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Da Metropoli del 26 marzo 2008

Al via Plans & Slums: un progetto casa per i rom romani

Il viaggio comincia dal Campo Boario, a Testaccio, una sera di febbraio. Aldo Hudorovic, un rom kalderasha che ha vissuto a lungo in quel luogo, racconta la sua storia intorno a un fuoco, davanti a ragazzi italiani, portoghesi, turchi, iraniani, cinesi e giapponesi. Nei paraggi nove camper, con i quali gli studenti si sposteranno per i campi rom di Roma nei giorni seguenti.

E’ questo il prologo di “Plans & Slums”, un seminario internazionale promosso da Stalker – Osservatorio nomade, la stessa associazione che l’anno scorso aveva portato alla luce il mondo sommerso degli accampamenti sul Tevere attraverso la ricerca “Sui letti del fiume”. All’iniziativa partecipano la facoltà di Architettura dell’università di Roma Tre, la TU – Delft, la Belgrade University e la KTH Stockholm. L’obiettivo è quello di proporre una soluzione abitativa per i rom, microaree rispondenti alle loro tradizioni che si vadano ad inserire tra i campi – container pianificati dalle amministrazioni locali (i Plans) e le baraccopoli costruite da loro stessi (gli Slums).

Il tutto attraverso l’osservazione diretta, che ha portato docenti e alunni a visitare diversi insediamenti romani, da Casilino ‘900, esempio di baraccopoli autocostruita, a Castel Romano, dove 800 persone sono relegate nei container ai margini del territorio comunale, fino al Foro Italico, dove nel 1990 rom originari della Serbia edificarono un pugno di abitazioni, creando un microcosmo coerente con le loro radici. A questa fase è seguito il confronto con altre realtà; gli studenti sono stati portati a conoscere gli insediamenti di Belgrado e a scoprire Shutka, municipalità di Skopje, capitale della Macedonia, dove la maggioranza della popolazione (e il sindaco) sono rom.

Ed è proprio dal confronto che emergono i dati più interessanti. Spiega Francesco Careri, docente dell’Università Roma Tre e responsabile del progetto: “Pur nelle discriminazioni alle quali i rom sono soggetti anche lì, la situazione di marginalizzazione in atto in Italia, e in particolare a Roma, è impensabile. In Serbia si possono incontrare le mohalla – piccoli rioni all’interno della città – e case rom costruite accanto a quelle dei gagé. Le favelas stesse, che non mancano, hanno abitazioni costruite con i mattoni”.

Il raffronto con il quadro balcanico ha anche indotto a rivedere le finalità della ricerca, come racconta Lorenzo Romito, insegnante all’università olandese di Delft: “Scoprire una realtà come quella di Shutka fa sperare che anche in Italia si possano percorrere strade simili. Un campo come Casilino ‘900, dove la complessità e la stratificazione storica sono molto alte, dove convivono tutte le comunità rom dell’ex-Jugoslavia, è testimone di una ricchezza che sarebbe un peccato destrutturare. Perché non ipotizzare interventi virtuosi che permettano di migliorare una realtà viva senza frantumarla?”. Un nuovo orizzonte verso il quale indirizzare la ricerca, i cui risultati, report e progetti, saranno presentati alla Triennale di Milano, in occasione della mostra “Una casa per tutti”, che si svolgerà tra maggio e settembre del 2008.

Riccardo Iori