Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Asilo – Al fine del riconoscimento della protezione sussidiaria non è condizione la specifica e peculiare situazione di rischio, ma invece il pericolo dovuto a violenze generalizzate.

L'amministrazione non deve limitarsi alla valutazione sulle prove fornite dal richiedente e sulla sua attendibilità ma deve svolgere un ruolo attivo nell'istruttoria

Con il provvedimento allegato il Tribunale di Roma, pur non riconoscendo lo status di rifugiato ad una cittadina nigeriana domiciliata a Roma che aveva visto rifiutare dalla Commissione Territoriale la sua domanda di protezione internazionale, ha accolto parzialmente il ricorso presentato dall’Avv. Novara riconoscendo la protezione sussidiaria all’interessata interpretando la Direttiva 83/CE nel senso di un dovere, da parte dell’amministrazione, di svolgere un ruolo attivo nel contesto dell’istruttoria non limitandosi a valutazioni sull’attendibilità del richiedente o sulla documentazione che attesti la specifia e peculiare situazione personale dello stesso. Il giudice di Roma ha riconosciuto che la protezione sussidiaria, a differenza dello status di rifugiato, deve essere riconosciuta proprio quando il richiedente, nel caso di rimpatrio, venga esposto ad un rischio di violenze indiscriminato e ad un grave danno, considerando gli stessi rilevabili quando vi siano episodi di violenza che interessino una vasta area e considerate le notizie reperibili sulla zona in questione.

Nel caso in specie la richiedente, pur potendo con difficoltà dimostrare la persecuzione specifica della sua persona in virtù dell’attività politica svolta dal padre, sarebbe dovuta essere rimpatriata in un territorio per cui le notizie reperibili non possono che far ritenere “rischioso” il rimpatrio visti i diversi episodi di attentati, violenze della polizia governativa documentate da Amnesty International, così come di violenze nei confronti della popolazione civile, di giornalisti ed attivisti per i diritti umani, nonché in particolare, nei confronti delle donne.

Sentenza del Tribunale di Roma n. 274 del 21 giugno 2011