Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
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Appello per una delegazione nei paesi del nord Africa

***Traduzione a cura di Melting Pot

Berlin/Cologne, mars 2005

Comitato per i diritti fondamentali
e la democrazia

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Appello internazionale

Campi profughi e per richiedenti asilo esterni all’Unione Europea

Reclamiamo un’ispezione ufficiale dei campi d’internamento per rifugiati e migranti situati nei paesi mediterranei, con lo scopo di constatare le violazioni dei diritti umani che vi si producono e per richiederne la chiusura.

Di cosa si tratta?
L’UE esaminerà per la terza volta, forse il prossimo maggio, la possibilità di creare dei campi profughi extra territoriali in Africa del Nord. Il Ministro dell’Interno tedesco Otto Schilly si augura di incontrare presto i governi di Algeria, Tunisia, Libia ed Egitto per dissipare ogni passato malinteso su questo tema.
Questi governi non sono infatti ancora disposti ad autorizzare la costruzione dei campi dell’Unione Europea sul proprio territorio con la sola ingiunzione di Berlino, Roma o Londra. In alcuni giornali locali si è potuto leggere commenti sarcastici sulla Germania, conosciuta come “campione mondiale” della costruzione di campi, invitata però ad astenersi dall’esportare questo genere di competenze.
E’ a Tony Blair che va data l’idea, lanciata all’inizio della guerra in Iraq nel 2003, di esternalizzare i campi per profughi: secondo la sua proposta i paesi della UE avrebbero dovuto inviare i richiedenti asilo in campi situati al di fuori delle frontiere europee, dove si sarebbe potuto selezionare un piccolo numero di rifugiati da autorizzare all’ingresso in Europa.
La scorsa estate (2004) Otto Scilly e Giuseppe Pisanu hanno ripreso questa idea con lo scopo di spostare l’attenzione pubblica dalla responsabilità dell’UE per la morte di migliaia di boat people nel Mediterraneo.
E’ senza dubbio in nome della lotta internazionale al terrorismo che Schilly condurrà un altro tentativo nel mese di maggio. In effetti, se dovessimo credere alla dottrina della sicurezza europea, sono le stesse reti nordafricane ad organizzare la migrazione dei boat people e ad assicurare la logistica del terrorismo.

In un appello lanciato il 12 ottobre 2004 su scala europea, un gran numero di movimenti e di singole persone hanno richiesto la chiusura dei campi esterni all’UE e la fine dei lavori di costruzione (si veda http://no-camps.org).
Poiché l’accesso a questi posti è vietato alle organizzazioni di difesa dei diritti dell’uomo, e poiché alcuni indizi lasciano credere che si stia procedendo in forma segreta alla costruzione di nuovi campi, è più che mai giunto il momento di ispezionare ufficialmente i campi ed i centri di detenzione che già esistono ovunque sulle sponde del Mediterraneo.

Boat people al bersaglio
Un migrante senegalese o algerino che vuole fuggire dal proprio paese non ha bisogno di molti soldi per salire su una di quelle imbarcazioni di legno (pateras) con cui dovrebbe raggiungere l’Europa; al contrario gli serve però un’enorme dose di determinazione.
L’audacia con cui la gente povera rischia la propria vita provoca paure diffuse in Europa. A partire dalla messa in atto della politica dei visti per i paesi del nord Africa nel 1992, circa 10 000 boat people sono morti nel Mediterraneo. Ciononostante, invece che discutere con l’intenzione di smascherare le responsabilità e di offrire una “riparazione” per queste migliaia di morti, l’UE discute dei “danni” economici provocati dai boat people nel caso in cui riuscissero a raggiungere le coste europee.

Secondo i dati ufficiali, i boat people non rappresentano che un piccola percentuale delle circa 500 000 persone che ogni anno superano clandestinamente e illegalmente le frontiere a sud dell’UE.
Sono i “poveri” che si espongono al pericolo di una traversata in mare ad alto rischio. Quelli che possono permetterselo acquistano invece una buona imitazione di un passaporto e prendono l’aereo, oppure verificano le proprie relazioni familiari e cerchia di conoscenze in Europa e attraversano il mare con traghetti.
In tal modo per le persone benestanti ed economicamente stabili, la migrazione irregolare è senz’altro un affare costoso, corrono voci che siano le “organizzazioni criminali” ad incassare la quasi totalità del pedaggio.
Si è però già potuto verificare, rispetto all’Europa dell’Est, che queste reti sono soprattutto ipotesi completamente costruite dalla polizia.
In realtà si qualifica come “criminale” ciò che contraddice le forme legali della politica migratoria europea, anche quando queste norme sono del tutto incompatibili con i diritti umani.

