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Asili nido e accesso “prima ai veneti”: una modifica di legge discriminatoria da cancellare

Il Consiglio Regionale Veneto modifica la legge n. 32 del 23 aprile 1990

Sembra che il Consiglio Regionale Veneto, in fatto di discriminazione e di barriere normative, non abbia nulla da invidiare ai troppi politici alla Trump che misurano il proprio consenso approvando leggi limitative dei diritti dei cittadini stranieri.

Martedì 14 febbraio però il Consiglio è andato oltre, approvando una proposta vessatoria nei confronti di bambini piccoli, discriminandoli in quanto figli di genitori che non sono considerati “Veneti doc” nell’accesso agli asili nido.
La legge modificata è la n. 32 del 23 aprile 1990 che disciplina gli interventi regionali per i servizi educativi alla prima infanzia, in particolare gli asili nido e servizi innovativi.

La carenza strutturale di posti negli asili nido comunali è testimoniata dal fatto che il fabbisogno complessivo è soddisfatto solo al 10%. Chiunque parli con un genitore si rende conto di quanto sia un tema delicato ed importante e come questo aspetto incida sul reddito della famiglia, anche perché spesso i genitori sono costretti a rivolgersi agli asili privati. E’ un tema, quindi, che andrebbe discusso in modo serio, ricercando magari maggiori investimenti per potenziare l’offerta e immaginare realmente dei servizi innovativi, non attraverso facili scorciatoie populiste.

Invece a larghissima maggioranza, per affrontare questa problematicità non di poco conto, il consiglio ha deciso di sostituire un unico comma, il 4 dell’articolo 8 (“Hanno titolo di precedenza all’ammissione i bambini menomati, disabili o in situazioni di rischio e di svantaggio sociale”) con un testo che se dovesse passare il vaglio costituzionale, andrà a generare un ordine di precedenza nell’accesso non più dettato dal reddito dei genitori o da situazioni di svantaggio sociale, ma da una norma che discrimina tutti coloro che non possono vantare una residenza o attività lavorativa continuativa per almeno 15 anni.

Hanno titolo di precedenza per l’ammissione all’asilo nido nel seguente ordine di priorità: a) i bambini portatori di disabilità; b) i figli di genitori residenti in Veneto ininterrottamente da almeno quindici anni o che abbiano prestato attività lavorativa in Veneto ininterrottamente per almeno quindici anni.

A leggere queste poche righe è chiaro che l’intento è quello di limitare l’accesso agli asili nido ai figli dei “nuovi Veneti”, ovvero ai figli dei cittadini stranieri, ma proprio per la sua intrinseca volontà discriminatoria andrà a colpire anche i figli dei lombardi, dei campani, dei toscani, in generale anche dei cittadini italiani, o di coloro che temporaneamente risiedono all’estero, e che si trovano in Veneto da meno di 15 anni.
Ma la scuola dell’infanzia, compreso l’asilo nido, per la Legge n. 53 del 28 marzo 2003 (comma 1) fa parte del sistema educativo di istruzione e formazione e concorre allo sviluppo del minore.
E’ promosso l’apprendimento in tutto l’arco della vita e sono assicurate a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze, attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro […]

Inoltre la questione dei nidi d’infanzia riguarda sia la cura dell’infanzia e sia il diritto all’accesso alle prestazioni socio-assistenziali e tocca pertanto il diritto all’accesso delle donne nel mercato del lavoro in un quadro di pari opportunità, mediante una migliore conciliazione tra impegni familiari e scelte professionali.
Infine per i minori stranieri presenti sul territorio, come ben evidenziato in questa scheda dell’ASGI in materia di istruzione, la normativa nazionale – e gli indirizzi dei vari ministeri – (si veda l’art 38 del d.lgs. 286/1998 TU Immigrazione e l’art 45 comma 1 del DPR 394/1999 Regolamento attuativo TU Immigrazione) prevede, indipendentemente dalla regolarità della posizione in ordine al loro soggiorno, l’obbligo scolastico e il diritto all’istruzione, nelle forme e nei modi previsti per i cittadini italiani, nelle scuole di ogni ordine e grado, compresa la scuola d’infanzia.

