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Apartheid in discoteca

Modena. Bufera sulla fila separata per gli extracomunitari

Tra i numerosi episodi di razzismo che da tempo riempiono le pagine di cronaca, ne spicca uno particolarmente inquietante per la sua portata simbolica e che la dice lunga come la nostra società stia velocemente scivolando verso un sistema di relazioni fondato sul radicale rifiuto della diversità e un razzismo endemico, che arriva persino a prefigurare forme di apartheid.
Il riferimento è ad alcuni gravi episodi verificatisi all’inizio dell’anno alla discoteca Kyi di Baggiovara, in provincia di Modena, denunciati da due giovani modenesi, Jeffrey Owusu Boateng e Abi Zar.
I fatti risalirebbero alle serate del 6 e del 13 gennaio, quando i due, recatisi nel locale per partecipare a una festa, sarebbero stati dirottati dallo staff dell’agenzia di eventi e spettacoli Mo.Ma, responsabile dell’organizzazione delle due serate, ad accedere al locale attraverso un ingresso diverso da quello principale utilizzato da tutti gli altri clienti.

A raccontare la dinamica dell’accaduto è stato lo stesso Jeffrey Owusu Boateng con un post sulla propria pagina Facebook. Secondo la sua testimonianza, il 6 gennaio a lui e ad altri ragazzi di colore, già in fila per entrare nella discoteca, sarebbe stato richiesto di spostarsi verso un’altra porta riservata agli stranieri ed extracomunitari: “Una fila – spiega Jeffrey – nella quale per entrare bisognava pagare 25 euro senza consumazione invece dei soliti 12 euro con due drink. Rimasti esterrefatti abbiamo chiesto spiegazioni alla sicurezza e ci hanno precisato che quella era la regola”.
Regola a cui, una settimana più tardi, si è visto sottoporre anche Abi Zar, giovane di origini ghanesi ma cresciuto a Cavezzo, piccolo comune in provincia di Modena, e oggi trasferitosi a Londra dopo essersi laureato.
Nel frattempo, però, sono emerse altre testimonianze che sembrerebbero confermare quanto rivelato dai due, e il caso ha finito con l’assumere una grande eco mediatica sia in Emilia che a livello nazionale. Anche perché Jeffrey e Abi non si sono limitati segnalare la vicenda sul noto social network, ma hanno sporto regolare denuncia alla Questura di Modena, la quale ha avviato un’indagine che, al momento, secondo quanto dichiarato dal procuratore Lucia Musti, non ha ancora individuato né reati né indagati.

Tuttavia, pare difficile che la cosa possa risolversi tutta in una bolla di sapone. Proprio in questi giorni, infatti, Abi Zar ha diffuso, sempre tramite Facebook, un file audio in cui si spiega come sarebbe nata la famigerata regola della “fila per gli stranieri”, fattogli pervenire – scrive – da un membro dello staff del Mo.Ma.
Ciò che emerge dal suo breve video, diffuso anche dal sito Repubblica.it, sembra lasciare poco spazio all’interpretazione: “Dalla Befana – spiega la voce di un uomo – ci sarà la riformulazione della serata del Mo.Ma. Questo perché si stava andando verso il degrado. Le novità principali sono due: la riformulazione degli ingressi e dei prezzi e la riformulazione della cambusa. […] Dall’ingresso principale invece verranno create tre file: in quella fila dove entravano di solito le feste entreranno i 1998 che vogliono venire e gli stranieri, gente non benaccetta per il locale, quelli che non vuole fare entrare il locale, e pagheranno 25 euro senza alcuna consumazione […] Questo è quanto abbiamo deciso di fare, ovviamente se qualcuno degli stranieri sono persone come si deve basta fare un ingresso personale”. (Vedi il Video tratto dalla pagina Facebook di Abi Zar).

A tutt’oggi la regola alla regola non è possibile associare il nome di chi la ha ispirata. La proprietà del Kyi, ha detto di non saperne nulla e ha rimandato la questione al Mo.Ma, la quale con un proprio comunicato stampa non solo si è detta estranea alle accuse, definite infondate, ma ha affermato che nella scelta compiuta “non c’è nessun intento discriminatorio”, ma solo “il tentativo di premiare e privilegiare i clienti più affezionati che si mettono in lista per entrare o che arrivano prima di un determinato orario”. Parole che, alla luce degli elementi a disposizione, suonano davvero poco convincenti, e su cui comunque le autorità competenti saranno chiamate presto a pronunciarsi.
Ma non finisce qui, perché, come spesso succede, dalla tragedia alla farsa il passo è breve, e i fatti narrati potrebbero assumere anche un particolare quanto stucchevole significato politico. Le cronache emiliane, infatti, evidenziano come il Mo.Ma sia un’agenzia sorta dalle ceneri del “Matrioska” di San Damaso, un ex circolo affiliato all’Arci, e controllata oggi dalla cooperativa Chloé, regolarmente iscritta alla Legacoop di Modena e ben inserita nel circuito istituzionale locale, tanto da essere chiamata di tanto in tanto a gestire manifestazioni culturali promosse dall’attuale giunta di centrosinistra.
Insomma, seppur non ci si stupisca più di nulla, qualora venisse confermato l’intento discriminatorio del nuovo regolamento, ci si potrebbe trovare davanti all’imbarazzante paradosso di un atto di intolleranza concepito nell’ambito di un contesto sociale e politico, quello del centrosinistra e del movimento cooperativo modenese, quanto meno sorprendente, se non altro per la rozzezza della forma.

In attesa che la vicenda evolva sul piano giudiziario, resta la profonda amarezza per come il virus infetto della xenofobia sia ormai riuscito a insinuarsi ovunque, fino a spingere alcuni nella follia di misurare il livello di degrado con il colore della pelle. E quanto ciò produca sofferenza, umiliazione e disgregazione è tutto nelle parole scelte proprio da Abi Zar per accompagnare il suo video-denuncia, su cui, oggi più che mai, in molti dovrebbero sentire l’obbligo di riflettere: “Non si può più negare l’esistenza del razzismo. La discriminazione porta con se violenza e genera un dolore profondo e spropositato in chi lo subisce. Nasciamo con delle caratteristiche immutabili e non possiamo permettere che questo sia motivo di discriminazione. Tutto ciò getta le persone che lo subiscono in un limbo di dolore e sconforto, dove sono costantemente alla ricerca di un loro spazio nel mondo che non trovano. Viene negata la libertà d’essere. […] Se i giovani sono portatori di idee del genere, allora la situazione è molto preoccupante e il lavoro da fare è tanto”.

Simone Massacesi

Vivo ad Ancona e mi sono laureato in Storia contemporanea all’Università di Bologna. Dal 2010 sono giornalista pubblicista.