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Austria, le lavoratrici migranti del settore assistenziale vogliono più diritti

Un rapporto di Amnesty International denuncia condizioni insopportabili, tra stipendi bassi e orari non stop

Foto di Matthias Zomer da Pexels

Amnesty International ha denunciato in una nuova ricerca lo sfruttamento delle lavoratrici straniere impegnate nel settore assistenziale in Austria: stipendi terribilmente bassi, discriminazioni e orari di lavoro eccessivamente lunghi, che spingono alcune di loro sull’orlo del collasso. La stragrande maggioranza di coloro che lavorano prestando assistenza come conviventi a persone anziane sono donne migranti provenienti dall’Europa centrale e orientale, spesso vittime di varie e sovrapposte forme di discriminazioni ed abusi. Le lavoratrici hanno riferito all’organizzazione che gli stipendi ingiusti, la mancanza di indennità di malattia e i periodi di riposo inadeguati erano una realtà all’ordine del giorno già prima della pandemia ma il Covid-19 ha reso le condizioni di lavoro insopportabili.

Il lavoro assistenziale da convivente è già molto impegnativo a livello emotivo e fisico in condizioni ottimali ma durante la pandemia molte lavoratrici migranti hanno operato per orari e turni eccessivamente lunghi per mesi e mesi. Inoltre, svolgono questo lavoro essenziale ricevendo stipendi al di sotto della paga minima salariale prevista in Austria”, ha dichiarato Marco Perolini, ricercatore sull’Europa occidentale di Amnesty.

Attualmente, le lavoratrici migranti sono sottopagate e godono di scarse tutele. Chiediamo alle autorità austriache di adempiere ai propri obblighi in materia di diritti umani, di garantire condizioni di lavoro sicure ed eque per tutte le collaboratrici conviventi del settore assistenziale e di assicurare che i diritti delle migranti siano ugualmente protetti”, ha sottolineato Perolini.

L’Austria ha una popolazione che sta invecchiando, oltre il 25 per cento della popolazione avrà più di 65 anni entro il 2040; di conseguenza la richiesta di operatori assistenziali è in forte aumento. Circa 60.000 persone in Austria forniscono assistenza come conviventi alle persone anziane: lavoratori delle strutture residenziali, operatori assistenziali familiari informali, operatori sanitari.

Il 92 per cento di queste operatrici e operatori sono donne e il 98 per cento migranti, soprattutto provenienti dalla Romania e dalla Slovacchia.

Il ruolo essenziale degli operatori assistenziali conviventi non viene apprezzato dal punto di vista economico, sociale o politico. In Austria, le donne ricevono in generale una retribuzione del 20 per cento inferiore rispetto agli uomini. Le lavoratrici migranti sono pagate il 25 per cento in meno rispetto ai cittadini austriaci e le donne migranti sono pagate il 26,8 per cento in meno rispetto alle donne non migranti. Le donne migranti che si occupano delle persone anziane ricevono una retribuzione spesso al di sotto del salario minimo. Ad esempio, le operatrici slovacche del settore dell’assistenza in Austria sono pagate in media € 10.080 l’anno, mentre il salario minimo per gli operatori del settore in Austria è di € 17.484 annui. L’equa retribuzione dei lavoratori assistenziali è una preoccupazione in tutta la regione. La Corte federale del lavoro tedesca ha stabilito in una sentenza storica che i lavoratori assistenziali conviventi, molti dei quali provengono dall’Europa centrale e orientale, devono essere pagati rispettando il minimo salariale. Nel Regno Unito il 58 per cento degli operatori assistenziali viene pagato al di sotto del salario minimo di sussistenza.

