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Analisi delle nuove tipologie di contratti di lavoro per il rinnovo del permesso di soggiorno

Un quesito che ricorre sovente è quello relativo alle tipologie di contratto che consentono il rinnovo del permesso di soggiorno. La domanda che viene posta più frequentemente infatti è “Quale dovrebbe essere la durata minima dei contratti di lavoro per consentire il rinnovo del permesso di soggiorno?”.

Le modifiche introdotte dalla legge Biagi
Oggi va molto di moda parlare della cosiddetta legge Biagi, ovvero il D.Lgs. 10 settembre 2003 n°276 (adottato in base alla delega al Governo in materia di occupazione e di mercato del lavoro, conferita con la Legge del 14 febbraio 2003, n. 30, pubblicata nella G.U n. 47 del 26 febbraio 2003 ed entrata in vigore il 13 marzo 2003). Si tratta di una legge che ha creato una serie di nuove tipologie di contratto di lavoro più o meno flessibile o precario che dir si voglia. In linea generale un cittadino extracomunitario regolarmente soggiornante sul territorio dello Stato, può stipulare qualsiasi tipo di contratto di lavoro previsto dalla legge italiana; ciò per il semplice motivo che al cittadino extracomunitario regolarmente soggiornante è riconosciuto il diritto fondamentale alla parità del trattamento e alle pari opportunità (si veda l’art. 2 del T.U. sull’Immigrazione), laddove per pari trattamento si intende il diritto alla retribuzione e all’applicazione delle stesse condizioni di lavoro previste per i cittadini italiani e per parità di opportunità si intende più specificatamente la possibilità di accedere al mercato del lavoro con le stesse possibilità che sono riconosciute ai cittadini italiani e, quindi, la possibilità di stipulare tutte le stesse tipologie di contratto di lavoro che sono previste dalla legge.

È giusto ricordare che la parità di trattamento e la pari opportunità (sancita da tempo nella legislazione italiana quantomeno dal 1986 che detta Norme in materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori extracomunitari immigrati e contro le immigrazioni clandestine), stabilisce un principio che non sempre è stato accettato in toto da parte del Ministero del Lavoro.
Infatti nel corso degli anni, varie sono state le occasioni in cui il Ministero del Lavoro ha negato, con proprie circolari, la possibilità di stipulare, per esempio, contratti di formazione al lavoro, di apprendistato o contratti di lavoro part-time, come pure a suo tempo era stata negata la possibilità per i cittadini extracomunitari regolarmente soggiornante ma divenuti invalidi, di essere avviati al lavoro con il cosiddetto sistema del collocamento obbligatorio e, quindi, con il diritto di iscriversi nelle apposite liste del collocamento per gli invalidi.
Ebbene questo principio di piena parità del trattamento e di opportunità di accesso al mercato del lavoro è sempre stato riconfermato dalla magistratura. Quindi da questo punto di vista, al giorno d’oggi, non dovrebbero esserci più dubbi interpretativi di nessun tipo.

In altre parole, tutti i contratti di lavoro previsti dalla legge italiana – quindi tutte le tipologie di lavoro – possono essere utilizzati anche dai cittadini stranieri regolarmente soggiornanti.
Si potrebbero pensare delle differenze di trattamento sotto questo profilo solo per chi deve ancora arrivare in Italia e quindi fosse interessato all’autorizzazione all’ingresso dall’estero per motivi di lavoro. In questo caso è discutibile se possano essere utilizzate tutte le tipologie di contratto o se invece debbano essere utilizzate soltanto le tipologie per così dire “normali” quali:
1. il contratto di lavoro a tempo determinato;
2. il contratto di lavoro a tempo indeterminato;
3. il contratto di lavoro stagionale.
4.

Per quanto riguarda invece i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio italiano, è possibile senz’altro accedere a tutte le tipologie di contratto.
Pensiamo per esempio al lavoro interinale, al cosiddetto lavoro somministrato che ora si prevede possa essere offerto e amministrato da agenzie appositamente autorizzate alla somministrazione di lavoro in favore di altre imprese.
Naturalmente è chiaro che per poter perfezionare tali tipologie di contratti di lavoro è necessario che gli stessi siano stipulati in modo lecito e siano tali da non dissimulare o nascondere malamente forme di lavoro vietate e somministrazione illecita di manodopera.

La durata dei contratti di lavoro
Per quanto riguarda la durata dei contratti di lavoro, si precisa che può essere ovviamente variabile.
La disciplina dei contratti di lavoro a tempo determinato, ad esempio, consente contratti anche di durata brevissima. Si consideri poi che il cosiddetto contratto di lavoro interinale può essere costituito da tanti micro/contratti che, in linea teorica, potrebbero avere anche la durata ciascuno di solo qualche giorno. Si constata però che nella realtà pratica i cosiddetti lavoratori interinali spesso svolgono un’attività di fatto continuativa anche se, da un punto di vista meramente formale, si tratta di un’attività costituita da una successione, senza soluzione di continuità, di una miriade di micro/contratti di lavoro di durata limitatissima.

