Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

A cura dell'Assemblea di Autogestione dello Scalo Internazionale Migranti

Bologna – A proposito dello Scalo Internazionale Migranti

Il Dossier prodotto dall'Assemblea di Autogestione dello Scalo Internazionale Migranti dopo nove mesi di occupazione

Nel presentare questa affascinante e complessa esperienza vogliamo soprattutto affermare e confermare il senso concreto che ha e vuole avere lo scegliere questo tipo di pratica, come opposizione e svelamento della reale natura xenofoba e liberticida della legge Bossi-Fini.
Vogliamo premettere che ridurre l’esistenza dello Scalo ad una semplice “lista” di cose fatte ed ottenute, non riuscirà comunque a rendere conto dell’energia e della partecipazione che vi sono state profuse in questi mesi, e delle difficoltà che vengono affrontate quotidianamente da questa comunità di donne ed uomini, a partire dall’assenza di luce e gas, che ancora oggi Treni Italia SpA (proprietaria dello stabile) si rifiuta di fornire. Detto ciò non neghiamo la presenza di problemi e contraddizioni, ma facciamo presente che questi sono tipiche della realtà dell’immigrazione in questo paese e di questa città in particolare, che evidentemente non sa e non vuole dare risposte che non siano puramente emergenziali.

L’occupazione del Ferro Hotel di via Casarni 23 è innanzitutto il tentativo, difficile e non lineare, di cittadini italiani e migranti, di dare vita ad un’esperienza comune di occupazione ed autogestione, che in primo luogo dia una risposta ai bisogni materiali di decine di migranti, e che, su questa base, intraprenda percorsi di emancipazione individuale e collettiva. Il tutto in un contesto politico delineato dalla legge Bossi Fini, che tutto fa tranne che aiutare questi percorsi: ed è proprio in opposizione a questa legge che l’assemblea dello Scalo ha partecipato, in maniera visibile e colorata, alle manifestazioni, ai presidi, ai cortei che in questi mesi hanno attraversato le nostre città, e che hanno visto la presenza di questa comunità in numerosissime altre occasioni, contro l’apertura del CPT di Torino come contro la guerra in Irak, o semplicemente per avere dal Comune di Bologna quelle risposte che ancora non sono state date.
Facciamo presente che le cosiddette istituzioni cittadine, nonostante i numerosi incontri, le manifestazioni, i presidi, le interruzioni dei Consigli Comunali, sono rimaste in questi mesi per lo meno latitanti, rendendosi a loro modo clandestine, se per clandestinità intendiamo la totale assenza di un progetto, di un’idea o della semplice volontà di dare una soluzione dignitosa a questa situazione.

L’estate, come prevedibile, ha portato nuovi problemi: la mancanza della corrente elettrica, che ha impedito il funzionamento di uno straccio di riscaldamento con il termometro sottozero, impedisce ora la semplice accensione di un normale ventilatore, e rende più insopportabile la quotidianità di una comunità di persone che in questi mesi, per dinamiche tipiche dell’immigrazione ( e non dello Scalo…) è cresciuta sensibilmente di numero.

In questo contesto generale:

RIVENDICHIAMO UNA PRATICA di occupazione scaturita dall’esigenza di trovare risposta ad un’emergenza in una città sorda ai problemi dei suoi nuovi abitanti.

RIVENDICHIAMO UN’ESPERIENZA che parte dalla concretezza del fatto che gli spazi in città esistono, magari abbandonati in attesa di lucrose speculazioni e che concretamente propone delle risposte: l’autorecupero, l’agenzia, vera, per la l’affitto, la requisizione quando serve.

RIVENDICHIAMO di esserci opposti all’applicazione della legge Bossi-Fini, dimostrando che anche in questo contesto è possibile costruire pratiche di resistenza e disobbedienza in grado di costruire percorsi di lotta veri e concreti.

RIVENDICHIAMO IL DIRITTO alla libertà di movimento e ad una sopravvivenza dignitosa, perché siamo i figli di quelli partiti con la valigia di cartone, di quei migranti italiani che abbandonavano le montagne inospitali e i paesi in rovina, nella fatica di dare pane e speranza ai propri figli.

ACCUSIAMO IL GOVERNO LOCALE DI QUESTA CITTA’:
chiamato in causa per rispondere all’emergenza umanitaria, e che non ha risposto;
chiamato in causa a fornire luce e gas ai lavoratori e alle famiglie con bambini neonati, e che è stato sordo;
chiamato in causa ad aprire trattative con le ferrovie per un percorso credibile di uscita dall’emergenza, e che ci ha opposto l’ipocrisia di rinvii continui, appuntamenti mai fissati, parole generiche ed elusive.
L’inerzia è un gesto colpevole perché rende responsabile questa amministrazione, che chiude gli occhi davanti al lavoro nero, che non impedisce l’estorsione e il ricatto dei datori di lavoro ai danni dei lavoratori migranti attraverso l’arma delle regolarizzazioni e dei permessi di soggiorno, che spinge nell’emarginazione chi è costretto a vivere in una baracca.
Tutto quello che abbiamo fatto l’abbiamo fatto perché era giusto farlo: solo l’ipocrisia può far dire “a Bologna non è possibile”. Il Ferrohotel c’è, è reale e ristrutturabile, come altre decine di posti in altre aree di questa città.

