Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
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A cura di Fulvio Vassallo Paleologo - ASGI

Ancora un’udienza interlocutoria al processo per la strage del Vulpitta

Si è svolta ieri a Trapani l’ennesima udienza del processo per la strage del centro di detenzione Vulpitta di Trapani, dove a causa del rogo scoppiato nella notte del 29 dicembre 1999 persero la vita, soffocati o a seguito delle gravissime ustioni, sei immigrati.

L’avvocato che difende il prefetto, imputato per omicidio colposo plurimo, ed altri reati omissivi connessi alla mancata messa a norma della struttura, ha chiesto, come già avvenuto in precedenza, un ulteriore rinvio, per sollecitare ancora l’audizione di altri testimoni.

Quando sembrava che l’intenzione del Tribunale era nel senso di chiudere il processo entro Pasqua, adesso i tempi si allungano ed appare probabile che la sentenza arrivi solo alla fine di settembre, o anche più tardi, a quasi quattro anni, dunque, dal verificarsi del rogo.

Come in altre udienze precedenti, la difesa dell’imputato ha continuato ad interrogare i testimoni (in gran parte rappresentanti delle forze dell’ordine) nel tentativo di scaricare sulle forze di polizia, che si asserisce sarebbero
intervenute in ritardo, le responsabilità del gravissimo fatto.

Sono rimaste sullo sfondo le gravissime ed incontestabili carenze strutturali del centro di detenzione Vulpitta di Trapani, un ospizio che l’allora prefetto di Trapani, subito dopo l’approvazione della legge Turco Napolitano propose al Ministero degli interni ( quello del governo di centro sinistra) per rinchiudere gli immigrati in attesa di espulsione.
Carenze tanto gravi e persistenti che anche dopo il rogo, nel 2000, la magistratura trapanese ordinò la chiusura del centro per il suo adeguamento alle norme di sicurezza. Carenze documentate oggettivamente nelle relazioni tecniche e nelle deposizioni dei consulenti, e confermate in più occasioni dagli stessi operatori di polizia. Carenze strutturali che rendevano ingovernabile il centro, e svelavano tragicamente l’ ipocrisia della istituzione della detenzione amministrativa: non limitazione della libertà di circolazione, come voleva sostenere il governo del tempo,
ma vera e propria misura di limitazione della libertà personale (soggetta dunque ai controlli di cui all’art. 13 della costituzione) come dimostrò incofutabilmente la sentenza della corte Costituzionale n. 105 del 2001.

Gli immigrati trattenuti nei centri di permanenza temporanea, dunque, non erano “ospiti” ma detenuti, anzi peggio dei detenuti, “non persone” alle quali si negavano (e si negano oggi)i fondamentali diritti di difesa e di assistenza previsti persino nelle carceri.
Ancora oggi gli immigrati sono rinchiusi in questo girone infernale, ed ancora si moltiplicano i tentativi di fuga, di suicidio, gli atti di autolesionismo, soprattutto dopo che la legge Bossi Fini ha raddoppiato il periodo di permanenza (da trenta a sessanta giorni).

Gravissima la commistione tra immigrati ex detenuti e immigrati appena sbarcati.
Ormai vicina la fine delle illusioni di chi ha sperato nella sanatoria,per molti rimane la sola prospettiva dell’espulsione e dell’internamento. Esattamente come nel dicembre del 1999 quando, a pochi giorni da una circolare ministeriale che invitava i prefetti ed i questori ad internare e ad espellere gli immigrati che avessero avura respinta la richiesta di regolarizzazione, si verificò una situazione di tensione generalizzata in tutti i cpt italiani ed il rogo di Trapani.

Per tutte queste ragioni, e per fare verità e giustizia, la vicenda del Vulpitta di Trapani rimane attualissima e noi contineremo a seguirla con il massimo impegno ( l’ASGI è costituita parte civile nel processo), dentro e fuori le aule del tribunale.

La prossima udienza è fissata per il 5 giugno. Vi daremo tempestivamente notizie sull’andamento del processo.

Per la chiusura di tutti i CPT. Contro tutte le ipotesi di cogestione e di privatizzazione di strutture inumane e degradanti.