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Allontanamento Dublino di un richiedente asilo: quali garanzie?

di Fulvio Vassallo Paleologo. Università di Palermo

Si cominciano a chiarire alcuni aspetti dell’allontanamento forzato da Palermo a Bruxelles, di SALI E., rom kosovaro, nato a Palermo nel 1987. Lo stesso, in precedenza, si era recato da solo presso l’Ufficio Immigrazione della Questura di Palermo per presentare una richiesta di asilo, anche a fronte della nuova situazione determinatasi in Kosovo, oltre che per il fatto di essere nato in Italia.
Sembrerebbe che in questi anni lo stesso SALI abbia vissuto per diversi periodi in Francia e in Belgio, dove avrebbe presentato una domanda di asilo di cui fino ad oggi non si conosceva l’esito.
Tanto- forse- è bastato alla Questura di Palermo, certamente su segnalazione dell’Unità Dublino, per disporre l’espulsione con accompagnamento immediato verso il paese nel quale era stata presentata la prima richiesta di asilo, in applicazione del Regolamento Dublino II n. 343.
Un ispettore della Questura di Palermo- Ufficio Immigrazione, lo stesso che avrebbe aiutato il ragazzo a compilare la richiesta di asilo, aveva invitato SALI E. a recarsi questa mattina negli uffici della Questura di via San Lorenzo, consigliandogli di portare con se una valigia con gli effetti personali e, rilasciando- sembrerebbe- una ricevuta.
Sali E. ed i suoi familiari, che i perfetta buona fede non si erano rivolti in precedenza ad uno sportello di assistenza, confidando nei buoni rapporti fin qui avuti con gli uffici di polizia, pensavano a quel punto che, come già successo in precedenti casi di richiedenti asilo kosovari, si profilasse un trattenimento in un CID in Sicilia, quello di Salina Grande a Trapani per l’esame della domanda di asilo. Il trattenimento appariva comunque una misura eccessiva, per non dire arbitraria, in quanto il richiedente asilo, ormai residente a Palermo, non era mai stato destinatario di un provvedimento di espulsione e si era recato spontaneamente presso l’Ufficio Immigrazione della Questura di Palermo.

Appena giunto in Questura nella mattina del 7 marzo SALI E. apprendeva che sarebbe stato messo in esecuzione il suo trasferimento forzato verso Milano, senza conoscere altro della sua ulteriore destinazione, né dell’esito della domanda di asilo o di protezione internazionale presentata alla Questura di Palermo o altrove. Non si sa, allo stato dei fatti conosciuti, se negli uffici della Questura gli sia stato notificato alcun provvedimento di espulsione o di trasferimento ai sensi della Convenzione di Dublino. Se ciò non fosse avvenuto, il suo successivo trasferimento potrebbe quanto meno configurare gli estremi dell’abuso di ufficio o di altri più gravi reati. In ogni caso, nella mattinata del 7 marzo, non ci sono certamente stati i tempi per la convalida di una eventuale espulsione da parte del magistrato, perchè già alle ore 12,30 di questo giorno Sali veniva imbarcato su un aereo alla volta di Milano Malpensa. Mentre la dirigente dell’Ufficio restava irraggiungibile dall’esterno, nessuno comunicava all’interessato o alla sua famiglia, o ad altri, inclusi i rappresentanti dell’ACNUR, la destinazione finale del viaggio, e gli agenti di polizia richiesti dai rappresentanti di ONG e di uffici istituzionali dichiaravano che non potevano fornire nessuna informazione.

Il caso veniva tempestivamente segnalato a Luciano Scagliotti del’ENAR di Torino, all’ACNUR di
Roma ed alla missione operativa Praesidium in Sicilia, al CIR di Palermo e dell’aeroporto Milano Malpensa.

