arrivo massivo di persone dall’area subsahariana con attraversamento del Mediterraneo centrale. Gli afghani diminuiscono del 28.4%, gli iraniani del 11.3% e in compenso gli ivoriani crescono del 4.6, i guineani quasi dell’5.6%, i camerunensi del 4.1% e i marocchini del 4.2% (ma erano già presenti in modo consistente).

Lo spazio di interrelazione si modifica sostanzialmente: la lingua franca non è più l’inglese, ma il francese; la variazione del colore della pelle diviene un ostacolo maggiore e per la PAF le identificazioni sono più facili; cambiano le vulnerabilità e le tipologie di violazioni dei diritti umani. Sia la composizione dei gruppi in viaggio, sia quella delle famiglie, sia le reti di solidarietà interna si propongono con altre modalità. La frammentarietà esperienziale diviene un elemento di insicurezza. Anche le temporalità dell’erranza sono diverse così come le disponibilità economiche di coloro che arrivano. Se da una parte le destinazioni finali cambiano (Francia e non più tanto Germania e Nord Europa), dall’altra i poli di attrazione divengono quasi evanescenti. Spesso le persone pensano a una nazione più che a una città. La scelta è dovuta non tanto alla presenza di riferimenti precisi nell’accoglienza, ma all’affinità linguistica e culturale e al retaggio coloniale ancora presente negli stati africani: anche le famiglie con figli valutano la similarità dei sistemi scolatici francesi a quelli esistenti nei paesi d’origine. La mancanza di catene migratorie è però destinata a creare problemi all’arrivo e diviene ostacolo all’inserimento nel nuovo contesto.

Alla complessità dello spazio di interrelazione si aggiunge la circostanza che le scarse competenze nell’affrontare territori montani e climi assai diversi da quelli africani rendono la barriera naturale alpina più ostile. L’umanità presente è portatrice di bisogni a cui si deve, o perlomeno si cerca, di rispondere in modo completamente distinto.

Se in un tempo assai ridotto abbiamo mutamenti sostanziali, si deve ragionare su una fluidità migratoria e su come siano possibili fluttuazioni così forti, per cui potremmo parlare di riconfigurazioni delle strategie di mobilità. Ancora una volta possiamo asserire che le variabili si danno per gli iraniani e gli afghani, mentre, seppur con una crescita numerica, non si sono verificate per il Maghreb che continua con una stessa tendenza. Tuttavia, mentre a Oulx, ma in modo analogo a Ventimiglia, sono calati gli arrivi dall’Oriente, questo dato non è vero per Trieste (nel solo mese di luglio gli afghani rappresentavano il 74,13% per un totale di 1688 persone). La rotta balcanica, sempre a Trieste, continua a essere presente (con un incremento rispetto a giugno del 59.7%: 2277 arrivi a luglio contro 1425 di giugno), ma è interessante rilevare una crescita delle famiglie numerose (Linea d’Ombra, Trieste 2023).

È in Italia che la mobilità interna subisce ramificazioni sensibili. A Oulx la presenza afghana e iraniana è presente, ma riguarda persone che arrivano da altro cammino: la rotta dell’Egeo, dalla Turchia alla Calabria.

3. Breve intermezzo: non esistono i migranti esiste il migrare

Questo concetto presente nel titolo, spiegato da Opher Thomson, ricercatore visuale, durante un seminario con l’Università di Parma e Onborders, potrebbe sembrare equivoco, ma crediamo offra indicazioni preziose sia dal punto di vista metodologico sia da quello operativo. Onde chiarire meglio le implicazioni, concordiamo con l’asserzione che non ci siano migranti ma persone. La cinica ragioneria delle morti per frontiera ricondotta a soli numeri è certamente aberrante, ma anche quella più giornalistica (e non solo) della riduzione delle vite a categorie spersonalizzate è ormai una consuetudine inaccettabile. La presenza di anni sul campo ha insegnato che l’eterogeneità dei percorsi migratori non solo implica comportamenti, desideri e domande differenti, ma anche una pluralità di modalità di abitare il cammino e distinte costruzioni della persona.

Nei primi paragrafi abbiamo cercato di offrire esempi di questa complessità che non si può semplicisticamente ridurre senza cadere in quell’umanitarismo che decide con prassi coloniale come sono e di che cosa hanno bisogno gli altri che vorremmo assistere. Negli occhi degli altri finiamo perlopiù di cercare i nostri. Parafrasando in modo assai libero le parole di un importante filosofo dell’Occidente: il “Io penso dunque è” ripropone uno stereotipo, per cui il mondo diviene tale perché ci siamo noi a guardarlo, ad assisterlo, a fargli prendere coscienza e a educarlo a decoro e civiltà. Non siamo così ingenui da non riconoscere la differenza tra lager e posti che cercano in tutti i modi di essere attenti e corretti, ma anche in questo secondo caso non siamo assolti nel chiamarci fuori da una storia e da un pregiudizio di superiorità che incomincia nell’incapacità di ascoltare gli altri.

Diverse culture, appartenenze nazionali e di classe, lingua, esperienze migratorie, gradi di alfabetizzazione, vessazioni patite, ascrizioni di genere, orientamenti sessuali, durata del viaggio, storie personali sono tutti elementi che frammentano la presunta omogeneità categoriale di cui si parlava prima. Per semplificare potremmo dire che un afghano e un ucraino sono ambedue migranti in fuga da guerre in cui siamo compromessi, ma per loro non si aprono nello stesso modo le porte. In modo analogo una donna e un uomo, ambedue subsahariani, in Libia e Tunisia hanno subito violenze di diverso tipo ed anche con conseguenze diverse. Come abbiamo già detto, le presenze al Rifugio Fraternità Massi di Oulx nel 2023 documenta una coesistenza quotidiana di persone eterogenee per ognuna delle categorie sopra indicate. Sia lo studio che le operatività di supporto cambiano a seconda dei soggetti presenti.

4. Ancora abitare il cammino

4.1 Maghreb

Le rotte migratorie ci permettono comunque una prima, se pur approssimativa, semplificazione analitica. Una parte significativa del flusso in arrivo proviene dal Maghreb e in particolare dal Marocco. Un consistente numero sceglie la via più lunga, con trasferimento in aereo in Turchia e poi via terra lungo la rotta balcanica. È interessante rilevare come nella maggior parte dei casi venga scartata la rotta del Mediterraneo centrale per i pericoli che presenta e perché, nonostante queste persone arrivino da paesi affacciati al mare, sono perlopiù originarie dell’entroterra e molte di origine berbera. Imbarcarsi presenta più difficoltà che contare sui propri piedi e inoltre permette, sempre che si sia fortunati, di arrivare nel Paese di destinazione senza aver rilasciato le impronte Eurodac. In interviste informali attivisti tunisini ci spiegavano come, al contrario, per le popolazioni della costa, soprattutto quelle dedite alla pesca, la via del mare sia quella naturale: la Sicilia è luogo di approdo e scambio sperimentato nei secoli. Pertanto, anche lo spostamento è spesso quello da costa a costa.