Si evidenzia che comunque in base alla legge – anche per quanto riguarda gli stranieri e ai fini del contratto di soggiorno così come verrà regolamentato successivamente all’entrata in vigore del regolamento di attuazionenon esistono concettualmente limiti alla durata del contratto di lavoro. Esiste piuttosto un limite alla durata del permesso di soggiorno.
Infatti la regola generale (introdotta dal comma 3 bis dell’art. 5 del Testo Unico sull’immigrazione, come modificato dalla legge Bossi – Fini) è quella per cui il permesso di soggiorno per motivi di lavoro è rilasciato a seguito della stipula del contratto di soggiorno per lavoro (previsto all’art. 5 bis del T.U. sull’Immigrazione). Questa parte non è ancora operativa perché, come abbiamo precisato più volte, si dovrà attendere l’approvazione del nuovo regolamento di attuazione, per vedere sperimentato nella pratica il nuovo istituto del contratto di soggiorno.
La regola generale (sempre stabilita all’art. 5, comma 3 bis, citato) è quella per cui la durata del permesso di soggiorno per lavoro è legata alla durata del contratto di soggiorno.
Ecco che quindi possiamo immaginare anche dei permessi di soggiorno per lavoro di una durata minima, corrispondente alla breve durata del contratto di lavoro. Ne discende che nell’ipotesi di un contratto di lavoro a tempo determinato della durata di un solo mese o di un contratto di lavoro interinale della medesima durata, dovremmo immaginare teoricamente un permesso di soggiorno per lavoro della durata di un solo mese!

I tempi del rinnovo del pds
Già abbiamo rilevato che il periodo di tempo necessario per il rinnovo del permesso di soggiorno, variabile a seconda delle differenti questure, è purtroppo generalmente molto più lungo di quello previsto dalla legge e spesso intollerabile anche per tante altre ragioni.
Pensiamo solo all’esigenza di tornare a casa per le ferie e all’impossibilità di farlo perché bisogna attendere mesi per poter rinnovare il pds; addirittura può essere necessario un intero anno, come nel caso della questura di Venezia che ha raggiunto tempi di attesa veramente preoccupanti se non addirittura scandalosi.
A parte questi problemi, già possiamo immaginare che si trasformi in una complicazione – anche se le questure funzionassero in maniera assolutamente efficiente e provvedessero in tempi strettissimi al rinnovo dei permesso di soggiorno – e in una scomodità evidente il fatto di rinnovare un permesso di soggiorno avente la durata di un solo mese perché rilasciato in funzione di un contratto di lavoro interinale che sulla carta è previsto che durerà un mese, ma che poi verrà in realtà rinnovato per altri mesi o magari anni (come accade più frequentemente di quanto si creda), senza che vi sia soluzione di continuità.

Alcune questure hanno adottato una soluzione di tipo pratico per non essere letteralmente intasate e sopraffatte da continue richieste di rinnovo del pds da parte di lavoratori che operano abitualmente in settori di lavoro precario e che, quindi, sono condannati alla continua stipula di contratti di lavoro a tempo determinato. La soluzione prospettata è quella di equiparare i lavoratori che svolgono occupazioni di tipo precario ai lavoratori disoccupati. Ne discende che, anziché rilasciare un permesso di soggiorno di durata corrispondente a un mese, due o tre mesi, le stesse questure rilasciano il pds della durata di sei mesi, come se si trattasse di lavoratori disoccupati (si veda l’art. 22, comma 11 del T.U. sull’Immigrazione).
Questo anche se, come sopra precisato,, la regola stabilita dall’art. 5 comma 3 bis, è quella per cui il pds ha la durata corrispondente alla durata stabilita nel contratto di lavoro e, solo nel caso di contratto di lavoro a tempo indeterminato, quindi laddove non è stata stabilita una durata, il pds può avere una durata non superiore a due anni.

D’altre parte la scelta operata dalle questure ha una sua logica e serve ad attenuare i danni peggiori che altrimenti provocherebbe la legge Bossi-Fini. Non avrebbe infatti alcun senso trattare meglio chi è disoccupato rilasciandogli un pds della durata di sei mesi – tempo da utilizzare per poter trovare una nuova occupazione – quando invece il lavoratore occupato, che sia pure con un’occupazione precaria sta lavorando, dovrebbe avere invece una durata del permesso di soggiorno inferiore. Ma l’orientamento in tal senso è diverso e varia da questura a questura.
E’ capitato di vedere rinnovati permessi di soggiorno per la durata di un mese come pure – visto che la realtà supera la fantasia – di vedere rinnovati permessi di soggiorno che nel momento in cui sono stati consegnati erano gia scaduti. Incredibile ma vero!