La famiglia di Sali gli ha potuto solo comunicare il numero telefonico dell’avv. Livio Neri del Foro di Milano, per intervenire con un ricorso nel caso in cui fosse stato trasferito a Milano.
La dott.ssa Maria Luisa Scardina, assistente sociale dell’ ufficio penitenziario per minori di
Palermo, recatasi presso l’Ufficio Immigrazione della Questura assumeva -intorno alle 12,30 – ulteriori informazioni, in apparenza rassicuranti, apprendendo che Sali avrebbe comunque avuto accesso alla procedura di asilo in Italia e non sarebbe stato accompagnato all’estero.
Attorno alle ore 14 invece, Sali chiamava da Milano Malpensa, con il suo telefono cellulare, l’avv. Livio Neri, ma la telefonata – se non si è trattato di una improvvisa scarica della batteria- veniva bruscamente interrotta, probabilmente da un agente di polizia incaricato della scorta. A Sali veniva comunque impedito di parlare con il suo avvocato con altri mezzi, come sarebbe stato suo diritto.
Si apprendeva successivamente che SALI stava per essere accompagnato in Belgio.

In serata si è appreso che la polizia belga, dopo l’arrivo ha Bruxelles, si è limitata a notificare a SALI il diniego della richiesta di asilo precedentemente presentata in Belgio, rimettendolo immediatamente dopo in libertà, intimandogli di lasciare entro nove giorni il territorio di quel paese, ed aggiungendo che non avrebbe più potuto riproporre domanda di asilo in altri stati dell’ Unione Europea.
La procedura di allontanamento forzato posta in essere dalle autorità italiane appare comunque assai dubbia, oltre che per gli evidenti vizi di procedura, anche alla stregua delle clausole umanitarie in deroga al regolamento Dublino 343 del 2003, clausole che, nel caso di persone, appartenenti a famiglie provenienti dal Kosovo, ma nate in Italia, consentono comunque un esame della domanda di asilo da parte dello stato italiano.
E va ricordato che tutte le operazioni di allontanamento forzato in frontiera, anche se in esecuzione della Convenzione di Dublino, si traducono in misure limitative della libertà personale, come ritiene la Corte Costituzionale, misure che possono essere adottate solo nel rispetto dell’art. 13 e 24 della Costituzione italiana e degli articoli 3,5,6 e 8 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo e dei protocolli aggiuntivi.
Il comportamento seguito dalla Questura di Palermo, nel caso di Sali, in un momento di grave vuoto istituzionale, lascia presagire quale sarà il futuro dei diritti umani in Italia quando vengono affidati alla discrezionalità delle autorità di polizia, e dimostra quanto vale ancora il principio di legalità, l’art. 13 della Costituzione, in particolare, che precede una riserva di giurisdizione in tutti i casi nei quali vengano imposte dalla polizia limitazioni della libertà personale, ed il diritto di difesa, affermato dall’art. 24 della Costituzione italiana. Un anticipo di quanto si verificherà in futuro ai danni dei rom e delle componenti più deboli della popolazione immigrata in Italia.

Una cosa è certa: oltre al costo di tutta questa operazione ( diverse migliaia di euro pagati dai contribuenti italiani e dai finanziamenti europei) conclusasi nella stessa giornata con la liberazione di Sali a Bruxelles, è sicuro l’effetto annuncio rivolto alla comunità rom ed ai suoi membri più giovani di provenienza kosovara, in particolare, alcuni dei quali si accingevano a presentare una richiesta di protezione internazionale. Forse non si voleva creare un precedente, come al solito….oppure si voleva proprio stabilire un precedente, in modo da dissuadere altre richieste di asilo. Un ulteriore spinta verso la clandestinizzazione di persone che avrebbero buon diritto per ottenere uno status di soggiorno regolare, anche alla luce del continuo deterioramento della situazione umanitaria della popolazione rom in Kosovo.

Chiediamo a tutte le associazioni, ai movimenti che difendono i rom a livello internazionale ed alle agenzie umanitarie di attivarsi al più presto per bloccare procedimenti di allontanamento forzato
in base ad una applicazione meccanica del Regolamento Dublino II, come quello attuato nel caso di Sali e per promuovere il rispetto delle normative che, anche a livello comunitario, impongono, comunque, nei casi di espulsione dei richiedenti asilo denegati, il rigoroso rispetto di regole procedurali e della dignità della persona.

Ci impegniamo tutti a seguire gli ulteriori sviluppi di questa fosca vicenda, anche al fine di una denuncia dell’Italia davanti alla Corte Europea dei diritti dell’uomo.