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Annullamento del decreto di espulsione: il cittadino albanese non può essere rimpatriato a causa del Kanun, la vendetta di sangue che grava sulla sua famiglia

Corte di Cassazione, sentenza n. 11280 del 10 maggio 2018

Il caso di un cittadino albanese ripercorso sin dal ricorso di primo grado.

Il Prefetto di Forlì – Cesena nell’anno 2015 adottava il decreto di espulsione previo trattenimento presso il [CIE di Bari – Palese>http://www.meltingpot.org/+-Puglia-Bari-Palese-+.html] del cittadino albanese che non poteva recarsi nel paese d’origine a causa della vendetta di sangue che interessava la sua famiglia secondo le regole del Kanun.

Il fenomeno della gjakmarrje (vendetta di sangue) è una realtà ancora forte nel nord dell’Albania e deriva da un antico codice medievale di origine cristiana, il Kanun di Lek Dukagjini, che attraverso delle norme regolava la vita sociale e culturale (in particolare: la famiglia, il matrimonio, la proprietà privata, il lavoro, il giuramento, il risarcimento dei danni, i privilegi, il codice giudiziario degli anziani, l’onore, la vendetta di sangue, il perdono) della popolazione albanese delle montagne sottoposta al dominio ottomano nel medioevo.

Nella cultura albanese, l’onore veniva considerato il fattore costitutivo della relazione tra singoli e collettività e qualsiasi azione disonorevole era giudicata alla stregua di un crimine. Secondo il Kanun, il disonore si poteva riscattare solo con spargimento di sangue o con il perdono celebrato attraverso un rito di riconciliazione.

Attualmente il Kanun non è più ufficialmente in vigore, ma la tradizione che lo caratterizza continua ad esistere e a definire le basi morali della società albanese. Nel tempo le norme del Kanun sono state sempre più stravolte a seconda dei sistemi socio-politici che si sono succeduti. Per rispondere alle lacune dello Stato relative all’esercizio delle sue funzioni pubbliche si è sviluppata nella società una visione distorta del Kanun.

Le disposizioni del Kanun sono infatti sopravvissute sino ad oggi in forma degenerata e in pratica si traducono nell’uso della giustizia privata. Un conflitto interpersonale causato dalle più diverse motivazioni (es. confini di proprietà, incidenti stradali, ecc…) può esasperarsi fino al punto di spingere le parti coinvolte a ricorrere all’omicidio. La conseguente gjakmarrje, che letteralmente significa “presa del sangue”, implica l’insorgere di cicli di vendette che mettono a rischio la vita di praticamente tutti i membri delle famiglie di coloro il cui onore è stato offeso.

Inoltre il fenomeno ha provocato lo sviluppo di una mentalità secondo cui l’uomo coraggioso è colui che vendica l’onore offeso con spargimento di sangue. Questa visione ha in buona parte sostituito anche quella che, rifacendosi alla tradizione locale, considera il perdono come un atto ancora più valoroso della vendetta.

Le conseguenze negative del fenomeno della vendetta di sangue sono evidenti sia per le famiglie che aspettano di subire la vendetta sia per coloro che devono scegliere se emettere vendetta o meno.

Esse comprendono la mancanza di libertà di movimento che spinge i membri delle famiglie coinvolte ad autorecludersi in casa per paura di subire la vendetta; i danni economici dovuti alla disoccupazione; i danni fisici causati dal mancato accesso alle strutture mediche; i danni psicologici generati dal contesto di chiusura, paura, morte e violenza in cui gli individui coinvolti sono immersi; l’incremento del tasso di analfabetismo; i danni collaterali dovuti al fatto che spesso le armi usate coinvolgono “per errore” anche chi non ha nulla a che fare con il conflitto interfamiliare in corso.

Nel caso di specie la famiglia del cittadino albanese viveva una situazione simile da considerasi grave e tale da non poter esporre il medesimo con il rimpatrio all’evento morte.

Infatti il Governo albanese, nonostante abbia istituito il comitato per la riconciliazione, non riesce a debellare questo fenomeno che ha origini antiche e non riesce a proteggere le famiglie che sono coinvolte in gjakmarrje, ossia nella vendetta di sangue.

Con il ricorso di primo grado veniva evidenziata e documentata la situazione personale del cittadino albanese ma il GDP di Forlì rigettava il ricorso con una motivazione apparente escludeva anche l’applicazione dell’art. 19 TUIM.

Avverso la decisione di primo grado si ricorreva alla Corte di Cassazione rilevando la mancata applicazione dell’art. 19 TUIM; la violazione dell’art. 360 n. 4 c.p.c. per motivazione apparente; la mancata considerazione della situazione personale del cittadino albanese che era in pericolo di vita in caso di rientro in patria a causa del fenomeno di “gjakmarrje”.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso sia sotto il profilo del denunciato vizio di motivazione sia sotto il dedotto rischio di persecuzione in caso di rimpatrio nel Paese d’origine.

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Corte di Cassazione, sentenza n. 11280 del 10 maggio 2018