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Assistenza sanitaria e stranieri irregolari: quali prospettive?

Un'analisi a cura dell' Avv. Guido Savio del Foro di Torino

1. La situazione attuale
Allo scopo di ben comprendere le conseguenze che deriverebbero dall’approvazione del disegno di legge che, tra l’altro, abroga il divieto di segnalazione alle autorità di polizia del nominativo dello straniero irregolare che si rivolga ad una struttura sanitaria, occorre illustrare brevemente l’attuale quadro normativo.

Punto di partenza imprescindibile deve essere la normativa costituzionale:
– art. 2 “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo … e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
– Art. 32 “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
Le norme costituzionali citate hanno una valenza precettiva in quanto attengono ai diritti inalienabili dell’essere umano: trattasi di diritti che la Repubblica “ riconosce” e non “concede” in relazione a situazioni o a precondizioni determinate.

Il Decreto legislativo 286/98 (T.U. immigrazione) prevede:
– art. 2, co. 1 “Allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali … e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti”. È agevole notare che la locuzione “comunque presente” comprende sia lo straniero regolarmente presente che quello irregolare.
– Art. 35, co. 3 “ Ai cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale, non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno, sono assicurate, nei presidi pubblici ed accreditati, le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali ancorché continuative per malattia ed infortuni e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva.”
– Art. 35, co. 5 L’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano”.
È questa la disposizione di cui si prevede l’abrogazione.

Il panorama normativo è poi opportunamente integrato dal regolamento di attuazione del Testo unico sull’immigrazione: infatti, il D.P.R. 394/99 si occupa del diritto alla salute degli stranieri non regolarmente soggiornanti all’art. 43 prescrivendo che:
“ La prescrizione e la registrazione delle prestazioni nei confronti degli stranieri privi di permesso di soggiorno vengono effettuate … utilizzando un codice regionale a sigla STP (straniero temporaneamente presente) … riconosciuto su tutto il territorio nazionale …identifica l’assistito per tutte le prestazioni …tale codice deve essere usato anche per la rendicontazione delle prestazioni effettuate ….
“In caso di prestazioni sanitarie lasciate insolute dal cittadino straniero, l’azienda ospedaliera ne chiede il pagamento … se si tratta di prestazioni urgenti o comunque essenziali al Ministero dell’interno”.
“la comunicazione al Ministero dell’interno … è effettuata in forma anonima, mediante il codice regionale STP , con l’indicazione della diagnosi, del tipo di prestazione erogata e della somma di cui si chiede il rimborso”.

Quanto alla definizione delle “cure urgenti, essenziali ancorché continuative” , occorre rifarsi alla circolare del Ministro della sanità 24/3/2000 n. 5 che così chiarisce:
“ per cure urgenti si intendono le cure che non possono essere differite senza pericolo per la vita o danno per la salute della persona; per cure essenziali si intendono le prestazioni sanitarie,diagnostiche o terapeutiche, relative a patologie non pericolose nell’immediato e nel breve termine, ma che nel tempo potrebbero determinare maggiore danno alla salute o rischi per la vita ( complicanze, cronicizzazioni o aggravamenti).
E’ stato altresì affermato dalla legge il principio della continuità delle cure urgenti ed essenziali, nel senso di assicurare all’infermo il ciclo terapeutico e riabilitativo completo riguardo alla possibile risoluzione dell’evento morboso”.

Questo è, in sintesi, il quadro normativo di riferimento.

Per una completa panoramica dell’interpretazione di queste norme è utile rammentare alcuni passaggi contenuti in una importante sentenza della Corte costituzionale, la sentenza n.252/2001:
“Occorre preliminarmente rilevare che, secondo un principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, il diritto ai trattamenti sanitari necessari per la tutela della salute è costituzionalmente condizionato dalle esigenze di bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti, salva, comunque, la garanzia di un nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana, il quale impone di impedire la costituzione di situazioni prive di tutela, che possano appunto pregiudicare l’attuazione di quel diritto.
Questo nucleo irriducibile di tutela della salute quale diritto fondamentale della persona deve perciò essere riconosciuto anche agli stranieri, qualunque sia la loro posizione rispetto alle norme che regolano l’ingresso e il soggiorno nello Stato, pur potendo il legislatore prevedere diverse modalità di esercizio dello stesso”.

2. Cosa si vuole modificare
Il disegno di legge AC n. 2180 all’esame della Camera pone, al riguardo, due importanti modifiche:
1) all’art. 45, co. 1, lett. t) del disegno di legge si propone di abrogare l’art. 35 co. 5, T.U. 286/98, cioè la norma che prevede il divieto di segnalazione per lo straniero non in regola con le norme sul soggiorno che si rivolga alle strutture sanitarie;
2) all’art. 21 si prevede l’introduzione del nuovo art. 10 bis nel corpo del T.U. 286/98, cioè il reato di “ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato”. Trattasi di un reato nuovo che sanziona penalmente l’ingresso o il soggiorno degli stranieri in Italia in violazione delle norme contenute nel D. Lgs. 286/98 (cioè il testo unico sull’immigrazione). È importante sottolineare che il reato di nuovo conio è una contravvenzione e non un delitto.

