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Ai margini dell’Europa: la violenza e lo squallore di un campo bosniaco definiscono l’eredità dell’Unione Europea sulla questione rifugiati

Independent, 3 agosto 2019

Foto: gli abitanti del campo fanno la fila per ricevere il cibo distribuito dalla Croce Rossa di Bihac, mentre alcuni uomini si lavano grazie ad un camion cisterna (Thom Davies)

Sormontato dai picchi boscosi delle Alpi Dinariche, al confine dell’Unione Europea, e circondato da campi minati risalenti alle guerre jugoslave, il campo profughi di Vucjak nella Bosnia nordoccidentale è una testimonianza scioccante della crisi che bussa alle porte d’Europa.

Qui, le condizioni di vita rappresentano un serio rischio per la salute delle centinaia di persone intenzionate a richiedere asilo. Le Nazioni Unite hanno recentemente descritto questo campo, che si trova a pochi km di distanza dalla Croazia, come “assolutamente inadeguato per ospitare delle persone”.

Dal suolo contaminato spuntano buste di plastica, vecchi vestiti, e la ruota di un passeggino. Non sono detriti provenienti dal campo, dove attualmente vivono 700 persone, ma i resti tossici di quel che c’era prima: il campo è situato proprio sul sito di una vecchia discarica.

Ammassare esseri umani su ciò che una volta era un mucchio di immondizie non è solo un’ingiustizia: c’è anche un serio rischio di incendi ed esplosioni, a causa del metano che potrebbe essere rimasto intrappolato sottoterra.

Questo non è un posto in cui si può vivere”, ha detto un uomo afghano, che è costretto a rimanere nel campo da quando è stato sfrattato dalla vicina cittadina di Bihac insieme ad altri 850 migranti, circa un mese fa: “Se qualcuno negli USA, in Germania o nel Regno Unito potesse vederlo, non penserebbe che sia un posto fatto per gli esseri umani.

L’inquinamento non è l’unico rischio. I residenti del campo, che provengono da Siria, Afghanistan, Pakistan e altri paesi, riferiscono di avere accesso all’acqua solo per dieci ore al giorno.

La mancanza di infrastrutture e servizi sanitari di base a Vucjak viola gli standard minimi per i campi profughi stabiliti da UNHCR e Sphere Project. Le condizioni di Vucjak, che ricordano quelle del campo di Calais in Francia e la violenta inerzia dei governi francesi ed inglesi, creano seri problemi di salute pubblica.

Un membro della Croce Rossa di Bihac, che fornisce soccorso di emergenza e cibo al campo, ha affermato di aver rilevato casi di tubercolosi, epatite B e almeno venti casi di scabbia.

Senza acqua corrente permanente e senza bagni da più di un mese, si è costretti a defecare all’aperto: “Usiamo il campo minato”, ha detto un uomo, indicando un sentiero infestato dalle erbacce che porta verso le montagne. Non si tratta di uno scherzo. Un funzionario UE ha dichiarato che le autorità locali hanno scelto “il sito peggiore possibile per un campo”, a causa della sua vicinanza a campi minati attivi e rifiuti tossici.

Nel bel mezzo del campo, un’enorme mappa creata dalla Croce Rossa e dal Centro per l’Azione contro le Mine delle Nazioni Unite (UNMAC) reca la scritta “Attenzione” e riporta la posizione dei campi minati.

“Questo campo è come una prigione” dice Ahmed, un ragazzo pakistano di 21 anni.

Come altri residenti del campo, Ahmed rischia di essere arrestato se affronta il viaggio di quattro ore fino a Bihac e ritorno, per comprare cibo, vestiti o medicinali. Ogni pomeriggio, la polizia bosniaca arresta migranti nel centro cittadino, e li riporta al campo. Alcuni vengono fatti marciare a piedi in gruppi numerosi, mentre altri vengono trasportati su per le colline con i furgoni della polizia.

Nonostante questa ingiustizia umanitaria, gli ospiti del campo non ci hanno chiesto di scrivere delle mine, delle condizioni sanitarie o dei problemi di salute. Le persone ci hanno avvicinato, ferite e tumefatte, dicendoci: “Dovete dire alla gente della polizia croata”.

Da gennaio 2018, circa 36.000 migranti e rifugiati sono entrati in Bosnia, molti dei quali sperando di prendere la cosiddetta “rotta balcanica” per richiedere asilo in paesi come Italia, Spagna e Germania. Il pericoloso viaggio a piedi dalla Bosnia attraverso la Croazia e la Slovenia è stato soprannominato “The Game”, il Gioco.

C’erano sei o sette poliziotti, e ognuno aveva un bastone” ci descrive un uomo afghano. È stato arrestato in Slovenia mentre si dirigeva verso l’Italia, e consegnato alle autorità croate, che, ci dice, hanno rifiutato di esaminare la sua richiesta di asilo. Sostiene di essere stato messo in un furgone senza finestre con altri venticinque detenuti, alcuni in preda al vomito, e condotto al confine bosniaco.

La polizia ha distrutto i loro cellulari, rubato i loro soldi, bruciato i loro vestiti, ci dice; e li hanno assaliti. “Ci hanno picchiato con dei bastoni elettrificati”. Un altro uomo riporta che “tutte le mie cose sono state gettate nel fuoco e ridotte in cenere”.

Non siamo i soli a riportare questi episodi. I volontari delle organizzazioni No Name Kitchen e Border Violence Monitoring Network hanno registrato più di 519 casi di violenza della polizia contro i migranti e i rifugiati in tutti gli stati dell’UE, compresa la Croazia. Questi episodi spesso comprendono l’uso sistematico di violenza, intimidazione e furto.

No Name Kitchen, che insieme ad altre organizzazioni locali fornisce assistenza sanitaria, cibo e vestiti ai profughi, pubblica dei report mensili sulla violenza che documentano le attività illegali dello stato croato. A sostegno di questi dati, alcuni whistleblower nella polizia di frontiera croata hanno testimoniato che gli è stato ordinato di respingere le persone senza seguire le procedure standard di asilo.

Questa settimana, un altro poliziotto croato ha dichiarato alla BBC che l’ordine di respingere illegalmente i migranti “viene direttamente dall’alto.”

Come è possibile che questo succeda? Nel campo di Vucjak, tra lividi e ossa rotte, si affrontano le conseguenze della geopolitica europea. In un cinico sforzo da parte del governo croato per dimostrare di essere un degno membro dell’area Schengen, il paese sta facendo il “lavoro sporco” e pattugliando il confine UE. È chiaro che per entrare in Schengen (cosa che la Croazia spera di fare nel 2020) bisogna prima mostrare il proprio valore.

Dopo anni di smentite, la presidente croata Kolinda Grabar-Kitarovic ha perfino ammesso che la polizia usa la violenza nel respingere i rifugiati, il che viola la legge internazionale sull’asilo. Nonostante ciò, molti diplomatici europei, inclusa la cancelliera tedesca Angela Merkel, hanno lodato la Croazia per come sta gestendo la frontiera, e l’Unione Europea ha finanziato la “gestione dei confini” croata con 23,2 milioni di euro.

L’Unione Europea ha criticato, giustamente, le condizioni del campo di Vucjak.

Eppure, la stessa UE resta in silenzio sulle violenze che sta generosamente finanziando al confine croato. Questo approccio bifronte alle politiche di frontiera dell’Unione Europea non riesce a nascondere il fatto che l’Europa ha le mani sporche del sangue dei rifugiati.