Nonostante tutti gli sforzi siamo coscienti di dover agire in una realtà contraddittoria, siamo coscienti della fragilità di una esperienza accerchiata dalla intenzionale sordità delle istituzioni, dalle condizioni di disagio estremo contro cui i migranti dello Scalo quotidianamente devono combattere.
Tutto ciò che facciamo lo facciamo perché è giusto farlo, perché teniamo gli orecchi e gli occhi aperti su questa città, perché non vogliamo la responsabilità colpevole dell’inerzia.
Continueremo a lottare insieme a tutti coloro che ogni giorno attraversano lo Scalo per portare un contributo, per confrontarsi e capire, per fornire un appoggio: sono tanti e speriamo che per tutti sia un’esperienza importante ed una pratica da disseminare.

1. Lo Scalo Internazionale Migranti

Lo Scalo Internazionale Migranti nasce a Bologna il 16 ottobre 2002, quando viene occupato l’ex-ferrhotel di Via Casarini, 23, di proprietà di Trenitalia e da anni abbandonato.
Meno di un mese prima, il 19 settembre, polizia e carabinieri, su richiesta del presidente del quartiere (per “motivazioni umanitarie”), sgomberano con violenza un insediamento di baracche costruito da immigrati rumeni, in maggioranza rom, lungo il fiume Reno, nel quartiere di Borgo Panigale. Le forze dell’ordine distruggono le abitazioni, portano in questura settanta persone e ne rimpatriano la metà il giorno dopo. Gli altri, per i quali è possibile la richiesta di regolarizzazione (come da Bossi-Fini), vengono rilasciati, senza che nessuno si preoccupi della loro situazione, senza un, pur precario, tetto.
È la società civile ad attivarsi e a costituire una rete di resistenza e solidarietà. Alcune “spedizioni” nelle campagne di Borgo Panigale e in altre zone di Bologna (Caserme Rosse) nelle settimane successive documentano altri sgomberi effettuati dalla polizia, senza che i mezzi di comunicazione ne diano notizia, e raccolgono testimonianze sulle difficili condizioni di vita di moltissimi immigrati costretti a vivere in condizioni di clandestinità. Ai rumeni è offerta l’ospitalità del centro sociale ex-Mercato 24 di Via Fioravanti; qui avvocati, medici (dell’associazione Sokos), studenti lavorano con i migranti, per garantire assistenza legale, sanitaria, sindacale, per seguire le pratiche di “regolarizzazione”. Molti dei rumeni lavorano in nero come manovali nei cantieri di Bologna e dintorni, sfruttati da caporali e padroncini: si fa un’opera di sistematica denuncia delle aziende in questione, se queste non mettono in regola i lavoratori migranti. Nel frattempo si avvia una trattativa con il comune per proporre soluzioni abitative.
Inizia così un rapporto e una crescita politica importante che porta italiani e rumeni ad occupare e gestire assieme lo spazio di via Casarini. Lo Scalo nasce come primo appoggio per i migranti, come tetto provvisorio da cui partire per costruire una vita dignitosa in Italia. Come luogo in cui medici, avvocati e insegnanti, gruppi politici, associazioni e singoli quotidianamente mettono in gioco le proprie idee, capacità e professionalità per costruire percorsi con i migranti. Vuole essere un laboratorio politico in cui praticare forme concrete di resistenza alla legge Bossi-Fini.

La vita allo Scalo durante i mesi invernali è segnata da una pesante situazione materiale, a causa della mancanza di luce e riscaldamento, tagliati da Trenitalia dopo l’occupazione. Nonostante varie manifestazioni e incontri con rappresentanti delle ferrovie e del comune, queste due istituzioni continuano a rimpallarsi le responsabilità e a spedirsi lettere inutili, con il risultato che gli abitanti dello Scalo, tra cui molte donne incinte e neonati, trascorrono l’inverno al buio ed al freddo. Questo non ha tuttavia impedito che dallo Scalo si avviassero numerosi bambini alle scuole materne ed elementari, che si mettesse in piedi una scuola di italiano per gli uomini e le donne rumeni e che si iscrivessero diversi adolescenti a corsi di formazione professionale.