Il Ministero dell’Interno ha confermato con nota 2589 del 13 aprile 2010 che non vi è necessità “di esibire i documenti attestanti la regolarità del soggiorno per iscrivere un minore straniero al servizio di asilo nido” e anche il Ministero dell’istruzione ha fornito specifiche indicazioni in materia con la circolare n. 375 del 25 gennaio 2013 ricordando che “l’obbligo scolastico integrato nel più ampio concetto di diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, concerne anche i minori stranieri presenti sul territorio nazionale, indipendentemente dalla regolarità della posizione in ordine al soggiorno in Italia e che in mancanza dei documenti prescritti la scuola iscrive comunque il minore straniero”.

Da qualsiasi parte la si guardi la modifica approvata dal Consiglio Regionale Veneto è discriminatoria e va immediatamente ritirata.

Nel 2013 ci fu un caso di discriminazione simile a Tolentino nel maceratese e l’ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) intervenne spiegando i motivi per cui la modifica di regolamento attuata presentava profili discriminatori contrari alla legislazione italiana ed europea. In verità a Tolentino, nel provvedimento, il comune cercava di mettersi al riparo dalle critiche di essere razzista precisando che “detto criterio prescinde da nazionalità e condizione sociale”, specifica che nella legge veneta, ovviamente, non viene minimamente precisata.
Crediamo utile riportare tale vicenda perché può rappresentare uno strumento di spunto per mobilitare giuristi, docenti, società civile.

L’ASGI sostenne che “il criterio di residenza continuativa […] si propone l’obiettivo, palese e proclamato, di privilegiare nell’accesso al servizio comunale dell’asilo nido le famiglie autoctone dotate di un maggiore radicamento sociale nel territorio locale. Sebbene nella deliberazione si precisi come detto criterio prescinda da nazionalità e condizione sociale, riteniamo che esso non sia “neutrale rispetto al fattore nazionalità”, in quanto l’anzianità di residenza può essere soddisfatta in misura proporzionalmente maggiore dai cittadini italiani rispetto a quelli stranieri, con questo determinando una possibile ‘discriminazione indiretta o ‘dissimulata’, vietata dal diritto dell’Unione europea.

Nel diritto dell’Unione europea, il principio di parità di trattamento va inteso non solo come divieto di discriminazioni dirette, quando una persona protetta dal diritto comunitario è trattala meno favorevolmente di un’altra a causa della nazionalità, ma anche come divieto di discrimina indirette, quando cioè una disposizione, un criterio, una prassi apparentemente neutri possono mettere le persone di diversa nazionalità protette dalle norme comunitarie in una posizione di svantaggio rispetto ai cittadini dello Stato membro. Tale nozione di discriminazione indiretta è ricavabile tanto dalle due direttive europee anti-discriminazione (direttiva n. 2000/43/CE e n. 2000/78/CE) quanto dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo e della Corte di Giustizia europea. In particolare in quest’ultima è consolidato il principio per cui il criterio della residenza può fondare una discriminazione indiretta o dissimulata vietata dall’ordinamento europeo.

La Corte di Giustizia ha infatti chiarito […] che il requisito della residenza ai fini dell’accesso ad un beneficio può integrare una forma di illecita discriminazione “dissimulata in quanto può essere più facilmente soddisfatto dai cittadini piuttosto che dai lavoratori comunitari, finendo dunque per privilegiare in misura sproporzionata i primi a danno dei secondi […] il principio di parità di trattamento vieta non soltanto le discriminazioni palesi basate sulla cittadinanza, ma anche qualsiasi forma di discriminazione dissimulata che mediante il ricamo ad altri criteri distintivi, produca, in pratica, lo stesso risultato. Ciò avviene, in particolare, nel caso di una misura che preveda una distinzione basata sul criterio della residenza.” […]

