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Belgio – Contro i CPT e le deportazioni

Intervista a Armand, collettivo CRACPE, Belgio

Dalla morte di Semira CRACPE ha messo in piedi in Belgio una rete nazionale per impedire le deportazioni, viaggi che avvengono contro la volontà dei migranti espulsi, viaggi dell’umiliazione o della morte.
CRACPE, sigla che significa Collettivo di Resistenza ai Centri per Stranieri, è una rete di collettivi per una risposta diretta all’abuso dei centri di permanenza e ai voli di deportazione.

Melting Pot Europa ha raggiunto al telefono la sede di Lièges per parlare con Armand, uno degli attivisti.

Domanda: Il collettivo CRACPE nasce nel 1998 durante il periodo di costruzione del centro di detenzione per migranti di Vottem. Qual è in Belgio la realtà attuale dei centri di permanenza temporanea?

Risposta: Dal 1999 ci sono in Belgio 6 centri di permanenza temporanea. Sono vere prigioni nel quale regnano in maniera organizzata l’assenza di diritti e l’arbitrio. Le persone chiuse in questi centri non hanno alcun rapporto con l’esterno per denunciare pratiche d’abuso di cui potrebbero essere vittime. Le persone vi sono rinchiuse perché non possiedono i documenti che permettono di vivere in Belgio o nello spazio Schengen e il periodo di detenzione serve per organizzare la loro espulsione, cioè un ritorno forzato verso il loro paese d’origine o, quando questo non è possibile, verso paesi vicini al paese d’origine dai quali si presume siano transitati prima di arrivare in Europa e in Belgio.

D: Qual è la durata massima del periodo di detenzione previsto dalla legge?

R: Rispetto a ciò si dispiega l’arbitrio più completo. Il periodo di detenzione non dovrebbe superare i due mesi – durata ritenuta sufficiente per stabilire i contatti amministrativi per organizzare l’espulsione – ma abbiamo constatato che questo periodo viene allungato sempre più spesso. L’amministrazione utilizza un sistema molto semplice: se la persona rifiuta di rientrare nel proprio paese al momento dell’espulsione viene nuovamente rinchiusa in un centro e il periodo di detenzione ricomincia da zero. Nel centro di Vottem, che conosciamo bene perché si trova vicino a Lièges, vi sono dei prigionieri che sono rinchiusi nel centro da 8-9-10 mesi o addirittura un anno e più. Siamo di fronte ad una manipolazione del regolamento del tutto inaccettabile e che ci mostra l’arbitrarietà dell’operato dell’Ufficio Immigrazione, incaricato nel territorio nazionale dell’accoglienza, internamento ed espulsione.

D: Qual è l’attività di movimenti e gruppi per la difesa dei diritti umani rispetto a questo abuso?

R: Le organizzazioni come “Les Droits de l’Homme”, “Homme Racs » che è il movimento contro il razzismo e l’antisemitismo, “Il centro per le pari opportunità” e altre ancora osservano e denunciano regolarmente quello che accade e tentano di giungere all’applicazione del regolamento previsto. Si tratta di un lavoro lungo e che richiede un’organizzazione non da poco.

D: Le proteste e le iniziative di gruppi come il vostro riescono a sollevare un dibattito pubblico nella società e nel mondo politico belga?

R: No, purtroppo il dibattito sollevato è estremamente timido sia nella società civile tra i cittadini, sia all’interno del mondo politico . Un tentativo di spiegazione potrebbe essere che in Belgio nella zona delle Fiandre si osserva una terribile ascesa di movimenti dell’estrema destra e i partiti democratici cercano di non prestare il fianco alla grande critica sui temi dell’accoglienza degli immigrati. I partiti politici sono quindi molto silenziosi riguardo ai temi dell’immigrazione e della richiesta d’asilo.

D: Come ha giustamente accennato la pratica della detenzione è inserita nel sistema delle espulsioni di cittadini stranieri senza documenti. Dall’assassinio di Semira Adamu CREP ha sviluppato una pratica per contrastare ed impedire le deportazioni.

R: Continuiamo a portare avanti questa attività che richiede molta presenza, dal momento che le espulsioni sono frequenti e numerose. Il nostro collettivo – principalmente la sede di Bruxelles – ha realizzato un sistema che vuole impedire le espulsioni quando il prigioniero manifesta questa volontà. Quindi incontriamo i passeggeri dell’aereo su cui si troverà il prigioniero spiegando loro che c’è un passeggero che non desidera decollare e che se lo vogliono possono impedire l’espulsione alzandosi in piedi durante la fase del decollo. In questo caso il comandante dell’aereo deve far scendere il passeggero in via d’espulsione.

D: Questa pratica ha funzionato?

R: Sì, ha funzionato molte volte. Il risultato è chiaramente mitigato perché il prigioniero viene rinchiuso nuovamente in un centro di permanenza temporanea e nelle volta successive l’espulsione richiederà un maggior uso di violenza. E’ un tentativo che realizziamo volta per volta reclamando la soppressione delle espulsioni. Vi sono poi altre associazioni che in modo più timido reclamano pratiche di espulsione più umane, si tratta di un punto di vista che non condividiamo affatto perché l’espulsione è in sé un atto di violenza e non vi può essere alcun modo di dargli un carattere umano.
Un fatto nuovo nello scenario europeo è che sempre più spesso gli stati europei si associano per organizzare insieme dei voli charter per le espulsioni. Francia, Paesi Bassi e Belgio organizzano insieme un aereo d’espulsione con una meta precisa, generalmente sono aerei militari ad occuparsi di questa missione quindi è praticamente impossibile intervenire.

D: Ciò avviene nonostante il rifiuto del Parlamento Europeo sull’impiego congiunto di voli charter per l’espulsione di migranti?

R: Il rifiuto è venuto da parte del Parlamento Europeo, ma i Ministri dei singoli stati hanno deciso che questo metodo di espulsione si sarebbe continuato a praticare.

Foto: Il centro di detenzione per migranti di Vottem, Belgio