L’esperienza di via Casarini ha visto anche l’aumento impressionante degli abitanti: dai sessanta iniziali vi sono adesso più di centocinquanta persone, con o senza documenti “in regola”. Quotidianamente c’è chi, non solo stranieri, viene a bussare per chiedere un posto per dormire, per vivere. Lo Scalo ha messo in luce una situazione drammatica a Bologna, per quanto riguarda le situazioni abitative degli immigrati. Si è trovato, per forza di cose, a “mettere una pezza” dove le istituzioni sono assenti (persino Caritas, assistenti sociali degli ospedali e… carabinieri hanno indirizzato persone senza casa in via Casarini), anche se ciò ha comportato e comporta enormi difficoltà di gestione dello spazio.
Lo Scalo Internazionale Migranti è però soprattutto una importantissima esperienza politica: qui, nonostante mille difficoltà dovute alle differenze culturali ed anche ai problemi quotidiani di autogestione, italiani e migranti stanno costruendo assieme un progetto e una lotta reale; stanno crescendo umanamente e politicamente; hanno lanciato iniziative politiche importanti, hanno partecipato a molte manifestazioni, non solo a Bologna (vedi Torino, 30 novembre 2002), hanno dato il proprio contributo al movimento contro la guerra in Iraq, hanno avviato una lotta per il diritto alla casa, assieme ad altre realtà autorganizzate di Bologna, partecipato all’elaborazione di iniziative contro i centri di permanenza temporanea, dato la propria attiva e concreta solidarietà ad altre situazioni di lotta che vedono coinvolti i migranti, come quella del CPA dell’Arcoveggio.
Nel frattempo continua l’attività quotidiana di monitoraggio sanitario (anche con una due giorni di screening sulla tubercolosi) e riguardo le condizioni di lavoro, che per molti degli abitanti dello Scalo non migliorano, in quanto anche dopo la regolarizzazione sono soggetti ai soprusi e alle ingiustizie dei datori di lavoro. Queste attività sono realizzate anche attraverso la nascita, all’interno di Via Casarini 23, di un “Cantiere”, che, tra le altre cose, diventa uno sportello settimanale di consulenza legale e sanitaria.

Nota positiva è che alcune famiglie che vivevano allo Scalo in questi mesi sono riuscite a trovare altre sistemazioni abitative, pur scontrandosi con l’enorme difficoltà del trovare una casa in affitto a Bologna, per il razzismo e la diffidenza di molti padroni di casa e a causa di affitti proibitivi per i lavoratori. Alcuni di questi “ex-residenti” di Via Casarini 23 hanno continuato e continuano a partecipare alle iniziative politiche e alla vita dello Scalo, a riprova anche di una importante crescita politica personale.
Attorno allo Scalo si è coagulata un’attenzione importante, sia da parte del movimento sia da parte dei migranti presenti sul territorio bolognese. Questa esperienza di lotta sta di fatto allargando il movimento stesso e lo ha arricchito delle storie, delle vite e delle speranze di chi ha scelto di non fermarsi davanti a nessuna frontiera.

2. L’attività sulle regolarizzazioni e sui problemi di lavoro

Uno delle principali questioni che italiani e migranti si sono trovati ad affrontare è stato quello delle condizioni di lavoro. Molti dei rumeni che vivono allo Scalo lavorano come manovali e muratori nei cantieri, a Bologna e in altre zone dell’Emilia Romagna. I problemi di sfruttamento sul lavoro si sono uniti a quello della regolarizzazione, soprattutto nel periodo tra settembre e novembre 2002 (l’11 novembre scadeva la possibilità di emersione attraverso la Bossi-Fini). Ci si è trovati di fronte a situazioni di sistematico sfruttamento da parte di molti padroncini: i lavoratori non venivano pagati, lavoravano in nero, venivano spesso licenziati senza un motivazione, le promesse di regolarizzazione venivano in molti casi disattese oppure si chiedeva ai lavoratori di pagare di tasca propria gli ottocento euro di spese per la regolarizzazione (spese che invece spettavano al datore di lavoro), spesso con l’aggiunta di più o meno cospicue tangenti.