Può essere importante riporre l’attenzione a come le traiettorie magrebine siano inizialmente supportate e guidate dalle relazioni parentali e amicali che si hanno con connazionali già residenti in Europa e in seguito, durante il percorso, dalle relazioni che si stringono nei diversi margini. In questo caso i social interpersonali divengono lo strumento più adatto per il passaggio delle informazioni. Dalle testimonianze emerge che è poi la strada ad indicare come dirigere i passi.

La rotta dei Balcani è fruibile da coloro che hanno minore disponibilità di risorse e riserva difficoltà e offese da non sottovalutare. Abbiamo raccolto molteplici testimonianze di trattamenti disumani e degradanti alla frontiera tra la Turchia e la Bulgaria. Ci sono pervenuti video di persone morte nel cammino, di spietate cacce all’uomo da parte della polizia e da parte di milizie e di gruppi di civili, che assaltano e derubano le persone in transito. Con pratiche già sperimentate in Croazia, le persone spesso vengono lasciate prive di vestiti e di scarpe, aggiungendo ad offesa umiliazione.

Anche il passaggio verso la Grecia trova sbarramenti con violazioni sistematiche dei diritti umani. Il Nord della Serbia al confine con l’Ungheria rappresenta altro ostacolo con campi dove il degrado, il sovraffollamento e la mancanza delle condizioni minime di rispetto della dignità delle persone sono sistema. Lo scarto tra ciò che viene descritto dall’UNHCR e ciò che è evidente a qualsiasi ispezione è scandaloso. A lato di queste miserande condizioni, anche qui l’uso di cani, di efferati comportamenti delle polizie di frontiera e lo stesso muro sottopongono il popolo in transito ad angherie e sofferenze.

Il passaggio dalla Bosnia alla Croazia in direzione Slovenia e Italia continua ad essere complicato ma con attenuazione di quell’accanimento documentato e denunciato negli anni passati (Cfr: No man’s land in On Borders, Rivolti ai Balcani, Border violence monitoring network). Di fatto queste politiche di sbarramento, finanziate dall’UE, poi demandate alle prassi delle polizie di frontiera, oltre a causare vittime e patimenti sono promotrici di illegalità e di favoreggiamento del traffico prezzolato delle persone.

La disponibilità di denaro è limitata ed è necessario trarre vantaggio o sopravvivenza da ogni espediente. Per essere ancora più chiari, il margine è la scuola che costruisce persona con tutte le sue possibili derive. Non stupisce che questa strategia esistenziale produca attriti negli snodi di accoglienza e tensioni tra i diversi gruppi in movimento. Ad Oulx, oltre a quelli che arrivano per passare la frontiera, ce ne sono altri che, stanziali a Torino, utilizzano la distribuzione gratuita dei vestiti come approvvigionamento personale o commerciale. Anche a Yallah, casa occupata a Cesana nel 2022 e auto sgomberata quest’anno a seguito di un incendio, lo spazio prima gestito da attivisti s’era trasformato in luogo di residenzialità precaria con pratiche di taglieggiamento delle stesse persone in cammino.

4.2 Area subsahariana

Sempre mantenendo l’attenzione sui flussi dall’Africa, ma con riferimento a coloro che arrivano a Oulx, la presenza subsahariana è maggioritaria nel suo complesso ed ha dietro di sé la rotta del deserto, la Tunisia, poi l’imbarco con tutti i rischi letali che prevede. Il viaggio dalla Costa D’Avorio, dalla Guinea Conakry e dal Camerun (paesi di provenienza significativa) è un’odissea complessa e pericolosa. Le persone che affrontano questa rotta sono spesso soggette a ripetuti push-backs e deportazioni in Algeria, Tunisia, Libia, Marocco e spesso si trovano in condizioni di sfruttamento per anni, prima di poter passare al tratto successivo del cammino. Sovente le partenze e le promesse di appoggio sono offerte da connazionali che assicurano la possibilità di attraversare il deserto e poi di trovare occasione di lavoro in terra araba ed anche connessioni con i trafficanti che organizzano la traversata del Mediterraneo.

Tutto inizia con la corruzione, con una persona che ha conoscenze, che può raccomandare e che conosce politici, militari ed anche coloro che organizzano i trasferimenti. Ti può presentare alle persone giuste che sanno come si fanno le cose. Il suo lavoro finisce lì e il guadagno sta nel presentarti. Poi sono altri che organizzano il viaggio. Lui non lo vedi più, rimane in città. (Testimonianza di Alì, trad. Gorza P. giugno 2023)

Si tratta di personaggi che rimangono dietro le quinte. Mentre per le donne è quasi impossibile sfuggire alla violenza sessuale che si ripropone lungo tutta la rotta, per gli uomini il lavoro schiavizzato, la tortura ed altre violenze accompagnano ogni passo verso quella terra che nell’immaginazione dovrebbe garantire una vita qualificata e la possibilità di aiutare la famiglia rimasta in patria. Le violenze subite in Tunisia e in Libia incidono sul corpo e sedimentano nella memoria traumi e rancori che non si cancellano. I trattamenti degradanti inferti a subsahariani trovano giustificazione in un diffuso pregiudizio di una ferinità e di un carattere incivile delle persone di colore che minacciano la nazione con la presunta sostituzione etnica.

Anche in Nord Africa, con delle particolarità storiche dovute alla tratta del XVI secolo, l’”infra pensiero razzista”, per dirla con Michel Agier, è stato riattivato in questa primavera del 2023 dal presidente tunisino e s’è trasformato in rastrellamenti, caccia al nero e deportazioni nel deserto da parte di militari appoggiati da significative fasce della popolazione civile. Anche per coloro che hanno cercato di opporsi la repressione della solidarietà è divenuta ferrea. Si può essere intimiditi con fermi di polizia solo per aver cercato di fornire viveri e acqua. Più che nel neutralizzare possibili oppositori, l’obiettivo governativo sembra risiedere nel disarticolare nel profondo le logiche della convivenza, aprendo le vie a un autoritarismo discriminante e razzializzante.

