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Rubriche: Radio Melting Pot, In mare

«Abbiamo visto le persone morire. La situazione nel Mediterraneo centrale è insostenibile»

Intervista a Riccardo Gatti, comandante e capo missione di Open Arms

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Di ritorno da questa ultima e difficile missione Open Arms ed Emergency ribadiscono con forza la necessità che i governi europei si assumano, una volta per tutte, la responsabilità di un sistema strutturato di ricerca e soccorso in mare, che abbia come priorità la tutela della vita e il rispetto dei diritti umani.
L’intervista a Riccardo Gatti è stata curata da Tommaso Pieri ed Eleonora Sodini.


Ciao Riccardo, innanzitutto, grazie per la tua disponibilità. Sei appena rientrato da una missione di ricerca e soccorso dura e difficile al largo della Libia.
Ci puoi spiegare cos’è successo e quali sono state le difficoltà che avete riscontrato?

Le difficoltà che abbiamo riscontrato sono le difficoltà di sempre, dovute al fatto che non c’è nessun appoggio, coinvolgimento, o aiuto alle ONG da parte dei governi europei.
Ci siamo ritrovati un’altra volta alla ricerca di diverse imbarcazioni da soccorrere senza alcuna indicazione.
Come ormai succede da anni, le uniche indicazioni che avevamo sono state disponibili solo perché siamo in copia nelle e-mail che Alarm Phone manda alle autorità italiane, maltesi o libiche. Da ciò potete immaginare quello che vuol dire rimanere da soli in mezzo al mare, anche tenendo conto che le informazioni spesso e volentieri non sono neanche precise.
Il giorno prima delle operazioni abbiamo rilevato all’incirca 8 imbarcazioni da soccorrere, bloccate in diversi punti. Così siamo riusciti a soccorrere un gommone con 88 persone il giorno 10 (novembre), e da lì abbiamo iniziato a ricercare le altre, focalizzandoci su quella che in teoria doveva essere la più vicina, un gommone con circa 100 persone a bordo.
Lo abbiamo trovato la mattina dopo grazie a una chiamata di un aereo di Frontex, cosa che ci ha sorpreso perché - ben sapendo che Frontex vola tutti i giorni - mai ci ha passato informazioni riguardo imbarcazioni a rischio.
Circa un’ora e mezzo dopo siamo arrivati lì. Abbiamo iniziato il soccorso e purtroppo il gommone ha ceduto, il fondale si è sfondato e tutte le persone sono finite in acqua. Noi, con solo 4 soccorritori a bordo e con più di 100 persone in acqua, abbiamo visto le persone morire.
Alla fine, siamo riusciti a soccorrerle tutte, purtroppo 5 persone sono annegate durante le operazioni e più tardi è deceduto il piccolo Joseph, come si è saputo dopo pubblicamente.
Durante l’evacuazione, nel tragitto verso Lampedusa che doveva diminuire le tempistiche della guardia costiera italiana, ci siamo imbattuti in un altro barcone che si trovava proprio a nord, in direzione Lampedusa. Lo abbiamo dovuto soccorrere per evitare altre morti. Tutta questa vicenda ci ha portato a sbarcare le 165 persone, di cui 6 cadaveri.


Avete scritto che la situazione nel Mediterraneo centrale è insostenibile. Puoi chiarire quali sono le maggiori differenze che avete potuto notare in questi anni e quali sono le condizioni delle persone durante la traversata? Come incide secondo voi l’attuale situazione di emergenza sanitaria nei flussi migratori?

Parto dall’ultima domanda: l’emergenza sanitaria non incide nei flussi migratori, le persone partono ugualmente. Incide nella gestione in terra, evidentemente, come incide per tutti e per tutte.
Nel 2016-2017 tutte le navi delle ONG - se ricordo bene erano 12 - erano coordinate dalla Guardia costiera italiana, che aveva in forza 3 delle loro navi ammiraglie, e che dirigeva questa flotta, dirigendoci verso le navi da soccorrere e dando indicazioni sul porto di sbarco.
Negli anni, quello che è successo è che questa direzione delle istituzioni è venuta meno e parallelamente è aumentata la criminalizzazione delle ONG e delle persone migranti, insieme all’appoggio a quelle milizie, persone o gruppi di dubbia provenienza quali la cosiddetta Guardia costiera libica. Si tratta di un appoggio economico e logistico per far sì che le persone non vengano salvate, ma intercettate e rispedite indietro in Libia, che è una cosa vergognosa. Questo è quello che è successo negli anni.