Davanti a questa situazione sono stati subito attivati sindacati (soprattutto la FILLEA-CGIL e il Centro Diritti dei lavoratori stranieri della CGIL, ma anche le RdB) e singoli avvocati. In alcuni casi siamo riusciti a convincere questi padroncini ad avviare la procedura di regolarizzazione (che spesso non volevano avviare per pura ignoranza delle procedure); in altri casi, tramite la FILLEA o singoli avvocati, si è proceduto alla denuncia di queste imprese all’Ispettorato del Lavoro. Tali denunce hanno indotto alcuni datori di lavoro a regolarizzare il lavoratore; in altri casi hanno permesso ai migranti di ottenere un permesso di soggiorno di sei mesi e la possibilità di cercare un altro lavoro. In questo modo sono riusciti ad ottenere la regolarizzazione almeno quindici-venti lavoratori che altrimenti sarebbero probabilmente rimasti, nonostante lavorassero da mesi per un’azienda, in condizioni di clandestinità e soggetti ai soprusi dei datori di lavoro.
Purtroppo, molti altri residenti allo Scalo non sono riusciti ad effettuare queste denunce e, nonostante continuino a lavorare, non si sono regolarizzati e vivono tuttora da clandestini.
Nei mesi successivi alla scadenza dei termini della sanatoria, comunque, nonostante la regolarizzazione, la situazione di molti lavoratori è rimasta difficile: l’estenuante lentezza delle procedure per la concessione del Contratto di soggiorno allo sportello polifunzionale in Prefettura e l’impossibilità, per molti mesi, di licenziarsi e trovare un lavoro migliore prima dell’ottenimento del permesso (ancora dovute alla Bossi-Fini), li ha esposti ancora una volta ai ricatti dei datori di lavoro (pagamenti non effettuati, mancato versamento dei contributi, orari di lavoro troppo lunghi, minacce di licenziamento, a volte anche minacce e percosse fisiche). In questo periodo, nonostante le difficoltà dovute ad una legge ingiusta ed estremamente penalizzante per i lavoratori immigrati, sono state affrontate molte di queste situazioni, sia attraverso i sindacati e l’opera di avvocati che attraverso la nascita di uno sportello di consulenza settimanale all’interno dello Scalo (ma aperto a tutti i lavoratori stranieri che ne avessero bisogno). Si è proceduto ancora, pur tra mille cautele, a denunce dei datori di lavoro inadempienti e all’avviamento, in alcuni casi, delle procedure per il “subentro”, con le quali un nuovo datore di lavoro può sostituirsi al precedente per la regolarizzazione in Prefettura.
Quest’attività, che è andata avanti quasi quotidianamente in questi mesi allo Scalo Internazionale Migranti, si è svolta tra mille difficoltà. Anzitutto è stato spesso difficile convincere i lavoratori ad effettuare denunce verso i propri datori di lavoro, per la paura di perdere tutto (anche un precario lavoro in nero e malpagato) e, peggio, spesso per vere e proprie minacce da parte dei padroncini in questione. Molti lavoratori si sono decisi a rivolgersi ad avvocati e sindacati spesso spinti da vera e propria esasperazione per le condizioni in cui lavoravano, per i mancati pagamenti, per le promesse ricevute e sistematicamente disattese. E d’altra parte, però, molti degli “attivisti” dello Scalo hanno dovuto svolgere in prima persona il ruolo di “sindacalisti”, quest’opera di convincimento, di spiegazione delle procedure della legge e, cosa più importante e assolutamente non scontata, di favorire la presa di coscienza dei diritti sul lavoro e il superamento dei timori verso i datori di lavoro. In questo confronto quotidiano con i lavoratori immigrati abbiamo avuto un aiuto molto scarso da parte dei sindacati, che pure ci hanno dato un grosso contributo nel seguire le singole vertenze e denunce e nei contatti con i datori di lavoro.
Va detto però che questo confronto continuo tra “attivisti italiani” e “lavoratori immigrati”, che abbiamo purtroppo dovuto gestire, come detto, senza l’aiuto dei sindacati, ha portato da un lato ad una maggiore consapevolezza, da parte degli italiani, delle dinamiche nei rapporti di lavoro e dei bisogni dei lavoratori, e dall’altro lato ad una importante presa di coscienza, da parte dei lavoratori rumeni, dei propri diritti sul lavoro e delle possibilità di non sottostare ai soprusi e alle minacce dei datori di lavoro, nonostante le difficoltà dovute al vivere in un paese straniero e, spesso, senza permesso di soggiorno. In molti lavoratori abbiamo visto crescere una coscienza sindacale (alcuni hanno preso la tessera della CGIL e, in caso di problemi, non esitano a rivolgersi ai rappresentanti sindacali nei cantieri); in parte attraverso essa è cresciuta anche una coscienza politica che li ha portati a partecipare attivamente alla vita dello Scalo e alle iniziative e alle lotte che esso porta avanti (sulla casa, contro i CPT, contro la legge Bossi-Fini, ecc.).