Sono partito bambino dal Sudan, avevo 14 anni e sono 8 anni che viaggio. Sono passato attraverso il deserto e mi sono fermato in Marocco, Libia e Tunisia. Guarda sul mio braccio i segni delle torture e ho cicatrici su tutto il corpo. (Testimonianza di Joseph, luglio 2023)

Anche coloro che ormai da anni avevano trovato attività lavorative sono stati travolti dalla ondata xenofoba. Tuttavia, per chi fugge dall’Africa subsahariana il Maghreb è uno degli snodi, quasi un imbuto, difficile da evitare ed è così che la rotta centrale del mare Mediterraneo è divenuta una delle vie forzate di questo flusso. Il mare dopo il deserto è il secondo grande ostacolo, fonte di lauti guadagni per i locali. Ancora una volta sono le catene di mediatori che preparano le fasi dell’imbarco. Per districarsi in questa situazione di discriminazione, un giovane sudanese passato per Oulx raccontava come la possibilità di sfuggire ad inganni, truffe e promesse mendaci, è non credere a ciò che appare, a ciò che può essere pubblicato anche sul web, ma abbisogna di certosini e lenti accertamenti, ascoltando ciò che viene trasmesso “de la bouche à l’oreille”. Alla domanda su quanto denaro sia necessario, la risposta mette in imbarazzo: “La domanda è sbagliata, quando si deve scegliere tra la vita e la morte, non c’è una quantità. È sempre tutto quello che hai a disposizione” (testimonianza, luglio 2023). Pochi hanno voglia di parlare del mare e del deserto, troppo orrore e paura sono ancora presenti negli occhi e nell’anima. Spesso gli accenni rimandano a sensazioni che raccontano di una vicinanza alla morte che lascia senza parole.

Non sai come urlino di notte le onde del mare nero. Non sai se arriverai o se è il tuo ultimo giorno (testimonianza di Ismail. Giugno 2023)

A seguito dello sbarco in Italia incominciano i tempi infantilizzanti e vuoti dei Cas, i tentativi di fuga e finalmente l’arrivo a Oulx. Quasi nessuno vuole fermarsi e lo sguardo è ancora diretto oltre l’orizzonte. Si erge però una barriera ancora differente: la montagna, muro di pietra, sconosciuto e spesso sottovalutato.

4.3 Afghanistan, Iran e aree curde

Come abbiamo documentato il numero delle persone in cammino che arrivano a Oulx, provenienti da Afghanistan, Iran, Iraq e terre curde, si è repentinamente ridotto nel 2023. Tuttavia, questi flussi permangono e hanno dinamiche differenti. Dal 2020 al 2022, la rotta balcanica ha raccolto i tanti rivoli di un cammino a piedi, scavallando frontiere interne ed esterne alla UE. Queste rotte continuano ad essere vigenti fino al confine orientale italiano, ma ora da una parte si sono ridotti i tempi di percorrenza e dall’altro non si disegnano più fino alla nostra frontiera occidentale, ma deviano prima.

Anche la composizione di queste persone in movimento presenta eterogeneità, ma vi sono molte specificità e spesso comunanza linguistica. Le differenze incominciano con l’urgenza che si ha di partire e con la possibilità di pianificare il viaggio, ma evidentemente dipendono dal denaro disponibile, dall’età, dal genere, dal numero dei componenti di un ipotetico gruppo ed anche dalla prestanza fisica. Il viaggio via terra attraverso i Balcani si diversifica a partire dalla Turchia: può orientarsi in certi momenti verso la Grecia, in altri può essere attraverso la Bulgaria.

La scelta del cammino dipende sia da ragioni esogene (cambiamenti nelle politiche di governo dei flussi) sia per ragioni interne e quindi inerenti alle reti di smuggler che possono avere più contatti in una via piuttosto che in altra. Lungo tutta la rotta continuano le biforcazioni: dalla Grecia si squaderna la scelta tra Macedonia e Albania, poi Montenegro e Bosnia. Al Nord della Serbia le opzioni variano tra il transito in Ungheria, Austria o attraverso la Bosnia o addirittura direttamente dalla Croazia alla Slovenia all’Italia.

Se, come abbiamo detto, da una parte la via dei Balcani è alla portata di coloro che hanno risorse limitate o delle famiglie troppo numerose, la rotta dell’Egeo, dalla Turchia alla Calabria (Roccella Ionica e Crotone) riguarda di solito gruppi omogenei e numericamente consistenti che poi si muovono con determinazione collettiva. Per un verso siamo di fronte a persone in generale più agiate e più organizzate, spesso resistenti ad ogni consiglio dato in loco dai volontari e solidali. Sono persone con maggiore disponibilità economica che possono pagare gli 8.000-10.000 euro per la traversata, oppure nuclei consistenti di minori maschi non accompagnati, ma anche loro eterodiretti e in viaggio insieme dalla terra di origine. Nel primo caso, rispetto alla rotta dei Balcani si intuisce una ragione di classe, nel secondo caso, che non è alternativa alla prima motivazione, è plausibile che vi siano dietro scelte di gruppi parentali e vicinali estesi che investono sul viaggio dei minori e che organizzano il percorso non per segmenti ma in toto, potendo anche contrattare condizioni vantaggiose e relativa sicurezza con gli smuggler.

Con gli smuggler, come spesso capita con la malavita, ci sono spazi di contrattazione, in quanto le variegate reti emiche e il passaparola possono compromettere anche i guadagni di coloro che lucrano sulla miseria. Tra le diverse testimonianze è esemplificativo il caso di una famiglia iraniana che si imbarca in Turchia, ma la nave patisce un’avaria in prossimità di Creta e il viaggio si interrompe. La famiglia chiede la restituzione del denaro e dopo trattativa improduttiva riesce a mettersi in contatto con gli organizzatori e ottiene una parziale restituzione del denaro, pagando solo il costo della tratta effettuata (testimonianza raccolta a Oulx, aprile 2023). Anche quando partono gruppi di minori non accompagnati c’è la possibilità per chi rimane in patria di effettuare controlli sulla veridicità delle promesse. Per gli imprenditori dell’illegalità funziona la logica di mercato: l’ottenimento del risultato o il possibile rimborso possono risultare funzionali alla moltiplicazione dei profitti.

La preparazione del viaggio è spesso meticolosa e supportata ormai dall’esperienza di quelli che sono riusciti ad arrivare. A disposizione per la definizione del tragitto vi sono reti online strutturate che possono offrire informazioni da prima della partenza fino all’arrivo con consulenze gratuite e offerte prezzolate. Imprenditorialità extralegale e smuggling hanno confini labili, ma in ogni caso sono queste informazioni che poi determinano i tempi e le modalità dell’esperienza migratoria. Per capire l’importanza di questi canali è sufficiente pensare che ad alcuni si iscrivono decine di migliaia di persone e che alle chat notturne possono parteciparvi centinaia con diritto parola.

Non sempre la programmazione del viaggio garantisce esiti positivi – Cutro insegna-, ma certamente offre differenti possibilità da quelle a cui sono costretti i subsahariani e i magrebini. Da tutti questi fattori dipendono i tempi, i modi, le sofferenze e le possibilità di continuare il viaggio.

