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A Calais la Marche des oublié.e.s

Nella città portuale francese si recinta tutto, anche il vuoto

A Calais il mese di maggio è iniziato tra pioggia, grandine e vento fortissimo.

I calesiani sono abituati, al primo raggio di sole scendono in spiaggia in shorts e canottiera mentre io passeggio sul lungo mare con la mia giacca da sci.

Photo credit: Linda Bergamo
Photo credit: Linda Bergamo

Dall’altra parte della Manica vedo l’Inghilterra, nitida, e tre Ferry Boat carichi di camion e automobili destinati a raggiungere il porto di Dover. Quella linea di costa visibile nei giorni di sole fa ancora sognare tanti tra coloro che arrivano a Calais con il passaporto sbagliato, senza documenti, con un sogno nel cassetto che parla inglese.

Per noi volontari e attivisti che restiamo o torniamo a Calais, la situazione sembra non cambiare più di tanto tra una stagione e l’altra. Volontari che vanno e vengono, associazioni, distribuzioni di cibo e vestiti, luoghi di incontro, CRS e varie forze di polizia e gendarmerie sempre in prima linea, il sindaco e la prefettura sempre agguerriti nel loro obiettivo di far sparire tutti i migranti da Calais.

Il paesaggio però questa volta l’ho trovato cambiato. Muri sormontati da filo spinato sono spuntati come funghi. Uno è particolarmente impressionante: circonda un parcheggio in periferia dove alcuni camion si fermano a fare rifornimento, e dove i ragazzi eritrei provavano a salire sui camion di nascosto sperando di raggiungere l’Inghilterra.

Mi ricorda il muro israeliano in Palestina, mi chiedo se l’azienda costruttrice sia la stessa o se i muri siano tutti brutti e ingiusti uguali.

Photo credit: Linda Bergamo
Photo credit: Linda Bergamo

Questo panorama di cemento si ripete tutto intorno a Calais, specialmente nella zona industriale in cui tra 2015 e 2016 c’era la “Jungle“, grande bidonville che ospitava tra 7.000 e 10.000 persone. Da ottobre 2016 a Calais non ci sono più “campi profughi“.

Fino a poco tempo fa però c’era uno spazio aperto dove i ragazzi si ritrovavano giocavano a calcio, le associazioni distribuivano beni di prima necessità e proponevano attività. L’ho trovato chiuso, anche quel prato dove non c’è niente di niente, di proprietà del Comune: anche quello completamente circondato da uno spesso recinto in metallo dipinto di verde. A Calais stanno recintando tutto. Anche il vuoto.

L’ordine del Ministero degli Interni eseguito dal prefetto prevede di impedire qualsiasi “point de fixation“, ogni possibile insediamento stabile a Calais per impedire la ricostruzione della bidonville. Ad oggi a Calais ci sono circa 500 ragazzi, uomini, migranti e qualche donna, che vivono in tende sparse in piccoli boschi in periferia. Una decina di bambini, tra cui Samir di 7 anni e Said di 15, sono le mascottes delle piccole “Jungle” e si fanno viziare e coccolare un po’ da tutti.

Se prima qualcuno si avventurava in centro cercando riparo sotto i ponti, oggi sono state messe barriere anche lì.

Photo credit: Collectif Appel d'air
Photo credit: Collectif Appel d’air

Incontro i ragazzi la mattina a colazione, quando il camioncino dell’associazione Salam che distribuisce chai, pane e marmellata, banane e patisseries arriva nei 5 punti di distribuzione vicini ai boschetti-rifugio.

Gli sguardi stanchi di chi ha provato a salire sui camion aspettato il suo turno, tentando la fortuna per tutta la notte, testimoniano di una situazione sempre uguale, sempre stremante, sempre violenta.

Alle violenze della polizia denunciate in tutti i modi con l’aiuto di diverse associazioni si aggiungono le tensioni tra comunità che talvolta scoppiano in guerrilla e causano feriti più o meno gravi. Gli sgomberi ricorrenti contribuiscono al clima di tensione e insicurezza costante: gli oggetti personali vengono sequestrati, le tende portate in discarica e il loro contenuto talvolta non viene più restituito. Un ragazzo racconta piangendo che “la polizia” ha preso gli 800 euro che teneva nascosti nella tenda e che accumulava da mesi per pagarsi il passaggio.

Photo credit: Collectif Appel d'air
Photo credit: Collectif Appel d’air

Però a Calais c’è un’altra novità e si chiama Collettivo “Appel d’Air.

I ragazzi rimangono spesso a Calais per qualche mese prima di riuscire a passare o rinunciare e cercare fortuna a Parigi, in Italia o altrove.

Tra coloro che sono lì da un po’ di tempo si è creato un piccolo gruppo di dibattito composto da migranti e volontari che si ritrovano ogni settimana per discutere insieme dei vari problemi, possibili soluzioni e soprattutto delle varie declinazioni politiche della presenza dei migranti sul litorale Nord.

E’ un esperimento curioso che muove i suoi primi passi, e che l’8 maggio ha organizzato una manifestazione in collaborazione con la Marche des Oubliés (Camminata dei dimenticati) riproposta quest’anno da l’Auberge des Migrants.

Photo credit: Collectif Appel d'air
Photo credit: Collectif Appel d’air

Una camminata tra le diverse “Jungle” e alcuni punti del centro si è svolta al tramonto con la partecipazione di tanti ragazzi e ragazze eritrei, etiopi, afgani, iraniani, curdi, inglesi, francesi, italiani etc. per esprimere le diverse rivendicazioni di una frontiera difficile, conosciuta e un po’ dimenticata dai media.

Una marcia che è servita anche a ricordare ai calesiani che la presenza silenziosa dei migranti in periferia e la loro speranza che fa paura esiste e resiste al di là dei muri di filo spinato.

Linda Bergamo

Una grande passione per l’Afghanistan mi ha portato a far parte dell'Associazione Cisda ONLUS in sostegno alla Revolutionary Association of the Women of Afghanistan (RAWA).
In parallelo a un Dottorato di ricerca all’Università di Grenoble, lavoro come operatrice sociale con le vittime di tratta degli esseri umani per sfruttamento sessuale.