Ad esempio, nel 2000 la Commissione europea ha deciso di intraprendere un’azione legale contro l’Italia poiché la Provincia di Sondrio aveva indetto un concorso per l’assegnazione di appartamenti ad affitto agevolato a studenti universitari basato su due condizioni discriminatorie: essere cittadino italiano e aver risieduto nel territorio nel quinquennio precedente. […] Proprio per il fatto che qui espressamente si intende premiare il radicamento sul territorio comunale, è evidente che la misura intende determinare una condizione di svantaggio per i nuovi arrivati, tra cui ad esempio i lavoratori migranti provenienti da altri Paesi membri dell’Unione europea che si avvalgono dei diritti collegati alla cittadinanza europea, tra cui quello alla libertà di circolazione. Il criterio introdotto dalla deliberazione comunale, pertanto, non risponde, a nostro avviso, al requisito della finalità legittima indipendente dalla nazionalità richiesto dalla normativa dell’Unione Europea per non essere considerato discriminatorio e contrario ai principi della libera circolazione e della cittadinanza europea. Nel diritto dell’Unione europea il principio della parità di trattamento tra lavoratori nazionali e lavoratori di altri Paesi membri UE trova applicazione anche ai diritti e vantaggi sociali e fiscali non direttamente connessi all’impiego del lavoratore comunitario che ha esercitato il diritto alla libera circolazione, qualora possa ravvisarsi la capacità della prestazione medesima a facilitare la mobilità dei cittadini comunitari all’interno dello spazio comune europeo. Proprio per la sua funzione di supporto all’inserimento lavorativo e professionale delle donne, in un quadro di pari opportunità, l’istituzione del nido d’infanzia è dunque un vantaggio sociale atto a facilitare la mobilità dei lavoratori comunitari all’interno dello spazio comune europeo e richiede pertanto una perfetta parità di trattamento per il suo accesso da parte dei lavoratori di altri paesi membri dell’Unione europea rispetto ai lavoratori nazionali e, dunque, l’assenza di criteri di accesso discriminatori, anche indirettamente o in forma dissimulata. L’introduzione di punteggi aggiuntivi a favore dei lungo residenti […] potrebbe esporre dunque il Comune di Tolentino ad una procedura di infrazione per violazione del diritto comunitario. Il criterio non risponde a nostro avviso nemmeno al requisito di ragionevolezza richiesto dalla giurisprudenza costituzionale.

La questione dei nidi d’infanzia riguarda il diritto all’accesso alle prestazioni socio-assistenziali, in quanto il bene pubblico qui tutelato non è solo quello della cura dell’infanzia, ma anche quello dell’accesso delle donne nel mercato del lavoro in un quadro di pari opportunità, mediante una migliore conciliazione tra impegni familiari e scelte professionali. Tale è la ratio fondamentale tanto della norma statale fondamentale (art. 1 legge 6 dicembre 1971, n. 1044) [..] Si sottolinea a nostro avviso l’irragionevolezza, e dunque il possibile contrasto con i valori costituzionali di eguaglianza, della finalità di privilegiare nelle graduatorie per l’ammissione agli asili per l’infanzia i lungo residenti nel Comune di Tolentino.

Tale criterio potrebbe, infatti, svantaggiare coloro – siano essi/e cittadini/e italiani/e provenienti da altre regioni che lavoratori/trici stranieri – che hanno maggiore bisogno di tale servizio socio-assistenziale in ragione della circostanza obiettiva del loro percorso migratorio che li porta lontano dai luoghi di origine e, dunque, dalla rete allargata dei familiari che solitamente sostengono i genitori nella cura e custodia dei bambini in tenera età (ad es i nonni). Di conseguenza il criterio […] risulta a nostro avviso arbitrario non solo perché privo di alcun collegamento con la ratio della normativa regionale in materia di servizi per la prima infanzia […] ma addirittura in contraddizione con le finalità medesime dei servizi sociali, che dovrebbero essere rivolti innanzitutto a principi e obiettivi di inclusione e coesione sociale. […] La previsione di un trattamento differenziato tra cittadini nazionali e stranieri nell’accesso ai nidi d’infanzia destinato a svantaggiare sproporzionatamente i secondi rispetto ai primi, può fondare una discriminazione a danno dei cittadini stranieri dimoranti nel Comune di Tolentino, in contrasto con i principi e le statuizioni fondamentali della normativa statuale di riferimento (art. 41 del d.lgs. n. 286/98). […] Ponendo in posizione di svantaggio pure i cittadini italiani provenienti da altre località o regioni italiane oppure dall’estero, il criterio introdotto dalla deliberazione comunale n. 78/2013 costituisce, ulteriormente, a nostro avviso, una discriminazione per i motivi di provenienza geografica vietata dall’art. 44 comma 1 del d.lgs. n. 286/98, cosi come modificato dall’un. 14 comma 32 del d.lgs. n. 150/2011: “Quando il comportamento di un privato o della pubblica amministrazione produce una discriminazione per motivi razziali, etnici, linguistici, nazionali, di provenienza geografica o religiosi, è possibile ricorrere all’autorità giudiziaria ordinaria per domandare la cessazione del comportamento pregiudizievole e la rimozione degli effetti della discriminazione”.

Redazione

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