Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
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Bari – Appello per la manifestazione nazionale del 22 ottobre per la chiusura dei CPT

L’attuale politica sull’immigrazione è basata su un meccanismo che trasforma il diritto di movimento delle persone in un “problema di sicurezza”, perchè la guerra permanente e le politiche di manutenzione della paura forniscono una chiave distorta e strumentalizzante dei processi migratori.
Le conseguenze le ritroviamo nei cimiteri del mare, nella trasformazione in carcere di intere isole come Lampedusa, negli eserciti che sparano e assassinano i migranti sulle frontiere di Ceuta e Melilla.
La paranoia securitaria è però solo l’ultima faccia di un processo che viene da lontano e che su scala europea si è caratterizzato per la militarizzazione delle frontiere e l’esasperata ricattabilità sociale e lavorativa degli immigrati.
In Italia con tappe successive, il decreto Dini (1996), la legge Turco-Napoletano (1998) ed infine La legge Bossi-Fini (2002) hanno progressivamente blindato le frontiere, ridotto i canali di ingresso legale, ristretto le possibilità di ricongiungimento familiare ed esasperato la precarietà della condizione dei migranti tramite una rigida connessione tra la durata del permesso di soggiorno ed il rapporto di lavoro. Di questo contesto i “centri di permanenza temporanea” (cpt) rappresentano un architrave materiale e simbolico.

Le misure restrittive della libera circolazione e l’uso mediatico di un’associazione continua tra clandestino e criminale, hanno portato infatti a identificare in ogni immigrato, un potenziale criminale e reso di fatto il clandestino un “criminale speciale”, un criminale d’eccezione che non può semplicemente essere arrestato, ma deve essere internato pur non avendo commesso reato alcuno.
Ora che la legge Bossi-Fini sta dispiegando tutte le sue potenzialità di moltiplicatore della condizione di clandestinità, l’utilizzo dei luoghi per l’internamento, la schedatura e l’espulsione dei migranti ha subito un’ulteriore accelerazione. In questo clima si inquadra la paventata ri-apertura del CPT di Bari.

Non possiamo permetterlo!

Opporsi ai cpt ed in generale alle politiche di esclusione e di restringimento dei diritti di cittadinanza ci riguarda tutte e tutti. Il trattamento del migrante è diventato infatti il prototipo del controllo sociale e dello sfruttamento lavorativo.
Clandestinità, CPT e deportazioni sono altrettanti dispositivi di regolazione e governo della forza-lavoro, come lo sono la legge Biagi, le 32 tipologie di contratti precari, la mancanza di reddito e di accesso ai servizi fondamentali. La legge Bossi Fini e la legge 30 sul lavoro concorrono insieme per rendere la vita di tutti sempre più precaria.

Le politiche di repressione fino ad oggi sperimentate sono servite a generalizzare un diritto speciale e creato per alcune categorie di persone (migranti, tossicodipendenti, prostitute, attivisti,.).
I CPT così come i CDI (Centri d’identificazione per richiedenti asilo) sono istituzioni europee e si assiste al loro proliferare dentro e fuori l’Europa.
Chiudere ogni campo di detenzione per i migranti vuol dire opporsi ad ogni dispositivo che rende clandestini i movimenti di popolazioni, alle deportazioni, ai rimpatri, ai respingimenti, alle politiche di controllo dei flussi, all’allestimento dei campi all’esterno dell’UE. Vuol dire cancellare l’istituto della detenzione amministrativa ed ogni forma di diritto differenziale. Vuol dire ripensare radicalmente e completamente le migrazioni, per affermare che l’unica forma di opposizione ai CPT è la libertà di circolazione.
D’altra parte la negazione del diritto d’asilo in Italia smentisce tutte le retoriche sull’accoglienza e sulla reale funzione dei centri per migranti. In nome dell’accoglienza la Curia leccese ha gestito, il “Regina Pacis”, luogo di pestaggi e violenze.
A Bari la Provincia ed il Comune hanno approvato due ordini del giorno contro il CPT.
Nonostante ciò, ad oggi dopo un anno, alle dichiarazioni d’intenti nessuna azione istituzionale è seguita per incepparne l’apertura o il funzionamento.
Il Comune di Bari, anzi, rivendica quale modello di accoglienza la reclusione dei richiedenti asilo nel centro di Bari Palese.
Il 10 e l’11 luglio scorso sempre a Bari, i movimenti e molti governi regionali hanno trovato una convergenza sulla contrarietà ai CPT. La Regione Puglia in particolare si è dichiarata per la chiusura di tutti i CPT e per la non apertura della struttura di Bari-San Paolo.
Coerenza vuole che alle parole seguano i fatti.
I movimenti, del resto, hanno rivendicato la propria autonomia e la capacità di tenere aperto il conflitto sociale e politico su questa fondamentale questione, rilanciando la mobilitazione.
Dal 1998 – anno in cui la legge Turco-Napolitano ha istituito i Centri di Permanenza Temporanea – un’ampia rete di attivisti ha attuato una critica pratica alla detenzione-deportazione. Il normale funzionamento di queste galere etniche è stato messo in discussione ed è stato rifiutato sia dall’esterno sia dai migranti detenuti all’interno.
In forme diversificate è stata praticata la legittima disobbedienza ad una legge ingiusta, riaffermando la contrarietà alla detenzione etnica ed amministrativa, alla distinzione tra persone legali ed illegali, sanabili ed insanabili, e denunciando l’impossibilità di una riforma umanitaria dei CPT. E’ per questo che pretendiamo un’amnistia dei procedimenti giudiziari tutt’ora pendenti contro le lotte di centinaia di migranti e di attivisti.
Come rete antirazzista che sul territorio di Bari ha assunto e riprodotto queste pratiche di opposizione ai cpt facciamo perciò appello a tutti/e, cittadini, movimenti ed anche alle istituzioni locali che vogliano essere conseguenti con le proprie posizioni, a partecipare alla manifestazione nazionale che si terrà a Bari, contemporaneamente a quella di Gradisca d’Isonzo (Go), il 22 ottobre per impedire l’apertura delle nuove galere etniche.
Una mobilitazione costruita a partire dal convegno di Bari in luglio e rilanciato nell’assemblea nazionale antirazzista del 4 settembre a Roma. La manifestazione del 22 ottobre deve diventare un’occasione di partecipazione e protagonismo di tante realtà che considerano la chiusura e il sabotaggio del CPT come un obiettivo primario contro la precarizzazione delle esistenze, la carcerazione sociale e la guerra permanente.
Egualmente invitiamo a monitorare la possibile apertura del CPT di Bari anche prima del 22 ottobre e, se questo dovesse accadere, alla mobilitazione immediata.

Rete No Cpt – Bari
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