3. L’assemblea delle donne

L’esperienza di un incontro settimanale con le donne è nata dall’esigenza di affrontare problemi specifici legati alla difficoltá di accedere ai servizi socio-sanitari, alla precaria situazione abitativa e all’incerta situazione giuridica, tentando di risolverli collettivamente attraverso percorsi di autorganizzazione.
Le assemblee sono cosí strutturate: dopo una discussione preliminare sull’ordine del giorno, i problemi evidenziati vengono analizzati insieme per trovare soluzioni praticabili appoggiandosi, dove possibile, a strutture ed enti esistenti (scuola per i bambini, Sokos, Centro per la salute delle donne straniere Zanolini). Dove invece i bisogni non trovano una risposta a causa della condizione stessa delle donne immigrate, spesso senza permesso di soggiorno e quindi prive di ogni tutela o diritto, si sperimentano percorsi “creativi” originali nei quali é centrale la solidarietá reciproca fra le donne rumene e l’interazione con le altre donne.
In questo modo si è tentato di fronteggiare le necessitá legate alla salute: le prime emergenze sono state quelle della contraccezione e piú in generale le questioni ginecologiche, essendo presenti molto donne in stato di gravidanza.
Un altro tema trattato “creativamente” è stato quello della cura dei bambini e della loro alimentazione soprattutto nella fase dell’allattamento e dello svezzamento: a questo punto i problemi sono stati come lavare i bambini senza l’acqua calda, come preparare pappe senza gas, fornelli e frigorifero, dove trovare un luogo sicuro e sano per farli giocare e come riscaldare le stanze senza termosifoni. Si sono inoltre verificate situazioni che esigevano un intervento umanitario a causa di drammatiche emergenze per alcuni gruppi famigliari (per esempio presenza di bambini gravemente malati): in questi casi abbiamo riscontrato l’esistenza di un diritto di assistenza sociale puramente formale dato che, solo su costanti pressioni e a volte vere e proprie prove di forza, siamo riusciti ad attivare le strutture territoriali competenti.
Inoltre è stata attivata una scuola di italiano autogestita grazie all’impegno di chi ha dedicato il proprio tempo nella convinzione che l’alfabetizzazione sia uno strumento di emancipazione e non di colonizzazione culturale dall’alto.
Sulla questione del lavoro, della sua ricerca e della sua regolarizzazione, le difficoltá incontrate si sono a volte rivelate insuperabili a causa degli sbarramenti continui imposti dalla legge Bossi- Fini che non permette di tramutare i permessi di soggiorno per motivi di salute (vedi gravidanza) in permessi di soggiorno per motivi di lavoro, che ostacola in tutti i modi i ricongiungimenti famigliari, che non riconosce il legame al di fuori del matrimonio.
Il nostro percorso “creativo” è stato di tipo informale e ha tentato di mettere a frutto alcune delle abilitá delle donne: si sono ad esempio organizzati gruppi di cuoche che hanno partecipato a diverse iniziative culturali e ricreative cittadine, traendone contemporaneamente reddito, partecipazione alla vita sociale e politica della cittá e uscendo cosí da una situazione di invisibilitá ed emarginazione. Dal cibo si è passati alle relazioni umane, agli scambi culturali, all’interesse verso la vita politica, alla presa di coscienza della propria condizione, all’ipotesi di progetti comunitari di autosostentamento.
Le parole d’ordine degli incontri fra le donne dello Scalo Migranti sono state quelle forti della solidarietá reciproca, della progettualitá collettiva, della partecipazione paritaria. Poiché questa legge sull’immigrazione lega strettamete il permesso di soggiorno al lavoro, e poiché per le donne spesso esistono solo lavori in nero, si sanziona nei fatti la creazione di un gineceo soffocante dove le donne sono chiuse nelle loro case e in quelle altrui, relegate nei lavori domestici, invisibili in un mondo sotterraneo e parallelo.
Dove i muri del gineceo sono stati abbattuti è venuta allo scoperto la forte volontá di emancipazione sia delle strutture patriarcali oppressive famigliari sia da una legge che le isola, ricacciandole in una posizione subalterna.

4. Percorsi educativi e formativi

Lo Scalo Internazionale Migranti è abitato da numerosi bambini di diverse età. Si è pertanto proceduto al loro inserimento all’interno delle istituzioni educative tenendo in considerazione vari criteri, come la fascia d’età, il livello di alfabetizzazione, le esigenze proprie di ogni ragazzino.
Per quanto riguarda l’inserimento scolastico, si sono prontamente presi contatti con i Direttori Scolastici dei diversi istituti del territorio. L’iscrizione dei bambini è stata portata avanti con la presenza ed il parere dei genitori, che sono stati accompagnati da ragazzi italiani per difficoltà di comprensione linguistica.
Dopo aver soddisfatto i requisiti medico-sanitari, l’inserimento ha riguardato:
– scuola materna: due bambini di 4 e 6 anni alle scuole “De Amicis” e “Guidi”;
– scuola elementare: tre bambini di 8 e 9 anni presso le scuole “De Amicis”;
– scuola media: un ragazzino di 12 anni alle scuole “Gandino”

È importante sottolineare che alcuni bambini sono stati inseriti a metà anno scolastico, sia a causa del loro successivo arrivo in Italia (raggiungendo i genitori lavoratori), sia perché molti di loro hanno dovuto seguire la profilassi sanitaria necessaria alla cura di malattie come la tubercolosi, gravate dalle condizioni in cui sono stati costretti a vivere all’interno dello stabile per la mancanza di acqua calda e riscaldamento. Le frequenti malattie più o meno gravi hanno determinato una discontinuità nella presenza scolastica.
In ogni caso si è proceduto all’inserimento di tutti i bambini per facilitare da un lato il lavoro degli insegnanti in vista dell’anno venturo, ma soprattutto per permettere loro di socializzare con i propri coetanei.
Non è da sottovalutare inoltre che molte sono le famiglie che non hanno ricevuto alcun tipo di scolarizzazione in Romania. L’inserimento dei propri figli è stato motivato sia dal contatto con italiani che hanno loro spiegato la procedura d’iscrizione rendendoli partecipi alla scolarizzazione del figlio (ad esempio mantenendo contatti con gli insegnanti), sia perché hanno trovato nello Scalo Internazionale una condizione di maggiore sicurezza rispetto alla precarietà in cui erano costretti vivendo nelle baracche caratterizzate dal costante rischio di sgombero.
In alcuni casi si è invece verificata la negazione di uno dei diritti fondamentali dell’uomo, ovvero il diritto all’istruzione. Per un figlio di un migrante che non è riuscito a regolarizzarsi, infatti, l’inserimento scolastico rischia di diventare un’autodenuncia per se stesso e per la propria famiglia.
Per quanto riguarda i minori non più in età di obbligo scolastico, si è provveduto all’avviamento di un corso autogestito all’interno dello stabile, portato avanti da un’esperta in ambito educativo, riuscendo a fornire almeno una minima alfabetizzazione ai ragazzini.
Alcuni ragazzi sono invece stati avviati a corsi di formazione:
5 persone hanno frequentato un corso per muratori presso l’IPLE, ottenendo un attestato che ha permesso a due di loro di trovare un lavoro;
altre hanno frequentato un corso per elettricisti presso l’ENAIP, grazie alla collaborazione del Quartiere San Donato.
All’interno dello Scalo Internazionale Migranti si è avviata anche una scuola d’italiano per adulti, in orario serale per rendere possibile la presenza dei lavoratori. La scuola è stata portata avanti con serie difficoltà dovute alla mancanza di elettricità, di materiale didattico e di strutture idonee.
Lo scopo non è stato in ogni caso quello di creare una scuola interna e parallela a quella istituzionale, nella quale peraltro si sono incontrate difficoltà per un loro inserimento, quanto per permettere una minima alfabetizzazione partendo dai bisogni primari che loro stessi hanno espresso.