In Austria, solitamente le operatrici assistenziali conviventi modulano lo schema dei turni lavorativi su due o quattro settimane e molte donne migranti fanno ritorno nel loro paese di origine durante i periodi di ferie. Quindi, le restrizioni sui viaggi internazionali dovute al Covid-19 durante la pandemia hanno avuto un effetto particolarmente negativo su queste operatrici assistenziali conviventi, molte delle quali hanno dovuto prolungare la turnazione prevista. Inoltre con le limitazioni, legate alle misure Covid-19, imposte sulle visite di amici e familiari alle persone che hanno bisogno di assistenza molte migranti hanno dovuto lavorare per molte ore, spesso per settimane e settimane con disponibilità continua per le 24 ore. La maggior parte delle operatrici assistenziali residenti non sono tutelate contro orari di lavoro eccessivamente lunghi perché sono lavoratrici autonome. Questi orari eccessivi hanno portato molte di loro a soffrire di stress ed esaurimento.

Eszther, proveniente dalla Romania, ha dichiarato ad Amnesty: “Avrei dovuto fare ritorno a casa il 21 marzo [2020]. Invece, sono dovuta rimanere. È stato molto difficile per me perché non avevo mai una pausa. E queste pause sono fondamentali! Uscivo dalla casa del mio cliente di notte per prendere una boccata d’aria. Ho lavorato per tre mesi e mezzo di fila durante il lockdown. Allora, ho anche avuto problemi con la mia agenzia. Non mi chiamavano mai e mi hanno ridotto lo stipendio. Poi, sono crollata e ho dovuto consultare un medico”.

Sebbene le autorità austriache abbiano messo in atto dei meccanismi di sostegno per il Covid-19 per i lavoratori conviventi del settore assistenziale, non è sempre stato possibile accedervi da parte dei lavoratori assistenziali migranti a causa di alcuni criteri di idoneità, tra cui la necessità di avere un conto corrente austriaco, che molti non possiedono.

In molti casi, i lavoratori assistenziali conviventi sono classificati erroneamente come lavoratori autonomi. Hanno scarsa autonomia negoziale per la propria retribuzione e l’organizzazione del lavoro, perché come i lavoratori domestici, operano sotto la supervisione delle persone anziane a cui badano, e/o delle loro famiglie. Inoltre, le agenzie di collocamento operano come intermediarie tra loro e i loro clienti, spesso svolgendo un ruolo chiave nella decisione di compiti e retribuzione senza alcuna possibilità per gli operatori di discuterli e negoziarli.

La situazione di questi operatori è ulteriormente complicata dal fatto che solo gli operatori dipendenti del settore godono di un salario minimo, di tutele per gli orari di lavoro e di accesso alle indennità di malattia. Per il 98 per cento dei lavoratori conviventi che sono autonomi, nessuno di questi diritti umani è garantito.

Non vogliamo essere lavoratrici autonome. Le lavoratrici dipendenti hanno più diritti. Come lavoratrice autonoma, non hai nessun diritto. Abbiamo solo doveri. Non ci sono ferie pagate, non ci sono sussidi di disoccupazione. Vogliamo un posto dove andare quando abbiamo problemi”, ha detto Dora, operatrice assistenziale rumena.

La situazione degli operatori assistenziali conviventi in Austria è un esempio lampante di come il lavoro precario abbia un enorme impatto sulle lavoratrici migranti. In tutta Europa, donne, giovani, migranti e le persone che appartengono a minoranze etniche e religiose hanno maggiori probabilità di avere impieghi part-time, a breve termine e con contratti precari, senza adeguato accesso a indennità di malattia, maternità, ferie retribuite e altri benefici.

In Europa, sempre più persone lavorano in condizioni precarie, anche nel settore assistenziale. Tutti hanno il diritto di lavorare in condizioni di sicurezza e di essere retribuiti in maniera equa. Esprimiamo la nostra solidarietà alle donne migranti che lavorano come assistenti conviventi e chiediamo alle autorità austriache di ampliare le tutele del salario minimo e dell’orario lavorativo a tutti gli operatori e a tutte le operatrici assistenziali conviventi, di potenziare le ispezioni sul lavoro e fornire consulenza e rimedi per discriminazioni e violazioni sul posto di lavoro”, ha concluso Marco Perolini.

Leggi la ricerca “We just want some right!” (eng)