Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Annullata estradizione di un cittadino del Kosovo in Ungheria: nel paese può essere esposto alla possibilità di subire trattamenti in contrasto con il rispetto dei Diritti Umani

Corte d'Appello di Bari, sentenza del 16 dicembre 2016

Il cittadino del Kosovo, mentre cercava di imbarcarsi verso l’Albania, veniva tratto in arresto provvisorio ai fini estradizionali, ex L. 22.04.2005, nr. 69, in esecuzione del Mandato di arresto Europeo richiesto dalle Autorità Ungheresi, e condotto presso la Casa Circondariale di Bari in attesa di celebrare l’udienza di convalida di arresto innanzi all’Ecc.ma Corte di Appello di Bari.

La predetta Corte oltre a convalidare l’arresto disponeva richiedersi al Ministero della Giustizia ed al Magistrato di collegamento con l’A.G. Estera:
1) il M.A.E tradotto in italiano;
2) la sentenza ovvero il provvedimento cautelare;
3) la relazione in lingua italiana sui fatti con l’indicazione delle fonti di prova, del tempo, e del luogo di commissione dei fatti e la loro qualificazione giuridica;
4) il testo delle disposizioni di legge applicabili;
5) segnalazioni di decisioni internazionali che abbiano sanzionato il paese richiedente per le condizioni del trattamento penitenziario e ogni ulteriore informazione sulle condizioni di trattamento previste per la persona di cui è stata chiesta la consegna e l’esistenza di meccanismi di controllo delle condizioni di detenzione e fissava l’udienza per il prosieguo per il giorno 10.11.2016.

Questo difensore, nella sua qualità in atti, si opponeva con fermezza alla richiesta di estradizione presentata dall’A.G. Ungherese, perché dall’esame degli atti emergeva che il detenuto era stato trattenuto in un centro per richiedenti asilo senza possibilità di muoversi liberamente in Ungheria.
In data 14.12.2010, lo stesso governo ungherese, aveva consegnato il detenuto alle autorità italiane, applicando gli accordi di Dublino, proprio perché egli risultava aver chiesto asilo per primo in Italia.
Inoltre, dalla consultazione del mandato di arresto europeo emergeva che l’estradando risultava condannato dal Tribunale Penale Ungherese ad anni due di reclusione; non era mai comparso personalmente al processo e non aveva mai avuto contezza dell’esistenza del procedimento penale né tanto meno della condanna; non aveva mai ricevuto notifica degli atti processuali.
Quindi, alla luce dei rilievi su esposti, appariva evidente che all’imputato non erano state garantite le garanzie del processo.
L’art. 705 c.p.p. (Condizioni per la decisione) parte II Libro Undicesimo – Rapporti Giurisdizionali con le Autorità straniere – Titolo II – Estradizione al comma 2 recita così:
La corte di appello pronuncia comunque sentenza contraria all’estradizione:
a) se, per il reato per il quale l’estradizione è stata domandata la persona è stata o sarà sottoposta a un procedimento che non assicura il rispetto dei diritti fondamentali;
b) se la sentenza per la cui esecuzione è stata domandata l’estradizione contiene disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato;
c) se vi è motivo di ritenere che la persona verrà sottoposta agli atti, alle pene o ai trattamenti indicati nell’art. 698 comma 1
“.

La difesa, inoltre, portava all’attenzione della Ecc.ma Corte di Appello la sentenza n. 4004/2016 del 27 settembre 2016 del Consiglio di Stato, che aveva annullato il trasferimento di un richiedente asilo verso l’Ungheria perché Paese non sicuro, nonché numerosi articoli pubblicati sul web che evidenziavano le violazioni dei diritti umani dei richiedenti asilo e dei migranti in genere nel territorio ungherese.
Si evidenziava, altresì, che con la sentenza n. 4004/2016 Reg. Prov. Coll. il Consiglio di Stato, aveva annullato il trasferimento di un richiedente protezione internazionale in Ungheria ritenendo che, sulla base delle informazioni prodotte dalla difesa del ricorrente, si poteva “ritenere fondato il rischio che il provvedimento impugnato esponga il ricorrente alla possibilità di subire trattamenti in contrasto con i principi umanitari e con l’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E.”.
Nel provvedimento il Consiglio di Stato evidenziava che “Fonti ulteriori e più recenti rispetto al rapporto della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI), su cui si è basata la sentenza impugnata, che risale al marzo 2015, anche se pubblicato a giugno, confermano la concretezza delle numerose perplessità che sono già espresse in seno a quello stesso rapporto sul sistema di asilo vigente in Ungheria”.
Si tratta di una decisione di fondamentale importanza perché per la prima volta in Italia un Tribunale, allineandosi ad alcune decisioni di altre Corti Europee, pure citate nel testo della decisione, dichiarava l’Ungheria Paese membro non sicuro e ne annullava il trasferimento.

La Corte di Appello di Bari, in accoglimento totale delle doglianze della difesa, rifiutava la consegna del cittadino del Kosovo allo Stato ungherese poiché poteva essere esposto alla possibilità di subire trattamenti in contrasto con i principi umanitari e con l’art. 4 della Carta dei Diritti fondamentali dell’U.E., in particolare dall’ art. 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza) e dall’art. 6 (diritto ad un processo equo) nonché dai Protocolli addizionali alla Convenzione stessa che ha previsto che l’Italia rifiuterà la consegna dell’imputato o del condannato in caso di grave e persistente violazione, da parte dello Stato richiedente, dei principi di cui al comma 1 let. a) constata dal Consiglio dell’Unione Europea ai sensi del punto 10 dei consideranda del preambolo della decisione quadro.

– Scarica la sentenza
Corte d’Appello di Bari, sentenza del 16 dicembre 2016