Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Il Manifesto del 9 luglio 2006

A Lamezia Terme, nel cpt «peggiore d’Italia»

di Marco Rovelli, autore di Lager italiani

Lamezia Terme

Salendo da Lamezia è un cartello a indicare senso e direzione: «Centro di accoglienza. Cooperativa sociale Malgrado Tutto». L’accoglienza è quella del cpt definito nel 2003 da Medici Senza Frontiere «il peggiore d’Italia», gestito da una «cooperativa rossa», il cui presidente Conte ha la tessera Ds nel portafoglio. La detenzione è mascherata tra gli ulivi, un cordone di silenzio teso tra i migranti e il mondo di chi ha la parola. Fuori dal cpt siamo in una sessantina a levare parola contro quella menzogna. Uno striscione, «Cpt: Malgrado Tutto Conte e Giovanardi ci fanno i miliardi», la firma in calce dell’associazione cosentina Kasbah, che lavora con profughi e migranti e il cui obiettivo, qui, è semplice e chiaro: chiudere questa gabbia. «Fateci uscire – gridano da dentro – Non siamo cani». Entro con il neodeputato Francesco Caruso, e raccolgo storie e fatti delle persone che ci fanno calca attorno e vogliono raccontarsi, in cerca di aiuto. Al telefono l’avvocato Alessandra Ballerini mi aiuta a capire dove la rete delle storie presenta buchi da allargare.

Dragan è serbo e vive in Italia da 19 anni. Ha un accento a metà tra il serbo e il napoletano. A Casoria ha moglie e quattro figli minorenni, tutti nati lì. Un mese fa è andato in ospedale per trovare un parente, sono arrivate tre pattuglie e lo hanno preso. Da due anni lavorava come meccanico, però al nero, e quel lavoro non conta, così come non conta il nulla che si è lasciato in Serbia, dove non ha più niente e nessuno e dove lo vogliono rimandare. Dragan non è il solo: sono tanti nella sua situazione, e raccontano. C’è anche chi è stato come rapito durante una trasferta di lavoro in una camera d’albergo con moglie e figli. Un paio vogliono fare una dichiarazione, «filosofeggiare» dice uno, come fosse il solo modo per salvare la propria essenza umana: un distinto signore della Costa d’Avorio mi dice: «Chiedo al governo Prodi di cancellare al più presto quella legge vergognosa che è la Bossi-Fini». Alcuni ragazzi, per salvarsi, salgono sui tetti, e rispondono alla solidarietà dei calabresi al di là della rete. All’una qualcuno intona la preghiera dell’Islam.

Nessuna di queste persone ha ricevuto una pur minima assistenza legale. Siamo noi a dire a un ragazzo nigeriano e a un altro iracheno che possono chiedere l’asilo, nessuno li aveva informati. Alcuni mi dicono che il loro trattenimento è stato convalidato dopo quattro o cinque giorni, quando invece il termine massimo è di quarantott’ore. Ovviamente a nessuno è stata data la copia del decreto di convalida. Del resto quale garanzia di assistenza legale ci può essere in un centro che ha una convenzione con un solo avvocato «di fiducia» (di Conte)? «L’avvocato viene nel centro solo quando c’è da convalidare – dicono – Non parla con noi, e poi non lo vedi più». «Dicono che quando un ragazzo che gli aveva dato trecento euro per un ricorso, non avendo più notizie gli aveva telefonato per protestare, il giorno dopo è stato rimpatriato. Guarda il caso». Ed è la nostra casuale presenza a far liberare Constantin, che era andato alla questura di Catanzaro per prendere il suo permesso di soggiorno per motivi di giustizia e si era ritrovato nel Cpt di Lamezia.

Tutti dicono che qui è normale essere rimpatriati al cinquantottesimo o cinquantanovesimo giorno, e ti viene il sospetto che questa regolarità sia pensata apposta per incamerare il più possibile la retta pagata dallo Stato per ogni trattenuto, come in una forma di assistenzialismo erogato sulla pelle dei migranti. E’ una terra desolata, qui tra gli ulivi, una costruzione di mattoni a ferro di cavallo con camerate spoglie, bagni sporchi e puzzolenti («oggi sono puliti perché sapevano che arrivavate voi»), calura («l’aria condizionata funziona solo quattro ore al giorno»), un’infermeria sguarnita (pochi i medicinali nell’armadietto, del resto i ragazzi mi dicono che di solito ti danno un Nimesulide per tutto, «non ti preoccupare che non stai per morire»), un cortile dove non si può nemmeno giocare, perché per avere la palla, dicono, bisogna pregare il personale. Nessuno riferisce di maltrattamenti, ma i casi del recente passato – quello di Hadmol su tutti, che di qui è uscito in coma ed è rimasto paralizzato – ci fanno stare all’erta.