5. L’attività legale e del Cantiere

L’attività legale a favore dei cittadini rumeni residenti allo Scalo Internazionale Migranti è iniziata subito dopo lo sgombero avvenuto la mattina del 19 settembre 2002, per iniziativa di alcuni appartenenti ai Giuristi Democratici, al Bologna Social Foruma e alla CGIL.
Il primo intervento di “pronto soccorso”, è stato quello di impedire l’espulsione collettiva di tutti i migranti trattenuti: si è cercato quindi di far rilasciare tutti i lavoratori che avrebbero potuto fruire della sanatoria all’epoca in corso, le donne in stato di gravidanza ed i minori. E così effettivamente avvenne: tra la sera del 19 settembre e la successiva mattina del 20 vennero rimesse in libertà più di 50 persone. Non fu che l’inizio di una lunga esperienza di intervento legale a sostegno di una comunità di cittadini rumeni di etnia rom che con il passare dei giorni, si faceva sempre più numerosa. Innanzitutto si è dovuto fronteggiare l’emergenza sanatoria. entro l’11 novembre 2002 si dovevano presentare tutte le dichiarazioni di emersione lavoro irregolare a favore dei migranti che avevano lavorato come dipendenti durante l’estate 2002.
La quasi totalità dei migranti di sesso maschile di questa piccola comunità di cittadini rumeni aveva lavorato come manovale alle alle dipendenze di diverse piccole aziende del comprensorio bolognese: al fine di convincere i datori di lavoro a preparare la documentazione necessari per la “sanatoria” è stato fondamentale l’intervento presso i datori di lavoro sia di alcuni componenti del BSF sia della categoria sindacale FILLEA-CGIL.
In questa fase l’intervento di supporto legale si è limitata al controllo della correttezza formale delle dichiarazioni di emersione. Impegno più gravoso è stato invece quello successivo alla chiusura dei termini di consegna delle dichiarazioni di emersione, momento in cui si sono predisposte le vertenze di lavoro nei confronti di quei datori che si sono rifiutati di inviare le domande di emersione di lavoro.
Si sono avviate circa 10 vertenze delle quali alcune si sono risolte con la consegnadapartedellaQuestura di un permesso di soggiorno di 6 mesi per attesa occupazione, alte, invece, più complesse, sono ancora in attesa di definizione.
Ma l’attività prestata a favore della comunità rumena non si è limitata alla sola assistenza per la sanatoria. Le istanze di tutela giudiziale avanzate in tempi diversi dai membri della comunità sono state le più varie e disparate: senza pretesa di esaustività si ricorda l’assistenza fornita per:

– la concessione dei permessi di soggiorno per motivi di salute per le donne in gravidanza e per i loro mariti;
– il rinnovo dei documenti consolari (passaporto, dichiarazioni d’identità, ecc.);
– i ricongiungimenti familiari con i parenti residenti all’estero;
– la concessione dei permessi di soggiorno per motivi di turismo;
– la tutela i un procedimento di affidamento ai servizi sociali di una minore;
– la difesa giudiziale nei procedimenti di convalida del trattenimento nei Centri di Permanenza Temporanea;
– la difesa giudiziale e stragiudiziale in occasione delle espulsioni e dei numerosi trattenimenti in Questura dei migranti sprovvisti di permesso di soggiorno;
– la difesa giudiziale nei procedimenti penali relativi all’arresto ex art. 14 T.U.;
– la richiesta di rilascio di nulla osta all’ingresso in occasione delle aperture dei c.d. flussi per il lavoro;