Una politica delle frontiere che spinge i migranti verso l’illegalità è funzionale agli interessi economici dell’Europa e alla sua ricerca del profitto.
In Europa si approfitta delle persone in situazioni irregolari per farle lavorare con i salari più bassi.
Le misure prese dall’Europa per proteggersi dai paesi confinanti accentuano ancor di più il dislivello economico. Introducendo il sistema dei visti di ingresso, i Ministri degli Interni europei hanno creato loro stessi le condizioni per lasciare a numerosi profughi e migranti solo la possibilità di attraversare clandestinamente il Mar Mediterraneo.
Non esistono per i paesi del Sud sgravi progressivi nella politica dei visti, come nel caso invece dei paesi dell’Europa centrale e orientale.
Pertanto, numerosi paesi dell’Africa del nord hanno concluso gli stessi accordi di riammissione – draconiani – con i paesi dell’Europa occidentale e hanno cominciato, anche loro, a bloccare i profughi in transito per respingerli in massa. In cambio l’Italia e la Spagna hanno solo consentito a lasciare entrare nel proprio paese delle quantità minime di lavoratori provenienti dall’Africa settentrionale attentamente scelti. In fin dei conti, l’Europa non offre niente a questi paesi per ricompensarli della cooperazione, se non nel settore dell’energia con investimenti per l’estrazione di petrolio e gas naturale del Nord Africa).
Ma con la questione dei campi esterni per profughi, il servilismo dei governi nord africani sembra aver raggiunto un limite.

Tuttavia la fermezza dei governi nord africani non è motivata dal rispetto per i diritti umani, ne da considerazioni sulla politica dell’asilo o da una opposizione di principio ai campi. Tutto dipenderà in futuro dal peso delle controparti economiche e politiche che l’UE è pronta a fornire in cambio dell’autorizzazione a costruire i campi.

L’infrastruttura segreta dei campi esterni. Da due o tre anni, i campi di respingimento dell’U.E. si costruiscono alle isole Canarie, nel Sud della Spagna e sulle isole del Sud Italia. Sorvegliati in maniera paramilitare, sono pressoché inaccessibili ai giornalisti, alle organizzazioni per la difesa dei diritti umani e all’ACNUR. Questi centri costituiscono l’infrastruttura necessaria per permettere in futuro dei respingimenti massicci nei campi dell’Africa del Nord. Per la prima volta nella storia del dopo guerra europeo, nell’ottobre del 2004 è stato messo in atto un ponte aereo per procedere ad espulsioni di massa: per ordine militare più di un migliaio di profughi sono stati deportati dal Sud Italia alla Libia, senza tenere conto delle situazioni personali ed individuali, senza che si sia nemmeno tentato di identificare o esaminare i motivi di fuga dal proprio paese. Siamo di fronte ad una palese violazione della Convenzione di Ginevra e della Convenzione europea dei diritti degli uomini.

Al contempo Rocco Bottiglione – all’epoca in fase di audizione per il posto di Commissario Europeo per la giustizia, la libertà e la sicurezza (ma la sua candidatura verrà in seguito rifiutata) – in sede di audizione davanti al Parlamento europeo affermava di non aver mai proposto di “istituire dei campi di concentramento nell’Africa del Nord per deportarvi immigrati illegali” e di non avere più l’intenzione di proporre qualcosa di simile (Verbale dell’audizione, Handelsblatt, 5 ottobre 2204). Buttiglione era stato aspramente attaccato da diversi parlamentari per aver dichiarato in altre interviste (in particolare alla radio Deutschlandfunk, il 27 agosto del 2004) che i campi di internamento gli sembravano essere una “buona idea”. Buttiglione precisava quanto intendeva per “centri di accoglienza”, assicurando che questi avrebbero potuto essere costruiti solo con l’accordo e la collaborazione degli Stati sovrani dell’altra costa del Mediterraneo e che sarebbero stati anche destinati a selezionare il contingente di lavoratori autorizzati ad entrare in Europa (si veda Die Welt, 31 agosto 2005; Frankfurter Rundschau, 6 ottobre 2004).
La proposta di creare dei campi dell’UE esterni ad essa ha sollevato onde di protesta in Europa.
I paesi nord-africani non hanno ancora assegnato alcun terreno a questi futuri centri (Schilly, Frankfurter Allgemeine Zeitung, 23 luglio 2004).

