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All’Indomani di Idomeni. Un ritorno che sa di Partenza per una Futura e Umana RiEsistenza

Parole in Libertà di Alter Nata dopo la March #overthefortress

All’Indomani di Idomeni quello che si sente è un infinito vuoto perché troppo pieni, una sensazione di smarrimento e di velata angoscia, un senso di impotenza e di voglia di non stare con le mani in mano, voglia di ripartire subito perché sono tante le cose da fare.
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All’Indomani di Idomeni si sente il bisogno di riconnettersi con le persone con le quali si è condiviso il viaggio come per una strana alchimia per la quale quel gruppo, quella collettività si sente una soggettività dopo aver osservato, partecipato, agito, condiviso quello che umanamente risulta essere incomprensibile: uomini, donne, bambini bloccati e costretti a presidiare un confine alla ricerca di una vita migliore fuggiti da piogge fatte di bombe e persecuzioni.

All’Indomani di Idomeni questa strana collettività è fatta di molteplicità tenuta insieme da un “orange di militanza” (anche se le immagini in TV sembrano trasformare l’arancione in un rosso acceso tanto da riessere ribattezzati da giornalisti e organizzazioni, ambedue mondi obsoleti a parte Pio e l’inviato de Il Manifesto, “RedArmy”). Una “Orange di Militanza” che è #Overforthefortress grazie all’impegno di tanti attivisti e volontari che – nell’ambito di #MeltingpotEuropa e grazie ad un importante e prezioso sforzo organizzativo – sono riusciti nell’impresa… l’impresa non dei mille ma dei 300 che già oggi nel tam tam di condivisioni, narrazioni, suggestioni sono al di sopra – numericamente e sostanzialmente – di ogni “arancione” aspettativa.

All’Indomani di Idomeni si sente il bisogno di fermarsi e pensare. Prima di tutto c’è bisogno di mettere insieme le cose viste e fatte, e fare un bilancio, fare i conti con se stessi e con le collettività. Serve un po’ di tempo, servono tre giorni ecco allora che oggi mi decido a scrivere anche perché sollecitato quasi come fosse una “responsabilità individuale” quella del narrare e raccontare ciò che è accaduto nella “pasqua idomeniana contaminata da Overforthefortress”. Si almeno tre giorni di attesa e di decantazione, tre giorni di privato isolamento chiuso in se stessi, le persone passano al fianco e tu non riesci neanche a vederli, i tuoi occhi sono ancora tra i colori e le persone di Idomeni, immersi nei profondi sguardi delle persone incontrate, sono rimasti in frontiera e la resteranno per un bel po’… anche le voci di chi ti è intorno subisce analoga sorte… le voci che si continuano a sentire sono le voci dei bambini, le loro risa, i loro “Hello”, i loro fragili schiamazzi che ti strozzano dentro, il loro giocare a volte forte, fisico, violento… le voci che si continuano a sentire – come in un ascolto perpetuato – sono quelle delle tante storie raccolte, storie di uomini e donne alle prese con un viaggio interminabile e che oggi si trova ad essere sbarrato perché questa Europa chiude le porte e non ascolta ragioni, ragioni di umanità, e con spavalda incurante azione stabilisce patti e produce accordi che si scagliano e mietono vittime, gli stessi uomini, donne e bambini narranti ed erranti sono le vittime.

A Idomeni. Foto: Giacomo Paselli
A Idomeni. Foto: Giacomo Paselli

All’Indomani di Idomeni tre giorni sono necessari. C’è chi in tre giorni risorge o chi come la carovana Overthefortress riesce nell’impresa… l’impresa di far percepire tre giorni come fossero una esistenza intera. Tre giorni di attivismo senza confini e di attraversamento di contesti… non c’è un attimo di respiro, c’è troppo da fare, tante le cose che bisogna verificare… ci sono da sistemare tutti gli aiuti materiali che sono arrivati, c’è da organizzare una distribuzione di senso nel campo, bisogna agire ma bisogna anche pensare ed organizzare, c’è da analizzare e raccogliere più informazioni possibili su quelle che sono le modalità per la richiesta di protezione internazionale e su quelle che sono le modalità dell’accoglienza ellenica, c’è da manifestare un dissenso rispetto alle politiche europee e allo stesso tempo c’è da tutelare le migliaia di persone appese ad un confine.