La conoscenza di questi meccanismi permette ai solidali di capire la ragione per cui coloro che arrivano anche a Oulx spesso non ascoltano i consigli salva-vita, ma preferiscono attenersi a tutte quelle indicazioni che hanno ricevuto, in quanto, per esperienza, sono quelle che hanno permesso l’arrivo fino alla frontiera alpina del Nord Ovest italiano.

5. Donne e minori: dalle diagnosi alle operatività

Ritornare alle problematiche attuali delle donne in cammino non è strategia demagogica: uomini, donne e persone di tutte le età sono portatori di diritti e durante la scommessa migratoria hanno subito vessazioni. Il sistema securitario di frontiera esterna violenza in ogni sua declinazione e non risparmia nessuno. Perlopiù sono morti in montagna uomini, ma nel contesto attuale sono proprio le donne ad essere le più esposte ai rischi della frontiera montana.

… Passo in soggiorno dicendo che sono una volontaria e chiedo se qualcuno ha bisogno. … Mariame comincia a raccontare senza sosta, fermandosi solo per rispondere alle domande. Mariame ha 25 anni ed è ivoriana. Viaggia da sola e due anni fa ha lasciato il suo Paese. È piccolina, sorridente, simpatica. La sua era una famiglia povera, vivevano di “cucito”. Poi suo padre ha chiesto a un suo amico un campo da coltivare e l’ha ottenuto. In cambio del campo ha dato all’amico sua figlia, Mariame, di 15 anni. Lei ha provato ad opporsi, è stata picchiata dal padre (ci fa vedere le cicatrici sulle mani e sulle braccia) e non ha avuto scelta. La madre le diceva: “Stai tranquilla le cose si sistemeranno”. L’uomo aveva più di 60 anni. “Era violento, cattivo e non mi ha mai sposata”. Con lui Mariame ha avuto tre figli, la più grande ora ha 8 anni. Tutte le figlie sono rimaste con sua madre, la loro nonna. Tre anni fa quest’uomo è morto e Mariame ha pensato di essere libera. Ma il fratello di suo marito ha detto che la “prendeva lui”. Stavolta Mariame si è opposta. … ha parlato con una vicina che ha una cognata in Belgio e sua madre le ha procurato del denaro. Ha portato i bambini alla madre ed è partita. Ha attraversato la Nigeria, il Niger, l’Algeria e la Tunisia. Ha finito i soldi in fretta. Ha dovuto lavorare. È stata violentata prima dai militari algerini nel deserto e poi dai tunisini. In Tunisia per avere i soldi per imbarcarsi ha lavorato parecchi mesi come donna di servizio da una signora. Poi si è imbarcata. La barca ha fatto naufragio, con 38 morti. Mariane si è salvata ed è stata riportata in Tunisia. La signora da cui aveva lavorato le ha regalato dei soldi. Si è imbarcata nuovamente. La barca è di nuovo naufragata. Non ci dice il numero dei morti. Tornata in Tunisia ha lavorato per altri mesi per poter riprendere la via del mare. È arrivata a Lampedusa al terzo tentativo, dieci giorni fa. Ora sta bene ma ha un ritardo mestruale di dieci giorni. Il test di gravidanza risulta positivo. Mariame è incinta per la violenza che ha subito in Tunisia, e non vuole tenere quel bambino, ma vuole continuare il cammino (Diario di campo di Onborders, Oulx luglio 2023).

In tutti questi anni sono passate tante famiglie estese e plurigenerazionali, più di 400 nel 2022. Provenivano da Oriente, a volte numerose, si scorporavano durante il tragitto, con segmenti che aprivano il cammino e altre che seguivano a distanza di tempo. I costi del viaggio erano troppo onerosi. Tuttavia, si trattava di famiglie coese, in cui anche gli adolescenti divenivano attori e le donne erano perlopiù protette. La maggioranza delle persone in cammino aveva un progetto, una destinazione e fonti di conoscenza per seguire i vari tragitti.

Nel 2023 sono arrivate nei primi 7 mesi 213 famiglie, con un andamento leggermente superiore all’anno precedente. Possiamo già anticipare che in agosto il fenomeno ha subito una forte crescita, inducendo a pensare che questo indicatore sia parte di una linea di tendenza che caratterizzerà i prossimi mesi.

Come abbiamo già sottolineato in questo testo, la situazione delle famiglie subsahariane è completamente distinta da quella dei precedenti anni: donne sole che viaggiano, nuclei che si dicono domestici, ma nati da accorpamenti in viaggio. Si tratta di persone che hanno passato il deserto e dovuto risiedere in Tunisia, vivendo l’orrore delle violenze, se non le deportazioni. Poi l’imbarco e come dicono loro, “le onde del mare nero” e quando arrivano alla frontiera alpina del Nord-ovest si portano dietro le memorie dell’orrore. Siamo di fronte a corpi offesi, smarrimenti, diffidenze e paure, ma anche alla volontà di lasciarsi dietro il passato a qualsiasi costo. Anche al prezzo di affidarsi di nuovo a figure maschili che per un verso si temono e per altro si necessitano. Gli accompagnamenti possono essere risultato di affettività incontrata durante il cammino, di comprensibile necessità di supporto, o di sottomissione a logiche di tratta.

Donne sole e famiglie arrivano a Oulx perché è un posto sicuro, ma questo dato positivo si trasforma in un problema difficile da risolvere, perché i numeri crescono parallelamente ai casi vulnerabili: si stratificano fragilità e difficoltà. Per chi opera a Oulx diviene doveroso accogliere in modo rassicurante, dimostrare che chi si avvicina a loro non lo fa per interesse profittatorio, diagnosticare rapidamente criticità e pericoli (non sempre chi accompagna è disinteressato), offrire strumenti di autonomia, rispondere ad esigenze mediche e legali. Per le donne sole diviene prioritario poter ripartire in condizioni di sicurezza assieme ad altri compagni di viaggio che possano proteggerle. Gravidanze, bambini, parti troppo recenti esplicitano vulnerabilità che non possono essere trascurate, soprattutto quando si devono percorrere 25 chilometri in montagna. Sovente, nonostante i volontari e i medici cerchino di dissuadere dal partire subito e dall’intraprendere cammini pericolosi, gli appelli cadono nel vuoto.

Ho attraversato il deserto, ho camminato per giorni, ho visto più volte vicina la morte, ho attraversato il Mediterraneo, vuoi che abbia paura di queste montagne. (Leyla, luglio 2023)

Ogni volta la scommessa apre però il campo a esiti letali. Non ci stanchiamo di ripetere che in queste condizioni la morte in montagna è una possibilità che si ripropone ogni giorno.

