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A proposito di buone pratiche: l’esperienza del Centro sociale Django

La risposta di Talking Hands alle sterili polemiche di questi giorni

Photo credit: Talking Hands

Crediamo necessario fare un po’ di chiarezza a seguito delle polemiche apparse sui giornali e che ancora una volta propongono una narrazione distorta sulle attività indirizzate ai richiedenti asilo che il Centro Sociale Django svolge quotidianamente in città per costruire un Veneto accogliente.
Siamo profondamente feriti e amareggiati dalle accuse di strumentalizzazione che ci vengono rivolte da parte di alcuni soggetti, non sono citati i nomi, nell’attuale giunta di maggioranza.

Al momento le attività nelle quali il Centro Sociale Django è coinvolto sono:

La scuola di Italiano Fuoriclasse

Corsi di italiano e di prima alfabetizzazione gratuiti rivolti ai giovani immigrati che si svolgono grazie al lavoro di un gruppo di volontari tra cui figurano studenti universitari, insegnanti in pensione e volontari che riescono a garantire tre lezioni alla settimana per un numero che con l’arrivo dei richiedenti asilo in città ha visto triplicarsi le iscrizioni. Il corso si svolge all’interno della Casa dei Beni Comuni di Treviso.

Caminantes

E’ un dormitorio emergenziale che conta 9 posti letto ed è attivo nei 4 mesi più freddi dell’anno. Volto a evitare morti per assideramento, il servizio si rivolge a chiunque senza discriminazioni di alcun tipo.
Il dormitorio negli ultimi mesi ha dovuto far fronte alla richiesta di un tetto e un letto da parte dei tantissimi giovanissimi migranti che per vari motivi si trovano fuori dai programmi di protezione, molti dei quali con un permesso di soggiorno fresco in tasca. Per garantire un’azione più efficace l’Associazione si è messa in rete con alcune delle più significative realtà attive sul territorio tra cui la Comunità di Sant’Egidio e la Caritas.

Palestra Popolare Hurricane

Uno spazio che permette a chiunque la possibilità di accedere alla pratica sportiva indipendentemente dalle possibilità economiche e di farlo in un ambiente slegato dal puro approccio agonistico, dove uguale attenzione viene riservata all’esercizio fisico e alle relazioni senza alcuna discriminante culturale o di genere. I partecipanti richiedenti asilo sono circa 60 ragazzi di provenienza ed età diversa. Per rispondere al meglio ad una sempre maggiore domanda da parte di ragazzi ospitati nelle varie strutture temporanee di accoglienza del territorio sono stati creati per loro due corsi mattutini.

Talking Hands

Nato come spin-off della palestra popolare, Talking Hands è un progetto “no-profit” mirato alla creazione di percorsi di inclusione sociale rivolti a richiedenti asilo e rifugiati coniugando l’attività manuale (propedeutica all’inserimento lavorativo ma anche all’espressività artistica) con il racconto della propria storia, del paese d’origine,del viaggio e delle proprie aspirazioni.

L’attivazione di questi dispositivi mirati alla costruzione di un’accoglienza dal basso, praticata da normali cittadini che si riconoscono e prendono parte attiva a queste progettualità, ci ha fornito un punto di vista privilegiato su come viene praticata l’accoglienza nei nostri territori.
Questo osservatorio ci ha concesso di costruire nuove amicizie e collaborazioni con chi in città pratica la “buona accoglienza” e certamente anche delle inimicizie da parte di chi invece ha organizzato su scala industriale l’accoglienza nei cosiddetti “Hub” o centri d’accoglienza straordinaria.

La totale assenza di osservazione e di monitoraggio all’interno di questi luoghi, all’interno dei quali a nessuno è concesso entrare e nei quali i migranti vengono confinati all’interno di un habitat definito che li isola segregandoli dalla popolazione comune, è probabilmente il peccato originale di questi luoghi inizialmente pensati come centri di primissima accoglienza ma che nel tempo hanno assunto un carattere di lunga durata.
Non ci è consentito neppure sapere il numero esatto degli ospiti e ci troviamo ad essere spettatori involontari di un buffo balletto dei numeri, che noi dal nostro osservatorio privilegiato sappiamo bene non corrispondere al vero.
Perché non è consentito andare a vedere quello che succede al loro interno?

La grande maggioranza dei migranti (78%) è oggi ospitata nei centri temporanei individuati dalle Prefetture (c.d. CAS). Cifra che supera il 90% in Veneto, con concentrazioni molto forti in alcune ex caserme presenti in piccoli comuni come Cona (VE), Bagnoli (PD) e Treviso.

