Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

Adesso dormite: la “deportazione segreta” del luglio 2018 diventa causa civile

Società private e governo italiano portate a processo per i respingimenti in Libia

Il collettivo Josi & Loni Project nasce da Sarita Fratini, “scrittrice attivista senza congiunzione” con l’abitudine di fare domande e cercare risposte anche dove altri si fermano. E’ proprio così, facendo domande, che Sarita insieme agli altri attivisti/e del collettivo ha scoperto il respingimento illegale avvenuto nelle acque del Mediterraneo nel luglio del 2018; ed è proprio grazie al collettivo che 5 delle tante vittime di questo evento avranno la possibilità di testimoniare nel processo civile istruito da ASGI per fare luce sugli avvenimenti di quei giorni.
Sarita e altri membri del collettivo – Niccolò Fagotti, Davide Fiorenza e Amr Adem – hanno raccontato gli avvenimenti del luglio 2018 durante un evento in diretta streaming il 16 febbraio 2021, e lo hanno fatto anche con l’aiuto di Cris, un ragazzo etiope che era a bordo di uno dei tre gommoni soccorsi dalla Asso Ventinove nel luglio 2018 e che, dopo essere stato ricondotto in Libia, è riuscito a raggiungere l’Europa nell’estate del 2020.

Il respingimento del luglio 2018

Il 30 giugno 2018, 3 gommoni partono dalle coste libiche in direzione Europa. Dopo 20 ore di navigazione, i gommoni sono alla deriva nel mezzo del Mediterraneo. Uno dei passeggeri ha un telefono satellitare, con il quale contatta i soccorsi italiani. Solo alle 19 arriva sul posto la motovedetta libica Zwara, che trova uno dei tre gommoni già affondati e la metà dei passeggeri morti. La motovedetta recupera i 276 sopravvissuti e procede verso sud, verso la Libia. Ma le persone sono troppe, serve aiuto. Alle 22 e 10, la base della marina militare italiana a Tripoli chiama la nave privata Asso Ventinove, in servizio presso una delle piattaforme petrolifere più grandi del Mediterraneo, gestita da ENI e Mellitah oil&gas.

L’Asso Ventinove riceve istruzioni per avviare un’operazione SAR (Search and Rescue): al suo arrivo trova la Caio Duilio, lanciamissili di 150 metri battente bandiera italiana che è sul luogo da tempo imprecisato, e che da quel momento in poi coordinerà l’operazione insieme alla nave Caprera, ferma al porto di Tripoli. Una volta salite a bordo della Asso Ventinove, le persone parlano con l’equipaggio, spiegando di essere eritree e di voler raggiungere l’Italia per fare domanda di protezione internazionale. Viene loro detto di non preoccuparsi: “Adesso dormite, domani mattina saremo in Italia”.

Al loro risveglio non c’è nessun porto italiano ad accoglierli, ma il porto di Tripoli. Le persone a bordo della Asso Ventinove vengono ricondotte nei lager di Tarek al Mattar e Triq al Sikka. Tra le persone ricondotte in Libia (tra cui ci sono anche 29 donne e 54 minori) ci sono anche Josi, che sarebbe morto poche settimane dopo proprio in uno di quei lager, e Daya, incinta all’ottavo mese di Loni, dai quali il collettivo prende il nome.

Durante l’evento online, Cris si fa portavoce dei suoi compagni di viaggio e racconta come sono andate le cose dopo il ritorno forzato in Libia. Racconta delle torture, violenze e della sofferenza dei lager libici, racconta di grandi capannoni usati come dormitori per più di 1500 persone, infestati da sofferenza, malattie, e spesso morte.
I più fortunati erano quelli con la tubercolosi perché venivano portati in ospedale e da lì potevano tentare di fuggire”.

Racconta anche di come poco dopo il rientro forzato il Libia la situazione nel paese sia peggiorata, e di come le milizie libiche in guerra tra di loro usassero i detenuti come scudi umani. Cris viene trasferito a Zintan, dove trascorre due anni prima di riuscire a fuggire. Definisce la situazione dei lager libici come “disumana”, parla della totale mancanza di assistenza e di supporto, di gente che muore di malattia o di fame. Riesce ad arrivare a Tripoli e insieme ad altri compagni di viaggio trova rifugio dai fuochi della guerra in case abbandonate, e riesce finalmente a raggiungere l’Europa imbarcandosi su un altro gommone.

