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da repubblica.it del 7 dicembre 2005

Alban e Marianna sposi. Ma divisi da un computer

di Giovanni Maria Bellu

Alban Bahtir, non lo si può negare, è stato un po’ avventato. L’amore l’ha reso cieco. A 23 anni, succede. Ma è pure vero che ha pagato cara la sua incoscienza. Il 26 agosto, assieme a Marianna, aveva appena detto “sì” quando, nella sala dei matrimoni del municipio di Udine, è arrivata la polizia, gli ha messo le manette ai polsi e l’ha portato in cella. Così Alban ha trascorso la prima notte di nozze dietro le sbarre. E’ vero, la mattina dopo è stato scarcerato, ma non ha fatto a tempo a tirare un sospiro di sollievo che si è trovato tra le mani un decreto di espulsione. Ha provato a spiegare, a chiarire. Ha implorato le autorità di sospendere il provvedimento. Non c’è stato verso. Dopo qualche giorno, si è imbarcato su un volo diretto a Pristina. Marianna l’ha seguito. E’ stata con lui fino al mese scorso, quando è dovuta tornare a Udine per sottoporsi a delle cure. E’ al quarto mese di una gravidanza difficile. Adesso rischia di doverla affrontare senza il suo compagno.

Compagno o marito? Quando è intervenuta la polizia, il doppio “sì” era stato pronunciato, l’ufficiale di stato civile aveva dichiarato l’unione matrimoniale, ma non era ancora stato materialmente sottoscritto l’atto. Il matrimonio andava considerato valido a tutti gli effetti, o si trattava di un matrimonio incompiuto? In questa domanda, in questi mesi, si è giocata il futuro di Alban e di Marianna.

Ma prima di dare la risposta, conviene riprendere la storia dall’inizio, cioè dal settembre del 2004 quando Alban Bahtir, cittadino kossovaro, arriva in Austria e fa domanda di asilo politico. Qualche settimana dopo incontra Marianna che, come tanti suoi giovani concittadini, è andata in gita in Austria. L’amore nasce all’istante, fulmineo e travolgente. Tanto che Alban decide di trasferirsi in Italia. Attraversa la frontiera, arriva a Udine e fa il primo degli errori che ancora sta pagando.

Che sia stato per ignoranza della legge o per un’ingenua astuzia, a questo punto poco importa. E dovrebbe essere indifferente per le autorità. Fatto sta che Alban si presente in questura e fa domanda d’asilo. Non potrebbe: la legge, infatti, vieta di presentare domanda in due diversi stati dell’Unione europea. I funzionari della pubblica sicurezza ci mettono poco ad accorgersi dell’errore di quel ragazzo e lo risolvono nel modo più semplice: l’espulsione. Alban, con la coda tra la gambe, torna in Austria.

Ma i giovani non si rassegnano. Marianna anche quella volta lo raggiunge. Convivono per qualche settimana e poi decidono di sposarsi pensando – non del tutto a torto – che in questo modo risolveranno ogni problema e finalmente potranno vivere assieme. Avviano così le pratiche per il matrimonio. Arriva il nulla osta del consolato, Marianna sceglie l’abito bianco, tutto è pronto per la festa, anche le bomboniere. Vengono fatte le pubblicazioni. Il fatto è che, a leggerle, c’è anche qualche funzionario della questura che decide di guastare la festa nel modo che si è detto.

Dopo quattro mesi, la risposta alla domanda fatidica è arrivata. Il tribunale di Udine, il 14 novembre ha stabilito che il matrimonio tra Alban e Marianna è valido e che dunque la mancata sottoscrizione dell’atto può essere sanata in via amministrativa. Alban e Marianna, fin da quel 26 agosto, sono marito e moglie. La conseguenza di ciò è riassunta in un articolo di legge che vieta espressamente l’espulsione dello straniero quando è il coniuge di un cittadino italiano. Infatti, il 17 novembre, il giudice di pace ha accolto il ricorso contro il decreto di espulsione di agosto e ha anche condannato la prefettura a rifondere le spese legali.

Tutto risolto, dunque? Nient’affatto. Come abbiamo detto, Alban è ancora a Pristina. Non può tornare in Italia perché non gli viene concesso il visto d’ingresso. La legge prevede che, quando uno è stato espulso, non deve rientrare prima di dieci anni. Ma l’espulsione non era stata dichiarata illegittima? Già, ma vai spiegare alla memoria di un computer l’esistenza di una norma che consente di derogare al divieto. In casi particolari, come appunto quello di Alban e Marianna.

E’ quanto la difesa dei due ragazzi ha ricordato in un’istanza presentata al nostro consolato di Pristina. Ma – e siamo a oggi – il documento si è perso nei meandri della burocrazia. O, forse, la memoria di quel computer continua ad associare un “no” al nome di Alban Bahtir. Il risultato è che a Udine c’è una giovane donna italiana di ventuno anni che non sa se e quando rivedrà il padre di suo figlio. Molto probabilmente, per risolvere il problema, basterebbe una verifica dell’iter, un momento di attenzione al caso particolare, una rinfrescata alla memoria informatica, una parola del ministro dell’Interno. Vorrà dirla, il ministro Pisanu, questa parola?

(La storia di Alban e Marianna è stata segnalata da Piero Purini)