Di segno completamente distinto è il caso dei minori non accompagnati. Il valico del Monginevro è per loro una frontiera relativamente sicura. La PAF riconosce protezione e garantisce il passaggio a coloro che all’entrata in Italia sono stati registrati con la minore età. Nel 2022 sono transitati 747 MSNA e 299 nei primi 7 mesi del 2023:

Gli arrivi, di solito in gruppo, sono temporalmente connessi agli sbarchi e quindi seguono un andamento irregolare che dipende dalle condizioni del mare e da chi organizza i viaggi. Durante l’inverno si verificano cali per le condizioni metereologiche poco favorevoli alla navigazione. Mentre nel 2022 la quasi totalità dei minori proveniva dall’Oriente, nel 2023 alla rotta dell’Egeo si affianca quella del Mediterraneo centrale. Anche qui verifichiamo condizioni distinte: le testimonianze ci confermano che, nel caso degli afghani, iraniani, irakeni e curdi, la scommessa migratoria è organizzata fin dalla partenza da reti parentali e amicali che pianificano la messa in sicurezza dei minori in gruppo verso l’Europa e, soprattutto, fuori dal proprio Paese. È un investimento e una cura verso i figli che potranno, a loro volta, essere riferimento per altre partenze.

Non stupisce dunque che le famiglie estese investano cifre consistenti per abbreviare i tempi del transito e li espongano meno alle vessazioni. Per i ragazzi subsahariani, la fuga dai propri lidi presenta tempi più lunghi, minori esborsi di denaro e permanenze nel Maghreb. Mentre per i primi siamo di fronte a gruppi coesi fin dalla partenza, nel secondo gli accorpamenti maturano durante il viaggio. In ambedue i casi, la solidarietà generazionale è di vitale importanza per difendersi dagli abusi degli adulti. È significativo sottolineare che i MSNA sono praticamente tutti maschi.

Lo sbarco in Italia è momento di salvezza, ma anche problematico per i seguenti spostamenti. Se il minore viene registrato nei formati Eurodac per la sua reale età, i passaggi verso le altre frontiere sono più semplici. Lo Stato che li riceve deve permettere il transito e assicurare protezione per legge. Tuttavia, spesso, al momento dello sbarco non viene registrata la reale età del ragazzo e allora la via del transito clandestino rimane l’unica soluzione. A volte è la polizia che impone la maggiore età, altre volte la scelta è consigliata dai mediatori, ma anche il minore può offrire altre generalità per timore di essere separato dai compagni di viaggio. C’è un paradosso legale nella protezione dei minori in transito: in quasi tutte le città d’Italia non ci sono centri che li accolgano, in quanto il loro stato giuridico non considera la possibilità che essi vogliano continuare il cammino, ma solo che debbano essere accuditi in modo stanziale. Così una norma che dovrebbe proteggere la loro minore età li costringe a rimanere in strada e fuori dai centri e in balia di ogni genere di incertezza e pericolo.

6. Militarizzazione del confine e dispositivi securitari

Giorno e notte le montagne transfrontaliere sono pattugliate dalla PAF. Questo dispositivo securitario, inutile, oneroso, violento e demagogico, è parte del tragico palcoscenico del governo delle migrazioni. Al di là delle retoriche governative e degli screzi diplomatici tra Italia e Francia, questa prassi è perfettamente coerente con ciò che avviene sulle altre frontiere dell’UE: si sbarrano all’entrata e si allenta il controllo all’uscita. La polizia francese a Montgenevre si comporta come quella italiana a Trieste. Vi è un aspetto programmatico e sistemico nelle strategie oppositive alla libertà di movimento che coinvolge tutta l’Europa (e lo testimoniano le sequenze di stragi da Cutro a Pylos), da quelle ormai quotidiane a Lampedusa a quelle più stemperate lungo tutta la rotta balcanica. Le persone muoiono di frontiera e trasformano l’Europa dei diritti in un grande cimitero in cui la morte è risultato di cinica premeditazione. 96 persone migranti hanno perso la vita sulle Alpi, di cui 50 alle frontiere italo-francesi (Hautes Alpes e Liguri) e, dal 2018, 10 sulle nostre montagne al confine dell’Alta Valle di Susa. Da Blessing nel 2018 a Moussa nel 2023 si ripete uno stesso copione con responsabilità ineludibili da parte delle autorità statali nel demandare alle polizie di frontiera il compito della risposta militare e dell’applicazione di prassi illegali.

Nel quadro dell’economia delle migrazioni, le strategie xenofobe dei vari governi sono un capitale politico giocato in modo vergognoso quanto sfrontato ancora una volta sulla pelle dei più deboli. Non si fermano i flussi da nessuna parte e le leggi (dal decreto Cutro alla legge 50/23 e successivi provvedimenti) ottengono un unico risultato: più vittime, più clandestinità, più ricorso all’illegalità. Anche sulle montagne dell’Alta Valle di Susa le persone continuano a passare, ma ciclicamente la morte torna ad affacciarsi ed oggi la preoccupazione si concentra sui più deboli tra i deboli. Per ogni donna incinta, per ogni famiglia numerosa con bambini piccoli e per ogni persona più offesa delle altre si prospetta lo scenario dell’incidente, dello smarrimento, del possibile lutto o di un facile respingimento. L’abbiamo ripetutamente denunciato: non si muore di montagna, ma di frontiera.

7. Vulnerabilità medico-sanitarie e problematiche legali

Le problematiche sanitarie e mediche presenti ad Oulx sono molteplici, sia sul piano meramente fisico che su quello psicologico (Cfr.: MEDU, maggio 2023).

Le principali patologie riscontrate sono strettamente connesse al viaggio, alle sue condizioni, alla sua durata, alle violenze subite e alla cronicizzazione di patologie non curate: traumi osteomuscolari; ferite, lesioni cutanee, ustioni e punture d’insetto sovente con sovra infezioni; lesioni ai piedi da marcia prolungata con scarpe inadatte e sui terreni più vari; infezioni non solo cutanee (scabbia), spesso cronicizzate. Le difficoltà aumentano se queste situazioni si sovrappongono a problemi di salute o a disabilità preesistenti o in concomitanza a gravidanza o a tenera età. Sovente, le donne gravide e i bambini non hanno usufruito di controlli medici durante il loro migrare.

MEDU ha denunciato il mancato accesso alle cure nei paesi di transito e la grave inadeguatezza dei servizi sanitari e di cura presenti negli hotspot italiani. Siamo di fronte a un limite strutturale dell’attenzione medica solidale verso persone in cammino: ragiona per “isole” e non per tracciati, per cui spesso le diagnosi in ogni presidio possono poco usufruire dei referti precedenti.

