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Bangladesh – Protezione umanitaria per buona integrazione: nel Paese non sono garantite condizioni di vita dignitose che consentano l’esercizio dei diritti minimi

Tribunale di Ancona, ordinanza del 15 maggio 2018

Il Tribunale di Ancona – Sezione Specializzata in materia di immigrazione e protezione internazionale – riconosce la protezione umanitaria a un richiedente asilo del Bangladesh poichè nel paese “non sono garantite condizioni di vita dignitose che consentano l’esercizio dei diritti minimi“.
Inoltre, il Giudice ha tenuto conto “che il richiedente ha documentato di aver avviato un percorso di integrazione con risultati degni di nota, è titolare di un rapporto di lavoro domestico“.
L’ordinanza delinea in modo approfondito quali sono le coordinate ermeneutiche per il rilascio del permesso di soggiorno umanitario.

[…] stante la configurazione volutamente ampia della protezione umanitaria, essa presenta caratteristiche elastiche e residuali rispetto alle misure maggiori del diritto al rifugio ed alla protezione sussidiaria, ed è per il medesimo motivo che, secondo il costante orientamento della Suprema Corte, essa costituisce attuazione finale, in aggiunta al rifugio politico ed alla protezione sussidiaria, dell’asilo costituzionale ex art. 10, co. 3°, Cost. […] ne deriva che, ai fini del positivo riscontro della condizione di elevata vulnerabilità (i cd. seri motivi), non si possa prescindere dal rinvio letterale (espresso) e sistematico (desunto in via interpretativa) ai beni che la Costituzione italiana, la Carta europea dei diritti dell’uomo, secondo l’interpretazione autonomistica fornita dalla Corte di Strasburgo, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10.12.1948, intendono proteggere, a tal punto da vietare l’esercizio del potere di rimpatrio dello straniero da parte dello Stato ospitante;
si tratta di diritti fondamentali che costituiscono il patrimonio irretrattabile ed
inalienabile della persona umana (diritto alla vita, alla libertà, alla sicurezza; libertà di pensiero, religione, vita privata familiare, domicilio, corrispondenza, matrimonio, procreazione, espressione, riunione, associazione, libera circolazione);
una volta accertata la sussistenza di uno di tali diritti, occorre poi verificare se la
condizione personale del richiedente vissuta nel paese di origine e la situazione che incontrerebbe nel paese di rimpatrio, lo esporrebbero, non ad una qualsivoglia vulnerabilità, bensì ad un’elevata vulnerabilità (i cd. seri motivi), intesa come esposizione al rischio grave di sacrificio dei propri diritti umani, nel senso che si troverebbe in una situazione irreversibile, se non abdicando all’esercizio dei propri diritti;
occorre, quindi, collocare la situazione soggettiva del richiedente nell’ambiente socio-culturale del paese di rientro per verificare se, una volta eseguito il rimpatrio coattivo, quest’ultimo possa esercitare il nucleo essenziale dei diritti inalienabili;
ciò significa che, in presenza di una condizione individuale di vulnerabilità, verrà comunque disposto il rientro forzato se nel paese di ritorno si registrano condizioni di vita dignitose che consentano l’esercizio dei diritti minimi;
d’altronde, che la condizione soggettiva dello straniero possa non essere rilevante, si coglie dalla circostanza che, ai sensi dell’art. 19, co. 2-bis, d. lgs. n. 286/98, possono essere espulse dal territorio nazionale anche persone affette da disabilità, anziani, minori, componenti di famiglie monoparentali con figli minori, minori stessi, vittime di gravi violenze psicologiche, fisiche o sessuali
“.

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Tribunale di Ancona, ordinanza del 15 maggio 2018