3. Le possibili conseguenze delle modifiche
Ovviamente, come si desume dalla lettura dei testi di modifica, le nuove disposizioni non impedirebbero, di per sé, l’erogazione di prestazioni sanitarie urgenti, essenziali ancorché continuative nei confronti di stranieri non in regola col permesso di soggiorno. Tali prestazioni continuerebbero ad essere erogate (e, quindi, i principi fondamentali enucleati dalla giurisprudenza costituzionale sopra citata, sarebbero formalmente rispettati), ma si pongono con forza due aspetti problematici:
1) le possibili ricadute sull’utenza immigrata di tali modifiche,
2) le conseguenze per gli esercenti le professioni sanitarie – pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio – circa la sussistenza dell’obbligo di denuncia di persone che sono in flagranza di un reato contravvenzionale.

3.1 Le ricadute sull’utenza
È ovvio che – qualora si verificasse lo scenario prefigurato – gli stranieri irregolari difficilmente si rivolgerebbero ( se non in casi estremi) alle strutture sanitarie pubbliche o convenzionate, atteso il concreto rischio di essere denunciati per il reato connesso alla loro irregolarità.
Questa sarebbe una conseguenza dell’introduzione del nuovo reato che riguarderebbe non solo l’ambito che qui interessa, quello sanitario, ma ogni possibile rapporto con tutte le pubbliche amministrazioni: dall’anagrafe alla scuola, dai servizi sociali e assistenziali alla tutela in qualità di vittime di reati ecc.
Si comprende bene come il nucleo centrale di tutte le questioni in discussione sia proprio la nuova previsione del reato di ingresso e soggiorno irregolare, che allontanerà ancor di più gli stranieri irregolari da ogni struttura pubblica, relegandoli in una situazione di ulteriore marginalità.
Per quel che concerne l’ambito sanitario, è facile immaginare l’insorgenza di gravi rischi sia per la salute del singolo straniero irregolare che per la collettività (si rammenti che la Costituzione tutela la salute non solo quale fondamentale diritto dell’individuo ma pure come interesse della collettività).
Ma è anche prefigurabile il sorgere di una “sanità clandestina”, parallela a quella ufficiale, assai simile a quella delle “mammane” prima della legge sull’aborto, sicuramente appetibile per le organizzazioni criminali dedite alla tratta degli esseri umani.
Insomma, al di là dei convincimenti etici e politici di ciascuno, è veramente arduo sostenere che tali provvedimenti saranno utili al perseguimento dello scopo conclamato: il rafforzamento della sicurezza, reale o percepita.

3.2 Le possibili conseguenze per gli esercenti professioni sanitarie
A) L’esercente professioni sanitarie in ambito pubblico o convenzionato è, secondo le situazioni concrete in cui opera, pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.
Da ciò discende l’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria o di polizia di ogni reato di cui egli abbia conoscenza nell’esercizio delle sue funzioni ( al pari di tutti i pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio). L’omissione o il ritardo della denuncia costituisce reato punito ai sensi dell’art. 361 c.p. per i pubblici ufficiali, e dall’art. 362 c.p. per gli incaricati di pubblico servizio.
Consegue che, se entrerà in vigore il reato – sia pure di natura contravvenzionale – di ingresso e soggiorno illegale degli stranieri in Italia, ogni esercente professione sanitaria che, nell’esercizio delle sue funzioni, abbia notizia che la persona cui ha prestato la propria assistenza sia uno straniero non in regola con le norme sull’ingresso e soggiorno, non potrà sottrarsi all’obbligo di denuncia, pena il rischio di essere a sua volta denunciato.

B) A ciò si aggiunga che verrà meno anche la disposizione di cui all’art. 35, co. 5, T.U. 286/98, che vieta espressamente alcun tipo di segnalazione per lo straniero che acceda alle strutture sanitarie, salvo l’obbligo di referto. Tale disposizione ha consentito, fino ad ora, di non effettuare alcuna segnalazione di stranieri irregolari anche perché la clandestinità non è (ancora) reato.
Vero è che la disposizione in questione fa salvo l’obbligo di referto, ma , a mente dell’art. 365 c.p., l’esercente la professione sanitaria ha l’obbligo di referto se ha prestato la propria assistenza “in casi che possono presentare i caratteri di un delitto perseguibile d’ufficio. Tale disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale”.
Orbene, siccome il legislatore parrebbe orientato a configurare il nuovo reato di ingresso e soggiorno irregolare di stranieri come contravvenzione e non come delitto, in nessun caso la disposizione relativa all’obbligo di referto potrà essere considerata, atteso che tale obbligo non si estende alle ipotesi di reato contravvenzionali, e con esso neppure si applica il divieto di referto che sussiste qualora la persona assistita potrebbe essere sottoposta a procedimento penale, proprio in conseguenza del referto.
In conclusione, parrebbe che proprio la natura contravvenzionale del reato che verrà, non consenta al sanitario di sottrarsi all’obbligo di denuncia che riguarda ogni reato e non è circoscritto ai soli delitti.