Sono state visitate persone con sintomi da stress post traumatico, spesso correlati a dipendenze, in particolare da farmaci, per la maggior parte da Lyrica e Rivotril, perlopiù somministrati in dosi massicce nei campi, nelle carceri e nei luoghi di detenzione per contenere e sedare le persone presenti.

Per quel che riguarda le donne, in particolare per quelle provenienti dalla Libia e dalla Tunisia, le visite e i colloqui con le pazienti hanno accertato, oltre alle infezioni genitali, ricorrenti gravidanze conseguenti a stupro, lesioni ugualmente riconducibili a violenza sessuale, disturbi psicosomatici e sintomi post traumatici dovuti alle sevizie subite. In alcuni casi le sintomatologie e le dichiarazioni rimandano, e sono coerenti, agli indicatori di tratta.

Si incontrano anche, seppur raramente, persone portatrici di patologie croniche, già note nelle strutture sanitarie dei paesi di origine, dove era impossibile curarsi per motivi economici o per inadeguatezza dei servizi di attenzione alla salute o per ambedue le ragioni, e in rari casi patologie gravi di nuova diagnosi. In queste situazioni si opera per l’inserimento in un percorso di diagnosi e cura nel SSN, con la collaborazione di tutte le associazioni presenti in rifugio.

Per quanto riguarda l’ambito sanitario in rifugio operano: Rainbow for Africa (R4A), che mette a disposizione le infrastrutture, l’attrezzatura sanitaria e i farmaci, oltre a garantire la presenza serale di un infermiere e quella periodica di medici volontari. Medici per i Diritti Umani (MEDU) che assicura un’assistenza medica per tre giorni alla settimana, coordina le attività sanitarie e i medici volontari. NutriAid che fornisce i farmaci e l’ambulatorio e offre l’intervento pediatrico quando ve ne è necessità.

Oulx è luogo di transito, di rapido passaggio, e questo in alcune situazioni è un grosso limite. Si cerca di ascoltare tutti quelli che dicono di avere un problema di salute, di individuare i casi che necessitano di cure in altra sede, indirizzando i pazienti verso i poli sanitari specializzati. D’altra parte, le persone in transito a Oulx, dopo aver usufruito di cure mediche, sovente scelgono di partire, anche scappando dall’ospedale appena ritengono di essere in grado di continuare il cammino. È esemplificativo il caso delle donne incinte al nono mese che scelgono di affrontare la montagna piuttosto che fermarsi, perché è più rilevante per loro che la nascita del figlio avvenga nella terra per cui sono partite. I concetti di salute, malattia, vita e morte devono essere ricodificati alla luce della frontiera e dei cammini svolti. Cura e aver cura sono due facce della stessa medaglia.

Sul piano giuridico, il primo aspetto da rilevare è che per lo più le persone che arrivano fino ad Oulx non hanno ben chiara quella ragnatela di norme e di prassi che cattura i loro passi e sbarra loro futuri. Se chi arriva dalla rotta balcanica può ancora aver avuto la possibilità di non lasciare tracce lungo il percorso, questo in generale non accade alle persone che arrivano via mare. Sbarcati a Lampedusa, a Crotone, a Roccella Ionica, in ogni caso lasciano le loro impronte sul nostro territorio. Immessi nel sistema Eurodac il loro percorso si complica.

Molti, moltissimi, approdano in Italia con la convinzione di avere davanti a sé tutte le mete aperte. Di recente siamo stati a Roccella Ionica per cercare di capire la situazione in loco. Dopo lo sbarco, assolte le procedure di identificazione e di controllo, le persone venivano rilasciate. Le abbiamo incontrate alla stazione, nessuna aveva idea di ciò che significava quel foglio che era stato loro rilasciato: tutte pensavano che quel documento fosse il loro lasciapassare per l’Europa. Tutte avevano dichiarato di non volere chiedere asilo in Italia, di voler andare in Germania, in Francia, in Inghilterra, in Olanda, in Belgio, in Svezia… Tutte avevano in mano un foglio di espulsione, ma non lo sapevano. Quel foglio imponeva loro di lasciare il territorio italiano e l’area Schengen, con divieto di reingresso per tre anni.

Da Lampedusa arrivano invece, per lo più, con una procedura di asilo avviata. Trasferiti quasi subito nei CAS del territorio italiano, scappano e arrivano da noi a Oulx. Vogliono continuare il loro cammino, e passare la frontiera con la Francia. I respingimenti da parte francese sono quotidiani e reiterati. La prassi per cui si impedisce alle persone di chiedere asilo in Francia, e per legge chiunque si presenti alla frontiera ha diritto di fare domanda ed essere accolto, indipendentemente dall’esito che poi avrà quella domanda, produce catene di respingimenti illegali. È tuttavia vero che, alla fine, quella frontiera si riesce a valicare. Spesso dopo ci ricontattano, le impronte Eurodac hanno dato il loro responso, l’asilo nei luoghi di destinazione è stato negato: sono stati dublinati. Alcuni in Italia, altri, quelli passati lungo la rotta balcanica, in Croazia o Slovenia. Quasi tutti ritenteranno. Molti vivranno a cavallo fra frontiere, nella marginalità e nell’illegalità. Hannah Arendt parlerebbe di “schiuma della terra”.

Situazione specifica è quella dei minori non accompagnati (MSNA). Se, come spesso accade, sono stati registrati come maggiorenni allo sbarco, vengono sistematicamente respinti in frontiera dalle autorità francesi e questo, si desidera sottolinearlo, anche se possono fornire documentazione della minore età. Si tratta, ovviamente, dell’ennesima prassi che nega diritto e rispetto delle leggi di protezione dei minori, i quali sempre possono esercitare il loro diritto all’accertamento dell’età effettiva, indipendentemente da quanto precedentemente registrato o anche dichiarato. Se invece sono stati registrati come minori, alla frontiera italo francese vengono accolti e poste in atto le misure di protezione speciale previste dalla legge. Lo si sottolinea come dato positivo, perché, dalle notizie in nostro possesso, diversamente avviene al confine con Ventimiglia.

Delle persone in transito, non sono molti quelli che richiedono asilo in Italia. Lo sportello di consulenza legale di Diaconia Valdese opera in modo eccellente facendo da tramite con la Prefettura e la Questura, ravvisando le posizioni di fragilità, sistematicamente operando per cercare di risolvere gli innumerevoli intralci burocratici che impediscono il diritto all’accoglienza (si rimanda in specifico al report di MEDU maggio 2023 citato, ove si descrive l’intervento di Diaconia Valdese e le problematiche riscontrate). Spesso si tratta di una lotta contro i mulini a vento: una famiglia tunisina richiedente asilo composta da padre, madre, due bambini, ha dovuto sostare quasi due mesi in rifugio perché non vi era per loro nessuna possibilità di accoglienza istituzionale. L’alternativa era lasciarli a dormire per strada. Il problema enorme è la difficoltà, anzi la quasi impossibilità, di richiedere un appuntamento in questura per presentare domanda di asilo. I tempi sono lunghissimi e costringono le persone a quotidiane code chilometriche per riuscire solo ad avvicinarsi allo sportello predisposto.

