Il capo missione dell’OIM in Italia ha duramente contestato i contenuti del mio intervento su” Il ruolo delle Organizzazioni internazionali nelle politiche di contrasto dell’immigrazione clandestina”, pubblicato alcuni giorni fa da Meltingpot, accusandomi di avere fornito informazioni non corrispondenti al vero riguardo al ruolo ed alle attività della sua organizzazione in Italia e in Libia.
In realtà la maggior parte della lettera di replica è riferita all’impegno dell’OIM in Italia negli ultimi anni, impegno che non ho richiamato nel mio intervento e sul quale credo di essere abbastanza informato, essendo stato invitato a diverse iniziative promosse anche da questa organizzazione.
Il mio intervento non si riferiva neppure al ruolo di altre organizzazioni, come l’ACNUR, che operano con l’OIM nei progetti italiani e con le quali ho una lunga esperienza di collaborazione, ma riguardava invece le diverse forme di esternalizzazione dei controlli di frontiera e per questa ragione trattava in particolare dell’OIM e della condizione dei migranti in Libia e negli altri paesi di transito. Condizione determinata anche dalle modalità espulsive adottate dall’Italia a partire dal 2004, ma non solo da queste. Una condizione che rimane caratterizzata da gravi violazioni dei diritti umani anche nelle diverse strutture nelle quali vengono condotti i migranti irregolarmente presenti in quel paese.
Tutti possono sapere cosa si può intendere per “centro di accoglienza”, in Italia e in Libia, basta leggere gli atti della Commissione De Mistura per l’Italia e i rapporti di HRW e di Amnesty sulla Libia.
La portata delle diverse operazioni di rimpatrio o di respingimento è definita anche dal tipo di trattamento al quale sono sottoposte le persone prima, durante e dopo l’accompagnamento in frontiera.
Si tratta di una materia ancora assai opaca sulla quale non si è fatta chiarezza neppure dopo diverse interrogazioni parlamentari(1).
Credo che le critiche rivoltemi dal capo missione OIM in Italia riguardino soprattutto il mio giudizio sul coinvolgimento di questa organizzazione nella “gestione dei flussi migratori irregolari”, non solo dall’Italia verso la Libia, ma da questo paese verso i paesi di provenienza, dall’ottobre del 2004 ai primi mesi del 2006, un giudizio che comunque ritengo legittimo perché ho criticato la linea di una organizzazione e non l’operato o la credibilità di singole persone, come invece viene fatto violentemente nei miei confronti.
E che vi sia un nesso tra le politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera e le agenzie intergovernative come l’OIM non è certo un dato che ho scoperto io, ma si rinviene nei documenti ufficiali delle istituzioni comunitarie e nelle ricerche di molti studiosi a livello internazionale (2) (Andrjiasevic 2006, ed altri).
Quando scrivo di un “ coinvolgimento dell’OIM nelle operazioni di rimpatrio forzato realizzate dal governo Berlusconi a partire dall’ottobre del 2004 da Lampedusa verso la Libia, operazioni censurate anche dal Parlamento europeo”, non mi riferivo materialmente alla presenza di operatori OIM a Lampedusa o in altri centri di permanenza italiani nel corso delle attività di rimpatrio, essendo ben noto a tutti, anche per le riprese video ed i reportage diffusi da tempo anche su internet, che erano state altre organizzazioni “umanitarie” a “cogestire” i respingimenti collettivi di oltre 2000 persone espulse dall’ottobre 2004 all’ottobre 2005 ( fonte: Amnesty Internatonal).
Intendevo però richiamare la circostanza che i programmi TRIM e ACROSS SAHARA ai quali partecipava l’OIM in Libia a partire dal 2004, in parte con il sostegno economico del governo italiano, venivano avviati in una situazione nella quale il governo italiano del tempo, oltre ad eseguire i respingimenti da Lampedusa, da Catania e da Crotone verso la Libia, e da qui verso altri paesi, provvedeva a finanziare in territorio libico la costruzione o il funzionamento di centri di permanenza, impropriamente definiti anche lì centri di accoglienza, e sosteneva economicamente anche i rimpatri dalla Libia verso altri paesi, come accertato da una Missione tecnica dell’Unione Europea nel 2005.
Nel 2004 l’Italia finanziava già numerosi voli di rimpatrio di migranti irregolari dalla Libia sulla base di accordi conclusi informalmente nel 2003 dopo una visita dell’allora ministro dell’interno a Tripoli.
Ed altre centinaia di migranti venivano espulsi verso sud, verso le frontiere del Niger attraverso i “centri di accoglienza” finanziati dal governo italiano. Tutto questo rientrava negli accordi informali tra l’Italia e la Libia conclusi nel 2003.
Come affermavano i vertici del Ministero dell’interno, già nel corso del 2004, le autorità libiche avevano già provveduto al rimpatrio di decine di migliaia di clandestini, “anche con il nostro contributo diretto specialmente per quanto riguarda cittadini egiziani ”(AGI). Alla fine del 2004 oltre cinquemila migranti irregolari ( per la precisione 5688 persone) erano stati già rimpatriati dalla Libia verso altri paesi con il supporto economico italiano.
