Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Approvata la cosiddetta Legge comunitaria del 23 ottobre 2003

Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee

Si tratta di una norma nazionale che contiene disposizioni affinchè vengano recepite nell’ordinamento interno italiano le direttive europee. Si prevede in tal senso che il governo è delegato ad adottare entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive.
Ci si vuole in questa sede riferire in particolare ai decreti legislativi di attuazione di due importanti direttive comunitarie che riguardano il trattamento degli stranieri.

La prima è la n. 2001/40/CE adottata dal Consiglio in data 28 maggio 2001, relativa al riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini di Paesi terzi. Si tratta di una forma di perfezionamento degli accordi di Schengen che tende a garantire assoluta armonizzazione di tutte le misure in materia di allontanamento dal territorio di uno Stato membro e interdizione di nuovi ingressi nello spazio Schengen stesso.

La seconda direttiva è la n. 2003/9/CE, adottata dal Consiglio il 27 gennaio 2003 recante norme minime relative agli standard di accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri. Si considera importante rilevare che questa direttiva prevede una novità molto importante per la realtà italiana.

I richiedenti asilo e la possibilità di lavorare

Sappiamo già che i richiedenti lo status di rifugiato in Italia devono affrontare tempi di attesa scandalosi – siamo attorno ad un anno e mezzo -, e che si parla addirittura di domande perse presso il Ministero dell’Interno e non più “ripescabili” se non attraverso interventi rocamboleschi.

Ebbene la direttiva n. 2003/9/CE introduce un’ importantissima novità. L’art. 11, comma 2, prevede che “Se entro un anno dalla presentazione della domanda di asilo non è stata presa una decisione in primo grado e il ritardo non può essere attribuito al richiedente asilo, gli Stati membri decidono a quali condizioni è concesso al richiedente asilo l’accesso al mercato del lavoro”. Ne discende che dopo un periodo massimo di un anno di attesa del riconoscimento dello status di rifugiato si riconosce quantomeno il diritto a poter lavorare in regola e di potersi, quindi, mantenere con una attività lecita.
Sembrerebbe una cosa scontata e corrispondente al buon senso che dopo i primi 45 giorni, entro i quali possono essere garantite minime forme di assistenza economica, le persone possano guadagnarsi da vivere lecitamente instaurando regolari rapporti di lavoro, fino a quando la loro situazione non verrà definita.
Ma la realtà è diversa e abbiamo più volte denunciato la situazione di migliaia di richiedenti asilo ancora in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato e costretti “alla morte civile”; ciò perché hanno perso la possibilità di ottenere aiuti di tipo economico (infatti sono limitati ad un brevissimo tempo entro il quale – in teoria – la Commissione competente dovrebbe esaminare il caso) e trascorsi i 45 giorni si trovano di fatto a sperare di trovare, nelle migliori delle ipotesi, occasioni di lavoro nero in condizioni di massimo sfruttamento.

La direttiva in oggetto introduce finalmente un principio veramente minimo, lasciando agli Stati un ampio spazio di manovra in tal senso, perché consente agli stessi di disciplinare con proprie norme interne a quali condizioni è possibile lavorare, ma stabilendo che ciò deve comunque avvenire entro un anno dalla presentazione della domanda stessa.

Il Governo italiano deve adottare le necessarie disposizioni legislative per conformarsi alla direttiva entro 18 mesi, ma una volta scaduto tale termine, se non avesse ancora provveduto ad emanare una apposita norma che disciplini il diritto al lavoro stabilito nella direttiva, dovrebbe quantomeno riconoscersi trascorso il periodo di un anno dall’inoltro della domanda per il rilascio del cosiddetto pds provvisorio.

Naturalmente non mancheremo di comunicare eventuali novità, ma siamo comunque lieti di poter precisare che – sia pure con i tempi lunghi e con le dilazioni previste tipicamente nell’attuazione della normativa comunitaria – un bel giorno, ma non oltre il maggio 2005, avremo almeno ottenuto per i richiedenti asilo il diritto minimo di lavorare in regola, sempreché (non si sa come) gli stessi abbiamo “resistito” senza nessun tipo di aiuto – salvo i primi 45 giorni – per almeno un anno nel territorio italiano. Dico resistito perché se da un lato i tempi di risposta sono scandalosamente lunghi, dall’altro lato nessuno si preoccupa di come possono sopravvivere queste persone durante tutto il tempo di attesa.