Le persone che soccorriamo evidentemente sono in condizioni psicofisiche veramente gravi, quello che abbiamo rilevato è che, sebbene prima le persone venivano soccorse in condizioni fisiche gravi, almeno venivano sbarcate nel giro di un paio di giorni, cioè il tempo logistico di arrivare in porto. Adesso invece le tempistiche aumentano in un modo potenzialmente infinito, senza che ci sia mai una indicazione chiara di come saranno i protocolli da attuare. Perciò, si è distrutto tutto quello che era funzionale e funzionante, con il risultato che adesso quello che si vede sono navi ONG che cercano di fare il poco che possono mentre dall’altra parte vi è l’azione diretta dei governi per bloccarle.


Da poco siete stati assolti dal Giudice di Ragusa dall’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in seguito al soccorso in mare di 218 persone, nonostante ciò continua la pratica dei blocchi amministrativi alle navi delle ONG. Cosa chiedete all’attuale governo e alle istituzioni europee?

Quello che abbiamo sempre chiesto: da una parte che venga ripristinato il soccorso in mare - ed eventualmente siamo disponibili a dare una mano sapendo che non siamo noi a doverlo fare -, dall’altra che vengano attivati i corridoi umanitari e che vengano potenziate le possibilità per le persone di fuggire da zone dalle quali fuggirebbero lo stesso. Chiediamo che possano farlo in modo sicuro. Dall’altra parte, chiediamo che si smetta di usare un discorso criminogeno quando si parla di ONG o di migranti, e che ci sia un’assunzione reale di una responsabilità e di una etica nel trattare le persone.


In questi mesi abbiamo visto un ulteriore preoccupante novità: le persone migranti una volta soccorse o sbarcate vengono trasferite su delle “navi quarantena”. Ci puoi spiegare cosa sono e se siete a conoscenza delle condizioni in cui vengono trattenute le persone?

Sono dei lazzaretti. Senza sapere le motivazioni le persone sono confinate in queste navi. Personalmente sono molto critico. Certo, un passo avanti è stato fatto, nel senso che i tempi dello sbarco vengono ridotti, ma noi come ONG avanziamo qualche criticità: si tratta di navi dove le persone dovrebbero passare la quarantena, ma delle condizioni in cui lo fanno si sa poco: sappiamo che la Croce Rossa Italiana fa grandi sforzi per riuscire a dare le cure necessarie, anche se non si sa quanti operatori siano effettivamente a bordo, di certo pochi a fronte del grande numero di persone all’interno.
Da un punto di vista logistico le navi quarantena si sono dimostrate per quello che sono: un minore è morto stando a bordo di una di queste perché era stato imbarcato in coma, e ci sono delle indagini aperte dato che si è visto che non è stato tutelato e, tra l’altro, il motivo per il quale lo sbarco era avvenuto così in ritardo è risultato poco chiaro. Sappiamo di persone che si buttano dalle navi perché evidentemente non sono un luogo adatto. A livello finanziario, sono state avanzate anche alcune perplessità sulla gestione dei bandi.
A fronte di tutto questo, si vede un altro trattamento discriminatorio nei confronti delle persone migranti.


Ultima domanda: ci puoi infine spiegare come possiamo sostenere le vostre attività?

Le nostre attività vengono sostenute solamente dalla società civile.
La prima cosa di cui abbiamo bisogno è evidentemente un appoggio economico, per quello ci sono tante vie: merchandising o donazioni. Però d’altra parte noi chiediamo sempre una cosa importante, che è quella di diffondere la testimonianza che portiamo a terra. Siamo, purtroppo o per fortuna, chi porta di prima mano la prova di quello che succede nel Mediterraneo centrale ed è una cosa importantissima. Queste informazioni devono essere conosciute e diffuse, sapendo che il nostro lavoro è gestito interamente da volontari e volontarie sia in terra sia in mare.
Abbiamo dei progetti di mutualismo in terra che abbiamo portato avanti durante l’emergenza Covid, come per il sostegno alimentare. Si può quindi anche essere volontari, sia a bordo se si hanno le competenze e qualifiche richieste, sia a terra. Per appoggiarci basta volerlo fare.

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Approdi, Europa, Mediterraneo centrale, Operazioni SAR, Solidarietà e attivismo
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