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A Ventimiglia si intensifica la repressione sui migranti

di Corrado Consoli

Chiunque abbia a che fare con il sistema di gestione dell’immigrazione, per lavoro o passione, conosce quanto assurdo possa essere questo sistema. Arrivando ai confini, dove tutte le ipocrisie che sostengono il nostro sistema diventano visibili, l’assurdo diventa surreale.

A Ventimiglia non esistono gesti neutri. Mangiare insieme, dare un passaggio a qualcuno, perfino scambiare due parole, sono atti dal significato forte, che possono diventare motivo di repressione, come ben sa chiunque provi a sfidare l’ordinanza del sindaco PD Ioculano che vieta di offrire cibo ai migranti che da giorni dormono sulla spiaggia del centro senza assistenza.

Sono la spiaggia e la stazione dei treni i due luoghi dove si muovono gli attori di questo teatro surreale. Il luogo dell’attesa e quello del tentativo di passare. Gli shaabab, i ragazzi, tutti sudanesi ad eccezione di qualche afgano, si spostano dall’uno all’altro. Quando siamo stati a Ventimiglia, sabato 7 maggio, erano circa 120. La spiaggia è il luogo dove farsi scivolare addosso gli avvenimenti, da veri maestri dell’attesa. Da quando gli scogli e la pineta, molto più vicini al confine e che hanno ospitato, l’estate scorsa un vero e proprio campo organizzato e gestito insieme da migranti e solidali, sono stati sgomberati.

La stazione è il luogo dove provare a salire su un treno, giusto per tentare di fare quello che italiani e francesi fanno senza accorgersene tutti i giorni, passare il confine senza dover pagare un passeur. Con la consapevolezza che sarà quasi impossibile, che le forze dell’ordine saranno lì ad ispezionare. E con un timore comune, oltre alle violenze subite dagli shaabab delle quali gira ogni tanto voce: quello di essere costretti a lasciare le proprie impronte ed obbligati a scegliere tra il fare richiesta d’asilo in un paese in cui non si vuole rimanere ed il subire un decreto di espulsione che facilita ogni paese europeo a non farsi carico dell’accoglienza. Una non-scelta, spesso, dato che nessuno qui sembra avere la minima intenzione di restare in Italia, e dato che le stesse autorità italiane rifilano espulsioni illegittime ben prima di comprendere se la persona voglia o meno chiedere protezione.

In spiaggia, invece, si incontrano le figure “assistenziali”. In particolare operatori della croce rossa. Tre giovani, un ragazzo dai tratti arabi e due ragazze magrebine, invitano gli shaabab ad andare a prendere il pacco viveri (rigidamente in scatola, come prevede l’ordinanza del sindaco), presso il centro Croce Rossa vicino alla stazione. O meglio, all’interno del centro per chi voglia lasciare le proprie impronte, all’esterno per gli altri. Una prassi? chiedo alla ragazza vicino a me. No, una novità degli ultimi 3 giorni. Il ministro Alfano è in visita per risolvere il “problema” Ventimiglia. Un problema estetico, d’immagine data ai turisti, come da dichiarazioni di Alfano stesso e del governatore Toti. Prima della visita di Alfano, però, la Croce Rossa non garantiva nulla a chi non accettasse di essere identificato e di creare problemi al suo percorso migratorio. Sento anche altre voci sulla Croce Rossa: si parla di migranti pressati perché diano le proprie impronte se richiedono delle cure, di quattro ragazzi con la scabbia cui non è stato offerto alcun sostegno, di persone che devono raggiungere l’ospedale di Bordighera da sole perché, a quanto pare, non si considera che un centro della Croce Rossa possa servire da presidio sanitario. Provo a chiedere qualcosa ai tre ragazzi, per confermare o smentire le voci, ma non sono disponibili a parlare.

Ma in spiaggia s’incontrano anche altre figure. Italiani, francesi e migranti che cercano condivisione. Portando cibo cotto per mangiare tutti insieme qualcosa di buono, non inscatolato. Offrendo informazioni: contatti con avvocati, medici, semplici scambi di informazioni di base, o ancora più semplice umana solidarietà. Sono i “No Borders”, coloro che hanno aperto con i loro sforzi il Freespot di Vallecrosia, per la raccolta di aiuti fondamentali e la solidarietà ai migranti, e che ora deve chiudere perchè dopo tutta la pressione mediatica, i proprietari non vogliono rinnovare il regolare contratto.
O, almeno, parte dei No Borders, perché, come mi dice un ragazzo “Siamo tutti No Borders. Anzi, i primi No Borders sono proprio i migranti, che l’estate scorsa sono usciti sugli scogli rifiutando, con un atto politico, la chiusura dei confini. Noi siamo arrivato solo dopo a portare solidarietà”.