Di fatto l’assistenza fornita è stata a 360 gradi. Le tipologie delle istanze avanzate dai cittadini rumeni e, come detto, l’indifferenza delle istituzioni locali, sono state la riprova della assoluta irrazionalità di un sistema giuridico e sociale che vuole marginalizzare lo straniero dalla comunità cittadina relegandolo al ruolo d sola forza lavoro priva di quei diritti che, agli occhi di tutti, dovrebbero essere indiscutibili e scontati.
In generale si è quindi constatato che le persone abitanti in via Casarini, e non solo, esprimono un bisogno molto forte di tutela di alcuni diritti fondamentali. Per rispondere a questi bisogni si è articolato, in una seconda fase, un intervento da parte di medici, avvocati, educatori, singoli individui che, in assenza di collaborazione da parte delle istituzioni e affiancando chi già era al lavoro, ha raggiunto alcuni obiettivi.
Si è così avviata l’esperienza del “Cantiere”, e cioè di un luogo volutamente accessibile a migranti anche non residenti all’interno dello Scalo, in grado di fornire una risposta concreta ai bisogni di questi cittadini, soprattutto dal punto di vista medico e legale. Nel concreto il “Cantiere” è stato accessibile tutti i giovedì, nelle ore serali, diventando un punto di riferimento per numerosi cittadini stranieri residenti in città, che non avevano ricevuto risposte adeguate da altri attori, pubblici e privati, ai quali si erano rivolti.
In particolare l’attività sanitaria è stata curata dai medici volontari dell’Associazione Sokos: uno dei primi passaggi è stato il rilascio di 93 tesserini STP (Straniero temporaneamente presente) uno strumento previsto dalla legislazione vigente per garantire assistenza sanitaria a persone sprovviste di permesso di soggiorno.
Tra le patologie più frequentemente riscontrate vi sono state: patologie respiratorie, dolori addominali riferibili a patologia gastroduodenale che hanno richiesto approfondimenti diagnostici di tipo strumentale, patologie in ambito ginecologico, infezioni della sfera genitale, menometrorragie in un caso riferibile a fibromatosi uterina, patologie dermatologiche. Durante la loro gravidanza sono state seguite 20 donne, garantendo loro un adeguato monitoraggio attraverso esami ematici e ecografie. L’intervento di assistenza alla gravidanza è stato effettuato in collaborazione con il Centro per la Salute delle Donne Straniere e i diversi presidi ospedalieri della città. Tutti i neonati sono stati avviati alla pediatria di comunità ed hanno intrapreso un percorso di vaccinazioni. In seguito ad una notifica di sospetta malattia tubercolare è stato eseguito uno screening da parte dell’unità mobile del Presidio Pneumotisiologico mediante l’esecuzione di 80 radiografie del torace, otto delle quali hanno richiesto ulteriore approfondimento mediante TC del torace. La Romania è un paese ad alta endemia per la malattia tubercolare nella quale circa l’80% delle persone risulta aver incontrato il bacillo della tubercolosi. Per questo è stata avviata una collaborazione con i servizi di igiene e salute pubblica del territorio per intraprendere un programma di monitoraggio, prevenzione e cura della tubercolosi in comunità ad alto rischio.
Da un punto i vista legale un gruppo di avvocati e non (provenienti dall’esperienza di “Tana Libera Tutti”, attivata durante il periodo della sanatoria) ha assistito cittadini rumeni, pakistani, senegalesi, marocchini, peruviani, gahanesi, cingalesi, ucraini, polacchi. E’ stata prestata attività di consulenza ed assistenza legale a lavoratori e lavoratrici che lavorano in nero in imprese i cui titolari, pur potendo, si sono rifiutati di seguire l’iter previsto dalla legge e volto alla regolarizzazione del rapporto di lavoro (45) ed a favore di lavoratori (82) che sono stati truffati da imprese, fittizie e non, che hanno estorto loro le spese di regolarizzazione, che, secondo la legge, sarebbero totalmente a carico del datore di lavoro, o somme ben più alte, fino a 5000 euro. Sono state fornite informazioni sia specifiche sia generali, sia ai lavoratori (69) sia ai datori di lavoro (8), circa la procedura di sanatoria ed il suo concreto funzionamento e circa la possibilità e le modalità di trasformare il permesso di soggiorno e di lavoro in un permesso di soggiorno per l’attività effettivamente svolta (38): numerosi stranieri, infatti, regolarizzati e/o in via di regolarizzazione quali colf o assistenti familiari svolgono in concreto altre e diverse attività di lavoro subordinato, astrattamente più remunerative e tutelate dal punto di vista legale.
A favore di stranieri in fase di sanatoria, sia prima sia successivamente alla emanazione delle circolari ministeriali, sono state fornite sia ai lavoratori sia ai datori di lavoro (6) informazioni ed assistenza circa il c.d. subentro di un nuovo datore di lavoro (40) e la cessazione del contratto di lavoro (46) e/o il licenziamento, in questo ultimo caso indirizzando gli interessati presso il sindacato di categoria. E’ stata fornita anche consulenza ai datori di lavoro (2) in ordine alla procedura per la chiamata nominativa attraverso il decreto flussi.
E’ stata fornita consulenza ed assistenza a donne lavoratrici entrate in Italia successivamente al 10 giugno 2002 e che prestano servizi alla persona (8) e nelle piccole imprese (2), che hanno lamentato la impossibilità all’accesso ad un permesso di soggiorno per lavoro subordinato; 11 donne hanno ottenuto il permesso di soggiorno per motivi di salute (gravidanza). Sono stati numerosi e fruttuosi gli interventi attinenti il diritto all’unità familiare (5), il permesso di soggiorno per i figli minorenni infra 14enni, il permesso di soggiorno per motivi di salute (2), il rinnovo del permesso di soggiorno (2), l’iscrizione al SSN sia per lo straniero regolarizzando sia per i suoi familiari. A seguito di segnalazioni da parte di alcuni cittadini marocchini (2), si è appreso dell’esistenza di una circolare del Consolato Generale di Casablanca che dal 9 maggio 2003 rifiuta di prendere in considerazione i nulla osta per ricongiungimento familiare rilasciati dalle questure italiane da oltre 6 mesi, a proposito della quale, per la sua palese illegittimità, è stata sollecitata ed ottenuta una interrogazione parlamentare da parte delle Onorevoli Graziella Mascia e Titti De Simone. Si è svolta attività di assistenza (3) e consulenza (6) a favore di stranieri detenuti presso il centro di permanenza temporanea di Bologna ed i loro familiari e forniti interventi finalizzati al recupero di crediti (1) ed all’ottenimento di un risarcimento dei danni per incidente stradale (3). Sono stati anche predisposti e forniti moduli e liste di documenti da presentare alle questure, per varie istanze.
Sono stati seguiti alcuni minori presso centri di assistenza (2) e per vicende di competenza della Procura della repubblica presso il Tribunale per i minorenni (2).
La quasi totalità degli stranieri, che tra i molti ostacoli hanno raggiunto un inserimento territoriale socio-lavorativo a Bologna e provincia, sono alla ricerca di una residenza dignitosa, che non riescono a reperire per obiettive ragioni discriminatorie. E infatti, tutte le agenzie immobiliari bolognesi che offrono alloggi in locazione che sono state contattate al fine di favorire l’incontro tra domanda e offerta (20), hanno sistematicamente rifiutato di ricevere il mandato di mediazione, adducendo motivi ostativi esplicitamente razzisti, e ciò anche in quei casi, numerosi, in cui venivano offerte concrete garanzie (fideiussioni personali di terzi e/o bancarie e assicurative).

