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Accoglienza – Dai centri al centro

di Andrea Segre, quotidiani Nord-est del gruppo Espresso - 20 settembre 2016

Foto: Manifestazione di Padova Accoglie, 15 maggio 2015 (Ph. Angelo Aprile)

Sono appena tornato da Palermo. E negli ultimi mesi sono stato a Siracusa, a Caserta, a Napoli, a Catania, a Ragusa. Città splendide e maledette. Città segnate dalla storia, nella sua eternità e decadenza, nelle sue bellezze e contraddizioni.

In queste città, come in molte altre del sud, il tema dell’accoglienza dei profughi genera tensioni, crea interessi e conflitti, ma nessuno mette in discussione che i profughi possano vivere nel centro di queste città.

A Ballarò come a Ragusa Ibla, a Castro come a Forcella. Le case dove vivono richiedenti asilo e rifugiati sono nel cuore delle città, nel cuore della loro bellezza e della loro decadenza. Camminare per Ballarò o nei vicoli arabo-ebraici della Kalza e incontrare gambiani, maliani, bengalesi o siriani è normale, vivono negli appartamenti o nei centri di accoglienza ospitati da vecchi conventi in palazzi normanni con meravigliosi giardini. I loro vicini di casa sono i palermitani stessi, si incontrano al mercato, al bar, a scuola, si parlano dalle finestre, nelle piazze. Si ha la sensazione di essere nel cuore di un nuovo mondo, che nelle sue fatiche e speranze si prepara a ridefinire appartenenze e confini. Non un mondo idilliaco o perfetto, anzi, ma un mondo capace di guardare in faccia i cambiamenti e di ospitarli nel suo tessuto civile, nella sua storia.

Da mesi in Veneto si parla della necessità di superare luoghi disumani di concentrazione dei profughi come Cona o Bagnoli e di creare un’accoglienza diffusa che coinvolga tutti i comuni della regione. Ma se tutti sembrano d’accordo su questa necessità, in pochi sembrano disposti a immaginare un’accoglienza che coinvolga le città e non isolati quartieri di periferia o dismesse caserme sconnesse dal tessuto urbano.

Io credo che la sfida vera dell’accoglienza debba passare dal coinvolgimento dei centri delle città, che non ha senso continuare a considerare piccole bomboniere da mantenere nella loro spesso vuota bellezza, messa a disposizione di turisti e pochi privilegiati.

Ospitare i richiedenti asilo in appartamenti e case nei centri delle città venete aprirebbe una nuova fase di questa lunga e complessa storia. L’accoglienza e le sue sfide entrerebbero nella vita civile delle città, convocando nuove energie e nuove competenze non solo a gestire, ma anche ad immaginare la società del futuro; una società che ormai abbiamo capito non può prescindere dal saper affrontare il movimento di migliaia di persone non più disposte ad aspettare cambiamenti troppo a lungo promessi, ma mai nemmeno iniziati; una società che con l’accoglienza può far crescere professionalità ed esperienze essenziali per non vivere il presente come emergenza, ma per iniziare già a diventare futuro.

Se il Veneto davvero vuole superare i disumani centri con centinaia di persone ammassate in luoghi deserti e abbandonati, deve imparare a portare la sfida dell’accoglienza al centro delle nostre vite e delle nostre città, costruendo non solo un’accoglienza diffusa di poche persone per ogni comune, ma anche un’accoglienza civile e civica capace di inserirsi nel cuore della nostra storia, sapendola rispettare e ridefinire nello stesso tempo.

Non leggete questa come una proposta unidirezionale, i buoni profughi da aiutare nelle nostre città. Io non credo nei buoni o cattivi profughi, credo in vite che cercano un senso e una direzione e che facendolo compiono anche molti errori, dovuti spesso dall’incontro con una cultura e una società che non conoscono e non sanno come rispettare. A queste persone non va data un’accoglienza neutra e isolata, altrimenti in loro quegli errori rischiano solo di crescere. Inserirli nei tessuti civici delle nostre città significa anche dare a loro, come a noi, la responsabilità di comprendere e rispettare, di conoscere l’altro e di capire i propri errori per non ripeterli.

Tenerli lontani, isolati ed ammassati significa consegnare loro, come noi, all’ignoranza e alla reciproca diffidenza.
Per questo mi permetto di lanciare in queste pagine un appello rivolto ai sindaci, ma ancora prima ai cittadini delle tante meravigliose città e cittadine del Veneto: chi ha davvero coraggio di vivere questa sfida? Chi ha voglia di mettere al centro il coraggio e la fatica dell’accoglienza?

Chi vuole rispondere a queste domande può farlo liberamente qui