Tutto questo avveniva mentre il ruolo operativo dell’ACNUR in Libia era praticamente ridotto a zero, forse anche per le pesanti critiche di questa organizzazione a tutta la macchina italo-libica dei rimpatri forzati e ai successivi voli trasferimenti finanziati dall’Italia verso i paesi di origine attraverso la Libia, circostanza, questa dei voli finanziati dal nostro paese, ben documentata dalla Missione tecnica dell’Unione Europea sull’”immigrazione illegale” che si era recata in Libia tra il 27 novembre e il 6 dicembre 2004. La stessa Missione Europea rilevava anche l’esistenza di “centri di accoglienza” per migranti irregolari finanziati dall’Italia.
In questo stesso periodo venivano portate avanti le trattative che conducevano nell’agosto del 2005 ad un importante accordo tra l’OIM e la Libia che veniva accolto con soddisfazione dal governo italiano del tempo, che lo definiva “un importante passo in avanti per la regolamentazione dei flussi migratori che dall’Africa si dirigono verso l’Europa”.
Nell’accordo si ponevano le basi per i programmi di rimpatrio volontario assistito gestito dall’OIM e per la formazione delle forze di polizia. Conosco le forme ed i tempi del “Ritorno volontario assistito con reintegrazione nelle aree di origine” dai documenti ufficiali dell’OIM, il fatto che queste operazioni si rivolgano a richiedenti asilo denegati o a migranti irregolari, mi porta ad esprimere un giudizio che tiene conto dei luoghi e delle condizioni di libertà effettiva in cui queste persone si trovano. Si conoscono ad esempio recenti testimonianze positive dal Niger, ma non si possono negare le condizioni di costrizione nella quale si trovavano nel 2004 e si trovano ancora oggi i migranti irregolari in Libia.
Rimane affidato alla valutazione di tutti coloro che vogliono andare in fondo ai problemi se la situazione a carico dei migranti e dei potenziali richiedenti asilo in Libia sia migliorata in questi ultimi anni, dopo la messa in opera dei progetti affidati all’OIM.
Un giudizio preoccupato sulle attività dell’OIM in Libia emerge anche dai rapporti delle organizzazioni internazionali che pure hanno avviato da tempo un serrato confronto con l’OIM ( il riferimento è a Human Rights Watch).
Sembra abbastanza diffuso il convincimento che in determinate realtà in cui la libertà di circolazione dei migranti è fortemente limitata, come appunto in Libia, la distinzione tra rimpatrio forzato e rimpatrio volontario possa risultare abbastanza opinabile, in assenza di minime condizioni di sicurezza per le persone migranti in situazione di irregolarità. Probabilmente la verità rimane ben marcata solo sulla pelle dei migranti che sono transitati dalla Libia.
La recente vicenda di Misurata, con il trasferimento in Italia di 40 eritrei riconosciuti come rifugiati dall’ACNUR ma detenuti in Libia, vicenda che ho seguito in diretta, in quanto mi trovavo alla presenza del Prefetto Morcone quando il 7 novembre scorso, durante una audizione di associazioni davanti al Consiglio Europeo ed alla Commissione, ne ha dato notizia a Bruxelles, portandola ad esempio di una svolta che purtroppo non c’è ancora stata, è un risultato significativo ed è positivo il contributo di quanti sono riusciti a realizzarla.
Ma non può nascondere la realtà che proprio a partire dal 2004 si vive ancora oggi nei centri di detenzione libici, dai quali transitano ogni anno oltre 50 mila migranti in attesa di essere espulsi, molti dei quali potenziali richiedenti asilo o addirittura già titolari di uno status di protezione internazionale che però le autorità libiche non riconoscono.
Non mi sembra insomma, anche alla luce della situazione attuale del carcere di Misurata, e degli altri centri di detenzione per migranti irregolari, talora anche in fosse scavate nella sabbia del deserto dove vengono detenuti tra gli altri molti eritrei, donne e minori compresi, che la Libia “stia recependo pratiche internazionalmente recepite”, come sostiene il direttore della missione italiana dell’OIM.
Se ciò si verificasse sarei ben lieto di rilevarlo, anche perché in questo modo la Libia potrebbe “liberare se stessa” e partecipare alla pari degli altri paesi al dialogo euro-mediterraneo.
Nessuno può mettere in discussione le modalità di detenzione e le violenze crescenti subite da tutta la popolazione immigrata in Libia dal 2003 ed ancora in questo anno, in questi giorni, probabilmente in queste stesse ore.
Non esistono soluzioni facili per problemi tanto complessi, però ritenevo e continuo a ritenere necessaria una maggiore fermezza con gli interlocutori libici, senza fornire alibi che alla fine possono produrre soltanto il perpetuarsi di questa situazione. E qui il ruolo dell’Unione Europea, dei partner europei ed internazionali è assai importante.
In un suo recentissimo documento, con riferimento alla Libia, ancora alla fine di quest’anno, Human Rights Watch reitera all’OIM le stesse preoccupazioni e le stesse richieste che erano state già incluse nel rapporto del 2005. Per quanto tempo dovremo attendere ancora un miglioramento della condizione dei migranti in transito in Libia?
Fulvio Vassallo Paleologo
Università di Palermo, Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione