Il Tribunale di Salerno ha riconosciuto la protezione speciale ad un richiedente proveniente dal Bangladesh.
Il richiedente, giunto in Italia nel 2001, aveva ottenuto un permesso di soggiorno per lavoro rinnovandolo per diverse volte, rimanendo però sprovvisto di titolo di soggiorno. Nel 2015 era stato anche arrestato e detenuto in Italia per otto mesi e nell’ambito di tale procedimento veniva condannato a diciotto mesi di detenzione con sospensione della pena. Aveva tentato la strada della sanatoria senza però riuscirvi per problemi legati al rilascio del passaporto e pertanto formalizzava richiesta di protezione internazionale, ottenendo un diniego nonostante il percorso integrativo.
Veniva dunque proposto ricorso presso il Tribunale di Catanzaro e successivamente riassunto dinnanzi al Tribunale di Salerno che ha “valutato, in via assorbente, ai fini del riconoscimento del permesso per protezione speciale, il percorso d’integrazione realizzato dal ricorrente, fin dal suo ingresso in Italia”.
Ed infatti il Tribunale, dopo aver preso atto della documentazione prodotta attestante l’inserimento lavorativo e abitativo, si è soffermato sul “dato della permanenza sul territorio italiano dal 2000 circostanza che suggerisce, inevitabilmente, un sicuro sradicamento del richiedente dal contesto del Paese d’origine”.
Secondo il Tribunale, dunque, “il complesso degli elementi innanzi indicati esprime la costruzione, da parte del ricorrente, di una “vita privata” fatta di relazioni economiche e sociali irripetibili, come tale meritevole di protezione, sì che l’allontanamento dal territorio italiano appare idoneo a sradicare il richiedente dal contesto sociale ed economico di riferimento, esponendolo al rischio di pregiudizio dei propri diritti fondamentali, compreso quello di instaurare e sviluppare relazioni con altri esseri umani”.
In riferimento poi al precedente penale del ricorrente, il Tribunale ha accolto la tesi sostenuta dalla difesa, evidenziando che, “la conclusione che precede non può essere revocata in dubbio dalle vicende giudiziarie del ricorrente, le quali non suggeriscono l’esistenza di ragioni di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica ostative alla permanenza sul territorio italiano…”
“È noto, però, il principio, espresso dalla Corte di cassazione in fattispecie analoghe… secondo cui il giudizio di pericolosità del richiedente rispetto all’ordine pubblico non può farsi discendere in via automatica dalla mera esistenza della sentenza di condanna, occorrendo, di contro, che il giudice formuli il giudizio di pericolosità sociale sulla base di una valutazione individuale, caso per caso, tenendo conto della personalità e dei modi ed abitudini di vita dello straniero, rispetto alla quale l’esistenza del precedente penale si pone come elemento sintomatico, certo rilevante ma che di per sé non può esaurire il giudizio…”
“Nel caso che ci impegna, alla gravità del fatto di reato, definitivamente accertato, si giustappongono, però, una serie di circostanze idonee a non suggerire l’attuale pericolosità sociale dell’odierno richiedente. Orbene – in disparte il dato che la concessa sospensione condizionale della pena suppone che sia stata già formulata una valutazione di non pericolosità sociale del richiedente – deve comunque valorizzarsi che: a) i fatti di reato sono risalenti nel tempo; b) il ricorrente ha avviato un serio percorso d’inserimento lavorativo, fonte di adeguati redditi; c) allo stato, non sono emerse circostanze sopravvenute tali da comprovare l’inesistenza di un effettivo e pacifico radicamento sul territorio italiano in conformità alle regole fondamentali del nostro ordinamento”.
Si ringrazia l’Avv. Santino Piccoli per la segnalazione e il commento.
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