Ogni giorno è lo stesso calvario riproposto: ti metti in coda, aspetti, non riesci, ritorni. Si va avanti per mesi, ma fino a quando non si riesce a presentare la propria domanda non si ha diritto a nulla se non alla strada. A volte, nemmeno questo è sufficiente per ottenere un’accoglienza dignitosa.

Nella circolare del Ministero dell’Interno del 7.08.2023, peraltro strettamente coordinata alla legge 50/23: «si evidenzia la necessità che venga disposta la cessazione delle misure di accoglienza, anche nelle more della consegna del conseguente permesso di soggiorno», per far posto ai richiedenti asilo 3.

Questo provvedimento riguarda i soggetti che hanno ottenuto la protezione internazionale o speciale e sono al momento ospiti dei CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria che forniscono assistenza di base senza, peraltro, neanche i servizi legali e psicologi). Si tratta di migliaia di persone, parcheggiate nei CAS in attesa che venga loro materialmente consegnato il permesso ottenuto e che vengano inseriti nel sistema SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione, costituito dalla rete degli Enti Locali che operano in direzione dell’accoglienza integrata). Concretamente questo significa che queste migliaia di persone si ritroveranno all’improvviso in mezzo alla strada: il comunicato emesso dal TAI (Tavolo Accoglienza e Asilo) e rivolto alle Istituzioni testualmente denuncia l’illegittimità del provvedimento e chiede che “si arresti immediatamente la deriva del sistema dell’accoglienza e l’intervento istituzionale venga riportato dentro il quadro previsto dalle direttive europee e perché non si rinnovi una stagione di ghetti e di produzione di disagio sociale estremo, scaricato sui territori. È inaccettabile contrapporre richiedenti asilo a titolari di protezione, quando è chiaro l’obbligo dello Stato di predisporre misure di accoglienza per ognuno di loro. È necessario invertire subito la marcia (…) impedendo che migliaia di persone titolari di diritti fondamentali e inviolabili vengano trasformate in senza fissa dimora e abbandonate per strada” 4.

Davvero, il game non finisce mai. Li ritroveremo ancora in frontiera, giocandosi nuovamente la sorte, tentando di arrivare alla successiva casella (quella vincente?) per scoprire l’inevitabilità di un labirinto in cui non si arriva mai da nessuna parte, ma sempre si ritorna indietro sulla strada.

8. Temporalità, biografie e presenza

A Oulx nel Rifugio Fraternità Massi le persone in cammino rimangono in media uno o due giorni, tranne le eccezioni per le persone più fragili o in condizioni di salute critiche. In questo breve lasso temporale operatori, volontari, solidali e associazioni devono nutrire, albergare, attrezzare per la montagna, informare sui pericoli, curare e offrire consulenza giuridica: operazione possibile per la pluralità degli attori che operano parallelamente nello shelter. Anche l’affiancamento ha le sue temporalità: a parte le associazioni che si occupano della parte medico-sanitaria, di cui già abbiamo parlato, i dipendenti di Talità Kum sono presenti in coppia e con turni di 12 ore, questo perché il rifugio è aperto 24 ore su 24. Vi è poi Diaconia Valdese con la presenza di un operatore legale quattro giorni la settimana. I volontari si alternano durante la settimana distribuendo attrezzature, vestiario, accompagnamento agli autobus e supporto al rifugio nei lavori di pulizia; Onborders offre in modo quotidiano ascolto e mediazione culturale alle persone in cammino, competenze antropologiche, supporto agli altri attori presenti nello shelter e connessione con reti solidali in Italia e all’estero.

Le temporalità del cammino migrante cambiano le modalità di costruzione del sé, i comportamenti negli snodi, i bisogni e le vulnerabilità di chi è in cammino. Non prendere in considerazione questo aspetto comporta minore attenzione a coloro che non sono solo oggetto della “nostra buona volontà”, ma soggetti con cui interagiamo in nome di giustizia e diritto. Sempre con l’angolo prospettico di chi passa per Oulx, la rotta balcanica ha obbligato per anni a tempi lunghissimi di viaggio con confinamenti, spesso infantilizzanti, in campi, accompagnati da reiterati tentativi di “bucare le frontiere”.

Passare da 2 a 6 anni in viaggio era una vera propria dimensione antropopoietica, ossia un tempo che costruiva persona. Per alcuni significava lasciare il Paese piccolissimi e poi crescere in viaggio, per altri trascorrere l’adolescenza a cavallo di frontiere, per altri ancora crescere prole in una geografia extranazionale e sempre in bilico tra margini. Durante questa Odissea nascevano figli e si concretizzava un sogno e un’urgenza di vita qualificata al ritmo dei propri passi. Questo itinerare era esperienza nell’attraversare spazi ostili, nell’orientarsi e camminare verso un orizzonte. Arrivare in montagna era segmento territoriale a cui si era preparati.

Da fine del 2022, questa rotta è mutata anche in relazione al tempo: la si attraversa con maggiore rapidità. Inoltre, è affiancata da quella marittima che direttamente dalle spiagge turche di Smirne e Bursa conduce a Crotone e a Roccella ionica. Mentre il cammino terrestre stratifica esperienze, la via veloce del mare non si configura come rito di passaggio e spesso lascia le persone “chiuse” nel loro viaggio.

La rotta del Mediterraneo centrale rimane la più ostica e inumana e porta con sé di nuovo temporalità estese dovute a permanenze lunghe in Niger, in Libia, Algeria e Tunisia e poi la letalità del mare. La genitorialità, nei lunghi viaggi balcanici poteva anche essere letta come un dare corpo e tempo al futuro, ma per le donne africane la gravidanza è memoria tangibile della violenza patita da cui si vuole prendere le distanze con possibili e volontarie interruzioni.

Oulx, proprio per la sua vicinanza alla frontiera è tempo condensato di ansia, ma anche momento in cui le fragilità vengono tenute a freno per la necessità di raccogliere tutte le energie per il passaggio: un problema anche di temporalità. Si ripete quanto ci veniva raccontato in Bosnia a proposito di chi stava in insediamenti informali frontalieri e di chi, al contrario, si rifugiava nei campi ufficiali: i primi nonostante la precarietà delle condizioni erano portati ad un’agentività, mentre i secondi spesso rimanevano intrappolati in tempi morti di passività e in permanenze durature quanto umilianti (comunicazione personale di Silvia Maraone, IPSIA, Bihać, aprile 2022).