Nel frattempo, ci si incammina di buon passo verso la realizzazione dell’idea, anche se le dichiarazioni ufficiali lo smentiscono: i ministri di Giustizia e degli Interni dell’Unione Europea hanno annunciato con un incontro informale (svoltosi dal 30 settembre al 1 ottobre 04 nei Paesi Bassi) che l’UE aspira a creare dei “centri di accoglienza per richiedenti asilo” in Algeria, Tunisia, Marocco, Mauritania e Libia, e che non saranno gestiti dell’Unione Europea ma dagli stessi paesi in cui essi saranno costruiti.
Lo scorso gennaio, durante la conferenza dei Ministri degli Interni dell’UE a Luxemburgo, si affermò che l’idea dei campi di detenzione extraterritoriali era stata superata e che nel futuro, per rispondere al problema presentato dai boat-people, si sarebbero accolti gruppi di profughi attentamente selezionati con provenienti da paesi dell’Africa del Nord.
Pertanto, seguendo l’esempio dei campi e centri di detenzione extraterritoriali che gli USA gestiscono in alcuni paesi del nord dell’Africa utilizzando pratiche di tortura, si può vedere come l’idea può diventare realtà. Le infrastrutture (prigioni, aeroporti, dispositivi di tortura e personale formato) sono già presenti in tutte le forme nei paesi interessati ma utilizzati segretamente.

Quando l’UE costruirà i suoi campi fuori dai confini, probabilmente non avrà più dei pannelli su cui scrivere “L’Unione Europea costruisce per voi.” La concezione dei campi extraterritoriali si basa piuttosto sulla complicità dei governi locali. In questo modo, gli stati di transito migratorio del nord Africa si trasformeranno in “paesi di primo asilo”, tutto ciò con la scusa di rafforzare la protezione dei rifugiati al di fuori dell’Europa, una strategia che non corre rischi di essere sospettata come lesiva dei diritti umani

Al di là di quelli che saranno i progetti che si realizzeranno sul piano materiale e legale, le persone che verranno rinchiuse in questi campi non potranno usufruire ne dei diritti fondamentali ne di alcuna garanzia giudiziaria (Schily, Süddeutsche Zeitung, 2 agosto 2004) e si sapranno cancellare bene le tracce di chi garantirà i finanziamenti e di chi “tirerà le redini”.
Non è solo dopo le espulsioni di massa dall’Italia verso la Libia, avvenute nell’ottobre 2004, che ci sono giunte testimonianze inquietanti sulle deportazioni verso il Mali, la Nigeria e il Ghana: già da prima i rifugiati deportati dai paesi del sud Europa riportavano l’esistenza di campi militari in pieno deserto nord africano nei quali venivano temporaneamente internati prima di essere deportati in regioni confinanti con il deserto del Sahara. Numerosi migranti, donne e uomini, non sono sopravvissuti a queste situazioni e sono morti, prima perdendo conoscenza, in seguito per disidratazione.

Dal momento in cui i campi extraterritoriali diventeranno ufficiali ed istituzionalizzati c’è da temere che l’aria in Europea diventerà ancora più irrespirabile per rifugiati e migranti irregolari. La pressione esercitata sull’immigrazione irregolare aumenterà considerevolmente.
La proposta preventivata da Tony Blair, come si è detto, prevedeva il respingimento di tutti i richiedenti asilo al di fuori della frontiera europea.
Se ci saranno strutture che possono servire a questo scopo, saranno utilizzate: la conseguenza sarà un’Europa che eserciterà un controllo assoluto sulla popolazione e un’Europea a cui potranno accedere solamente migranti e richiedenti asilo selezionati con cura.

E’ per questo che esigiamo che Delegazioni costituite da parlamentari di differenti paesi ed europarlamentari, da membri di gruppi di difesa dei diritti umani in Europa e nei paesi del nord Africa interessati, vadano il prima possibile nelle zone in cui si trovano i campi ed i centri di detenzione extraterritoriali finanziati dall’UE, con lo scopo di monitorarli e fare pressione per la loro chiusura. Sono compresi anche i grandi centri di respingimento del sud della Spagna e del Sud Italia oltre che i campi nel deserto nord africano. E necessario promuovere una coscienza pubblica, critica rispetto alle violazioni dei diritti umani implicate nella strategia dei campi, per smascherare le complicità che inziano ad emergere.

Adesione all’appello

Durante questa estate intendiamo indirizzare questo appello all’opinione pubblica europea. Faremo anche arrivare questo manifesto ai parlamentari europei e nazionali. Grazie per diffonderlo al massimo (le traduzioni in diverse lingue sono disponibili su www.grundrechtekomitee.de).
Movimenti ed organizzazioni potranno sottoscriverlo fino al 20 giugno 2005. Le firme saranno raccolte al seguente indirizzo ([email protected]).
Dal 20 giugno tutti i segnatari riceveranno la lista completa delle adesioni e potranno utilizzare questa lista a sostegno delle proprie dichiarazioni sui media locali.
Preghiamo le persone con una certa influenza sull’opinione pubblica disposte a partecipare alla delegazione di segnalarlo al Comitato per i diritti fondamentali e la democrazia insieme al loro indirizzo di posta elettronica.

Helmut Dietrich
Centro di ricerca sull’asilo e la migrazione (Forschungsgesellschaft Flucht und Migration)

Dirk Vogelskamp
Comitato per i diritti fondamentali e la democrazia (Komitee für Grundrechte und Demokratie)