La causa

Il 12 febbraio 2021, Sarita insieme ad Amnesty International e ASGI 1 ha annunciato la causa civile intentata da cinque delle vittime del respingimento del luglio 2018 contro la Asso Ventinove e l’allora governo Conte I, con Matteo Salvini al Ministero degli interni, Danilo Toninelli ai trasporti ed Elisabetta Trenta alla difesa.

Sebbene centinaia di persone siano state coinvolte negli avvenimenti di quei giorni di luglio, solo cinque di loro sono riuscite a procedere legalmente contro i responsabili, e i membri del collettivo spiegano il perché di un numero tanto ridotto. Il problema principale è infatti quello della procura: l’atto mediante il quale un soggetto conferisce ad un altro soggetto il potere di agire a suo conto per il compimento di atti giuridici è fondamentale in questo contesto, poiché permette di garantire la presenza della vittima nel paese nel quale avviene il processo, anche se la vittima si trova in un paese diverso.

Ottenere la procura nei paesi europei è un procedimento relativamente semplice, ma non lo è ottenerla in altri paesi (ad esempio paesi non aderenti a Convenzioni internazionali come quella dell’Aia del 1961 che disciplina il tema della procura). Tre sono le problematiche principali: la prima, trovare notai affidabili che collaborino e agiscano nell’interesse della vittima; la seconda è la procedura di ottenimento della procura in molti paesi extra europei tra cui diversi paesi africani, dove la procedura è estremamente complicata e richiede l’autorizzazione da parte delle autorità competenti sia del paese di origine della vittima, sia del paese dal quale la procura viene richiesta. La terza problematica, quella forse più delicata, è legata al timore di esporre eccessivamente la vittima alle attenzioni del governo e delle istituzioni in paesi in cui i diritti umani sono di continuo violati.

Ottenere la procura per coloro che ad oggi si trovano ancora nei lager libici, hanno raccontato gli attivisti di Josi & Loni, è praticamente impossibile. Nel paese, infatti, la legge 19/2010 ancora in vigore prevede la detenzione e i lavori forzati per chi è colpevole di immigrazione clandestina, e non definisce la durata della pena. Tutti coloro che sono stati forzatamente riportati in Libia nel luglio 2018 e che non sono riusciti a fuggire dai lager del paese non hanno alcun diritto ad assistenza legale e, di conseguenza, richiedere la procura per rappresentarli nel processo civile contro la Asso Ventinove è ad oggi impossibile.

Il collettivo Josi & Loni fa appello alle autorità italiane perché si impegnino a liberare le persone che sono state costrette alla prigionia nei lager libici, molte delle quali ad oggi non sono ancora riuscite a fuggire

.

Le circostanze del respingimento verranno chiarite nel corso del processo, ma i dubbi rimangono ancora tanti: com’è possibile che un respingimento illegittimo di questa portata sia stato scoperto da “persone comuni” e non sia stato denunciato dalle autorità, nonostante ci siano prove della presenza di rappresentanti di OIM e UNHCR al porto di Tripoli all’arrivo della Asso 29?
Sarita e il collettivo denunciano l’omertà delle istituzioni, che negli anni hanno permesso che centinaia – se non migliaia – di persone venissero consegnate ai lager libici e abbandonate in condizioni inaccettabili e lesive della dignità umana, destinandoli a malattia, fame e torture. Sebbene il coinvolgimento del governo italiano negli avvenimenti del luglio 2018 sia ormai certo, il collettivo continua a parlare di “deportazione segreta”: oltre ad essersi trattato di un atto illegittimo, infatti, ben due governi hanno cercato di occultare i fatti (Conte I e Conte II), rigettando più volte le richieste di accesso agli atti inviate dal collettivo e da ASGI.

Per saperne di più sul lavoro di Sarita Fratini e del collettivo Josi & Loni Project:
saritalibre.it
JLProject
jlproject.org

  1. Video della conferenza stampa