Forse anche per questa ragione, la regola della permanenza breve nello shelter di Oulx (per altro assai diverso dagli ambiti di accoglienza balcanica) ha una funzione psicologica positiva: contenere l’emersione degli inferni interiori. Se questa considerazione empirica trova conferme etnografiche in terre diverse non deve essere generalizzata. Infatti, ripetute volte si sono verificati tracolli emotivi, ma, bisogna anche dire, perlopiù in persone dipendenti da droghe o che assumevano farmaci insieme ad alcol. Tuttavia, anche in questo caso l’ascolto è forse la strategia più razionale per evitare il deflagrare di derive violente e pericolose per tutti.

Poi rimane il game, lo scavalcamento della frontiera, dove, più che in ogni altro luogo si evidenzia la centralità del confine, rispetto a cui tutti gli attori si posizionano. Non è affermazione secondaria ricordare questa centralità che unisce lo spazio geografico delle montagne e dei sentieri che portano da Claviere a Briançon e che collega dunque le due nazioni transfrontaliere. La preparazione italiana nel mettere in sicurezza le persone in cammino e quella francese nel cercare di salvarle sul proprio versante, e in seguito nell’accoglierle, sono idealmente speculari seppur separate.

Su queste pendici il giorno e la notte dischiudono due geografie, quella dell’edonismo turistico e quella migrante in cui ci si gioca la vita.

Se da una parte ad alcuni è permesso transitare amenamente ad altri questo luogo può risultare sbarrato manu militari. Sei o sette ore di marcia e più di venti chilometri di percorso alpino sono lo spazio-tempo che le persone migranti devono affrontare. Arrivare alle Terrasses Solidaires, shelter di Briançon, è un passo decisivo di un cammino verso il diritto a una vita dignitosa.

9. Ascoltare per capire, capire per operare

Non si capisce una frontiera se non la si legge in relazione alle precedenti e le persone che arrivano si portano dietro l’esperienza pregressa, carica di desiderio e patimento. Per questa ragione il cosiddetto “ritorno al soggetto” in cammino è strategia copernicana per rilevare le problematiche da affrontare.

Lo shelter di Oulx è particolarmente attrezzato per risposte pluri-prospettiche: all’interno vi sono attori molto differenti che collaborano insieme e si integrano. L’attenzione alla persona, l’accoglienza dignitosa, la cura medica, la consulenza giuridica e l’informazione sui pericoli che riserva l’attraversamento del confine sono azioni fondamentali per la sicurezza di chi transita. Queste azioni traggono forza non tanto nella loro singolarità disciplinare quanto nella loro complementarità. In precedenti report, abbiamo parlato di un costrutto alla Gaudì, dove gli squilibri possono trovare nella reciprocità un loro punto di stabilità. Nella storia di questi anni lo stesso discorso è valso per l’accoglienza istituzionale e informale. Con occhio antropologico si potrebbe dire che è proprio l’equivoco, nella sua valenza etimologica e corrente, ad essere un elemento di forza e ricchezza.

La competenza antropologica e l’esperienza in contesti di conflitto possono divenire strumenti indispensabili per un ascolto attento e rispettoso che sappia anche, a un tempo, coniugare storia a culture, appartenenze alla condizione antropopoietica dell’aver a lungo abitato il cammino. Si tratta di tecniche e di sensibilità che partono dall’idea che per incontrarsi bisogna capirsi e di conseguenza anche possedere gli strumenti linguistici ed esperienziali per diminuire le distanze nella comunicazione.

La breve permanenza al Fraternità Massi pone il problema di non costruire solo “ragnatele solidali” in loco, ma di estendere queste a livello italiano e oltre i confini nazionali, ripercorrendo sia a ritroso sia in modo prospettico le rotte. Per assicurare una mobilità sicura è necessario poter far defluire informazioni su diritti e centri di accoglienza il più indietro possibile, in modo che le persone possano scegliere in sicurezza, non divenendo preda di interessamento prezzolato e non incorrendo in situazioni illegali che mettano a rischio la loro incolumità e i loro scarsi beni. In novembre 2022 e in giugno 2023 più di 30 associazioni di tutta Italia si sono incontrate a Rebbio per un patto solidale (Carta di Rebbio. Unire i puntini) che metta in atto collaborazioni tra presidi.

Spesso gli interventi umanitari e solidali operano per isole emergenziali e in modo settoriale in relazione alle proprie competenze disciplinari, mentre le persone in cammino ragionano per tracciati e i vissuti incorporano nell’insieme le diverse esigenze. Inoltre, le migrazioni non riguardano una sola nazione ma, per definizione, si dipanano in rotte che travalicano i singoli stati. Questa considerazione solleva l’esigenza di presidi che sappiano non solo mettere in dialogo gli snodi dal Mediterraneo alle Alpi, dal confine orientale a quello occidentale del Nord Italia, ma anche il Maghreb o i paesi della rotta balcanica con le nazioni del Nord Europa. Sono stati stretti legami con associazioni tedesche per la consulenza giuridica; è in corso la costruzione di una rete solidale in Francia e diverse iniziative sono state svolte nel Sud d’Italia e in Tunisia.

Sempre più spesso le persone che passano per Oulx poi ricontattano, perché la scommessa migratoria è senz’altro caratterizzata dal viaggio, ma il vero momento cruciale risiede nell’arrivo nel Paese di destinazione e nella possibilità di ottenere protezione e non essere “dublinati” e travolti dal perverso gioco dell’oca per cui si viene rimandati nel primo Stato di ingresso in UE.

È certamente vero che per fare pochi passi solidali bisogna conoscere molto e che la dimensione esperienziale di un viaggio non è riassumibile nella somma delle tappe attraversate. Il viaggio ha una valenza in sé che si deve prendere in considerazione, perché esso costruisce persona e indirizza comportamenti. Porre la centralità sul soggetto migrante è scommessa complessa e di difficile realizzazione. Tuttavia, è angolo prospettico per relazionarsi a persone e non operare solo, in modo ancora unilaterale e con retaggio coloniale, su uno stereotipo spersonalizzante: il migrante.

  1. Infografiche del Consiglio dell’UE
  2. Il grafico illustra la situazione relativa al numero dei migranti sbarcati a decorrere dal 1° gennaio 2023 al 31 luglio 2023 comparati con i dati riferiti allo stesso periodo degli anni 2021 e 2022
  3. Nuova circolare di Piantedosi: migliaia di titolari di protezione a rischio sfratto dai CAS
  4. Migranti espulsi dai Cas, appello a Mattarella: “ Fermare la deriva del sistema di accoglienza”, Comunicato stampa del Tai, Tavolo Asilo e Immigrazione