C) Neppure paiono idonee a scongiurare l’obbligo di denuncia le norme deontologiche e, più in generale, il segreto professionale.
Infatti, a mente dell’art. 200 c.p.p. , il divieto di testimonianza per chi possa valersi del segreto professionale ( medici, avvocati, ministri di culto ecc. ), non vale per i casi in cui costoro abbiano l’obbligo di riferire all’autorità giudiziaria su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ufficio o professione. Obbligo che nel caso di specie sussiste in ragione delle disposizioni sopra richiamate.
Quanto alle norme deontologiche, nella gerarchia delle fonti del diritto esse sono sott’ordinate rispetto alle disposizioni del codice penale, con la conseguenza che non possono ad esse derogare.

D) Infine, pare opportuno farsi carico di possibili escamotages che, sul piano pratico, potrebbero indurre taluno a ritenere aggirabili le disposizioni che verranno, riducendo e relativizzando così la loro effettiva portata e gravità.
Si è visto come l’obbligo di denuncia sussista qualora l’esercente la professione sanitaria abbia “conoscenza di un reato”. Poiché il sanitario non ha l’obbligo di chiedere l’esibizione del titolo autorizzativo al soggiorno, potrebbe desumersi che costui, con qualche accortezza, non sarebbe mai a conoscenza del reato di ingresso e soggiorno regolare di stranieri, e, quindi, potrebbe astenersi legittimamente dall’obbligo di denuncia. Tale opzione “all’italiana” potrebbe essere confortata dalla modifica dell’art. 6, co. 2, T.U. 286/98 ad opera del DDL in questione che, all’art. 45 , co. 2, lett. f), annovera “i provvedimenti inerenti all’accesso alle prestazioni sanitarie di cui all’art. 35” tra quelli per il cui ottenimento non è necessario l’esibizione del permesso di soggiorno alla pubblica amministrazione. Il che potrebbe indurre il seguente ragionamento: “ ma se non è necessario esibire il permesso di soggiorno all’ente pubblico per l’erogazione delle prestazioni sanitarie urgenti ed essenziali, perché mai dovrei chiederlo io che faccio il medico?”
Tale interpretazione, ancorché suggestiva, non è dirimente.
Infatti, la ratio che pare indurre il legislatore a tale modifica, è indotta dalla necessità di bilanciare i pesanti inasprimenti apportati con gli obblighi, anche costituzionali, inerenti la tutela del diritto alla salute, tenendo conto della citata giurisprudenza costituzionale e delle relative norme.
Ed allora, come possono contemperarsi l’introduzione del reato di clandestinità, l’obbligo di denuncia e la cessazione del divieto di segnalazione col fatto che lo straniero non è tenuto ad esibire il permesso di soggiorno in ospedale? La cosa parrebbe alquanto contraddittoria.
Occorre però tener presenti i seguenti dati:
1. in tutti gli ospedali v’è un posto di polizia e lo straniero è tenuto ad esibire i documenti agli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza a mente dell’art. 6, co. 3, T.U. 286/98, va da sé che il poliziotto di servizio – eventualmente a seguito di disposizioni impartite dalla questura o dalla direzione sanitaria – potrebbe indicare al triage o all’amministrazione la condizione irregolare del paziente;
2. già si è detto che il paziente straniero irregolare e, pertanto, non iscritto al SSN, è identificato col codice regionale STP sia ai fini della registrazione delle prestazioni erogate che, soprattutto, ai fini del rimborso dei costi sostenuti dall’ente ospedaliero che verrà richiesto al ministero dell’interno ai sensi dell’art. 43 D.P.R. 394/99. E’ pertanto evidente che la semplice registrazione del paziente col codice STP è già di per sé indice di irregolarità della sua presenza in Italia, il che è ampiamente sufficiente per indurre l’amministrazione ospedaliera – che di quella prestazione chiederà il rimborso proprio al ministero dell’interno – ad effettuare la denuncia.
Diversamente, la direzione sanitaria si troverà nell’imbarazzante situazione o di rinunciare al rimborso delle prestazioni elargite e lasciate insolute (ipotesi assai improbabile), ovvero non potrà giustificare delle richieste di rimborso non supportate dalla relativa denuncia, pena l’incriminazione dei responsabili amministrativi, anch’essi pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio.
Il che indurrà verosimilmente le amministrazioni ospedaliere a diramare appropriati ordini di servizio.
In conclusione, indipendentemente dalle soluzioni che verranno in concreto adottate nelle singole regioni, che potranno variare secondo la diversa maggioranza politica che le sorregge, il problema della denuncia del paziente straniero irregolare rimarrà in tutta la sua drammatica dimensione, anche simbolica, e, se non provvederà direttamente il medico ci penserà la struttura amministrativa, restando inalterati gli effetti.