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3.500 persone intrappolate a Ceuta senza nessun diritto

La denuncia di più di 100 organizzazioni della campagna "‘Trabajadoras Transfronterizas con Derechos’"

Andalusia, 5 novembre 2021 – Al momento sono in totale 139 le organizzazioni che partecipano alla campagna ‘Trabajadoras Transfronterizas con Derechos’ (‘Lavoratrici Transfrontaliere con Diritti’), promossa dall’Associazione per i Diritti Umani dell’Andalusia (APDHA) per rivendicare lo sblocco di più di 3500 lavoratrici e lavoratori marocchini, la maggior parte donne, assunte a Ceuta 1 come collaboratrici domestiche, badanti di persone non autosufficienti, nell’edilizia o nel settore alberghiero, e che dalla chiusura della frontiera con il Marocco a causa della pandemia, a marzo 2020, si trovano bloccate da entrambi i lati.
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È da più di un anno e mezzo che tra le 500 e 600 persone non possono lasciare Ceuta, perché uscire significherebbe non poter rientrare e quindi perdere il lavoro. Per questa ragione, da più di un anno e mezzo si trovano in una “situazione totalmente disumana, senza vedere le proprie famiglie, senza diritti lavorativi, sanitari, legali e con conseguenze gravissime a livello personale, psicologico ed emotivo”. Quasi 3.000 hanno perso il lavoro, dato che nel momento della chiusura si sono trovate dall’altro lato della frontiera, “e queste sono solo quelle che hanno la carta transfrontaliera, ci sono moltissime altre persone da un lato o dall’altro che lavorano in maniera irregolare e che si trovano ulteriormente senza protezione”, specifica l’APDHA.

È una situazione “indegna di uno stato di diritto, assolutamente inaccettabile, a maggior ragione quando si tratta di persone che in molti casi da più di vent’anni mantengono lo stato sociale di Ceuta, contribuendo e favorendo lo sviluppo del paese e continuano, a causa di una politica migratoria disumana, senza un permesso di lavoro e di soggiorno, senza stabilità, o si vedono private, come in questo caso, delle cose più elementari“, sostiene l’APDHA.

Ci sono madri che non possono vedere i propri figli e figlie piccole, che hanno madri o padri malati, alcuni sono deceduti e non sono potute andare a dare loro l’ultimo saluto, ci sono tantissime situazioni diverse, ma in tutte si stanno chiaramente violando diritti umani di base, come il diritto alla libertà e alla dignità. Si trovano in un limbo socioeconomico, soggetto ai movimenti e interessi geopolitici della Spagna e del Marocco”, spiega l’organizzazione.

Inoltre, aggiunge, si trovano completamente abbandonate perché non possono andare in Marocco a rinnovare i documenti, il che si ripercuote, per esempio, sull’accesso all’assistenza sanitaria nei centri di salute, in un momento di crisi sanitaria come questo.

Né la Spagna né il Marocco se ne assumono la responsabilità”, dichiara l’organizzazione. “Le lavoratrici e i lavoratori denunciano di essere stati totalmente dimenticati e lasciati senza la possibilità di ottenere una minima stabilità e sicurezza che permetta loro di progredire in maniera libera e degna come esseri umani. Sono molto frustrate di fronte all’inerzia delle amministrazioni e questo ha conseguenze sulla loro salute emotiva e mentale“, assicura l’associazione.

Data il gran numero di organizzazioni che hanno aderito al manifesto, l’APDHA ha prolungato fino all’11 novembre la raccolta firme, che saranno consegnate al Ministero dell’Interno, al Ministero del Lavoro e dell’Economia Sociale, alla Delegazione del Governo di Ceuta e al Defensor del Pueblo Español il prossimo 14 novembre. Per quel giorno è previsto l’arrivo a Ceuta di una “Caravana Feminista proveniente dalla penisola che sarà la protagonista di una concentrazione nella plaza de los Reyes della città autonoma, “per reclamare misure urgenti che permettano di mettere fine a questa ingiustizia e violazione di diritti che si protrae in eterno senza alcun motivo,” conclude.

  1. Città autonoma spagnole in territorio marocchino