Crediamo che i cosiddetti “Hub” abbiano fallito perché attraverso il solito dispositivo emergenziale hanno consentito la nascita di complessi industriali che usano i migranti per produrre profitto, una modalità ancora più odiosa se consideriamo che il processo di estrazione del denaro, peraltro proveniente da fondi pubblici, viene esercitato direttamente sui corpi di esseri umani.
I servizi essenziali all’individuo non possono essere praticati efficacemente sulla base di questi numeri, perché i numeri degli ospiti negli hotspot, se vogliamo dare una scala credibile, sono quelli di un piccolo comune come ce ne sono tanti nei nostri territori.

Per questo motivo abbiamo creduto importante creare una rete di solidarietà con chi invece sta cercando delle nuove e più efficaci modalità per praticare l’accoglienza.
Sulla base di questa esigenza è nato Veneto Accoglie, nuova piattaforma politica che cerca di abbattere vecchi schemi ideologici e culturali per costruire assieme un fronte comune che si opponga alla crescita di un sentimento di ostilità o peggio di manifestazioni dichiaratamente razziste, come quella avvenuta nel Comune di Quinto o in tempi più recenti a Volpago del Montello.

Siamo fermamente convinti che sia necessario fare uno scatto culturale, e per farlo sia necessario unirci a tutta quella galassia di realtà che provengono dalle più svariate esperienze politiche e associative, dal mondo dell’associazionismo cattolico di base fino alle tante soggettività politiche che non credono in questo modello di sviluppo neoliberista, che non si ferma davanti a niente, dalla distruzione dei nostri territori fino alla trasformazione di giovani corpi in fuga dalla guerra o dalla fame, poco importa, per creare imprigionati che producono ricchezza. L’affermarsi di questi nuovi e pericolosi modelli industriali, che divorano fondi pubblici, sottraggono ricchezza che potrebbe essere disponibile per programmi sociali come l’istruzione, la formazione, gli alloggi, l’assistenza per l’infanzia e la prevenzione.
Questa nuova piattaforma politica ha avuto l’occasione per manifestarsi tutta assieme la prima volta il 19 marzo a Venezia, in una grande, colorata e partecipata marcia a cui hanno preso parte oltre 5.000 persone, lungo le calli del capoluogo di questa Regione.

Al corteo che è stato il risultato di mesi di lavoro e di tantissime assemblee cittadine auto convocatesi in tutte le principali città del nordest c’eravamo noi, i nostri fratelli migranti, la galassia del sindacalismo di base, gli amici di Ritmi e Danze dal mondo a cui va il merito, con la marcia dei mille piedi, di aver suonato la campanella d’allarme sulla necessità di uscire allo scoperto per mostrare che esiste un altro Veneto, solidale e antirazzista.

Non ci stiamo a questa semplificazione, noi che ogni giorno siamo impegnati a dedicare tempo, risorse, ed energie e senza per farlo aver mai percepito alcun compenso dalle istituzioni di questa città essere indicati come quelli che strumentalizzano, che usano i migranti per occulte finalità eversive.

Perché nel suo fondo questa affermazione nasconde un pregiudizio profondamente razzista, e ahimè difficile da scalfire, quello che considera i migranti come dei bambini incapaci di intendere o di scegliere accanto a chi marciare.
Perché crediamo sia un crimine contro l’immaginazione morale chiedere a dei cittadini di prendere le distanze dalle sofferenza altrui, perché questo processo uccide la dimensione etica del nostro sentirci cittadini e quella umana sottraendoci dall’impegno al quale siamo chiamati nei confronti di chi sta peggio di noi.

Crediamo che la protesta pacifica in corso in questi giorni alla ex Caserma Serena altro non sia che un indicatore di quanto sia diventata ingestibile la situazione all’interno dei grandi centri di accoglienza straordinaria, rappresenta un campanello d’allarme ma soprattutto un grido di aiuto da parte di chi, da troppo tempo, sta vivendo in una situazione di indigenza, di profondo disagio, isolamento e sofferenza e non siamo certamente noi ad averla creata quella sofferenza. Non ci stiamo a fare il capro espiatorio di chi ha creato un modello d’accoglienza fallimentare.

Fabrizio Urettini, progetto Talking Hands

Fabrizio Urettini

Sono attivista e art director. Nel 2016 ho fondato Talking Hands, studio artistico permanente che permette alle persone delle comunità di rifugiati di disegnare, creare e vendere prodotti di moda e design.
Talking Hands valorizza la diversità, la comunità, la formazione, il design sostenibile e le pratiche commerciali etiche.