All’Indomani di Idomeni si riguardano le foto, si rileggono appunti presi a volte distrattamente a volte con una voracità di chi vuole capire, si ripensa alle chiacchierate tra “compagni di viaggio” davanti ad un bicchiere in un momento di sosta (che sosta non è), si riascoltano le storie, si rivedono i video e prepotente si fa strada un pensiero sui luoghi… qualcuno direbbe luoghi dimenticati da dio (forse luoghi di un dio dimenticato) o piuttosto e purtroppo “NON LUOGHI”. La sensazione diffusa al confine -e non solo – è quella di essere sospesi nel tempo e nello spazio… una sospensione in un limbo che caratterizza dapprima i migranti e direttamente anche i noi della carovana… luoghi sospesi perché i fumi, le tende, i canali per lo scolo, le fogne, gli ammassi di rifiuti, le rotaie occupate, un confine chiuso, lo schieramento di “elmettati e scudati” a protezione di un blindato confine ma anche di cineasti e reporter obsoleti (ripeto a parte alcuni rari casi), di schieramento di paraboliche e cineprese sembra catapultare l’errante in un non luogo. E viene da chiedersi. Ma ci stiamo rendendo conto di quello che accade? A parte l’evento sensazionalista legato allo scoop e alla informazione rarefatta e faziosa ci rendiamo conto realmente di quello che sta accadendo?

All’Indomani di Idomeni si raccolgono le informazioni e le diverse storie ascoltate. Si organizza il tanto materiale raccolto – se pur parziale – dalle visite al campo di Idomeni alle diverse persone incontrate per la strada fuori dal centro governativo con gli studenti del corso ASGI per operatori legali. Sono – seppur parziali – tantissime informazioni utili a cercare di comprendere un fenomeno, un fenomeno di migrazione forzata. Subentrano nelle situazioni e soprattutto sulle storie delle persone gli accordi che a livello europeo vengono stipulati.

All’Indomani di Idomeni guardandosi intorno ci si rende conto di quante siano le frontiere, i confini e di come sia assurdo oggi… ancora oggi… promuovere chiusure piuttosto che Libere MigraAzioni. L’uomo è uomo e in quanto tale essere vivente per sua natura proponendo allo spostarsi. Da qui l’idea di fondo che non dobbiamo continuare a contornarci di confini ma dovremmo promuovere azioni che possano permettere una armoniosa contaminazione culturale rispettando le diverse e molteplici motivazioni che sono alla base di una partenza, che sono alla base di un essere – come noi – disperato che rischia la vita su un’imbarcazione di fortuna con la propria famiglia, con i propri figli nella speranza di raggiungere approdi sicuri. RestiAmo Umani… rEsistiAmo Umani. #NoBorders #NoBordersBrennero #LiberaMigrAzioni #NoTurchiaUE #NoDublino #EuropaAccoglienteSolidale.

L'assemblea finale durante il viaggio di ritorno
L’assemblea finale durante il viaggio di ritorno

All’Indomani di Idomeni – tornando a casa e abbracciando il proprio figlio di dieci anni che ti chiede “papà allora come è andata? C’erano tanti bambini? Ma perché magari non ne hai riportato uno con te visto che stanno soffrendo?” L’unica risposta possibile “Già” e intanto respirare e rimanere subito dopo in silenzio e sentire – per dirla con le parole della banda Bassotti – di essere Figli della stessa rabbia con una consapevolezza in più: Non siamo tornati da Idomeni siamo soltanto appena partiti.

… To be continued …
e come direbbe #Enrico … Grazie a tutto!
coOperaio AnonimoMaNontroppo
per info: www.alternatasilos.blogspot.it