6. Quale futuro per lo Scalo?

L’intervento dei medici, educatori, legali, singoli individui e gruppi politici, una volta esaurita l’emergenza, grazie ad un’opera di sollecitazione alle istituzioni e di aiuto alle famiglie rumene, avrebbe voluto dedicarsi pienamente alla costruzione di uno spazio libero di accoglienza che limitasse il più possibile la condizione di emarginazione e disagio che attualmente è riservata a chi, straniero, viene a vivere a Bologna. Da qui, ripetiamo, Scalo Internazionale Migranti.
Il progetto, ambizioso e complesso quanto a struttura ed impegno, privo di appoggio adeguato, sia politico che istituzionale, e privo di risorse finanziarie, ha portato ad accentrare ogni energia del gruppo di lavoro al sostegno degli attuali abitanti di via Casarini e degli altri migranti che allo Scalo hanno trovato un loro punto di riferimento, con i considerevoli risultati sopra illustrati.
Ma allo stato attuale lo sviluppo e la discussione del più ampio progetto sembrano bloccati.
L’emergenza abitativa non è stata risolta in alcun modo, anzi, per ragioni indipendenti e sovrastanti chi ha lavorato all’interno dello Scalo, si è aggravata e più passa il tempo più si evidenzia la lacuna sia assistenziale che organizzativa delle istituzioni. Questa lacuna, più di qualunque altra ragione, ha generato l’attuale situazione, critica ed ugualmente emergenziale.
Appare evidente che va ripreso con forza il progetto originario, e che vanno chieste con più energie risposte istituzionali tese al flusso in uscita degli abitanti di via Casarini (casa e lavoro), rafforzando le connessioni con chi (Regione Emilia-Romagna, Azienda USL, Tribunale per i Minorenni, Prefettura di Bologna, ISI) da molti mesi ragiona su questo luogo, anche assiduamente, ma rimanendone fuori con diffidenza.
E’ noto che l’accoglienza agli stranieri si modula ormai da tempo con meccanismi di pura assistenza temporanea, ad esempio nelle forme dei Centri di Prima Accoglienza (CPA), dove in realtà i migranti sono confinati per anni in sistemazioni provvisorie, o nei termini violentemente repressivi dei Centri di Permanenza Temporanea (CPT) : lo Scalo Internazionale Migranti intende essere una alternativa che sperimenta concretamente la possibilità di una accoglienza dignitosa, gestita direttamente insieme ai migranti che realizzano così un percorso attivo di relazione con chi abita da lungo tempo la città, oltre che una critica radicale alle politiche sull’immigrazione che dalla Turco-Napolitano alla Bossi-Fini continuano ad essere imposte in questo paese.
Pensiamo che a questo punto sia giunto il momento di dare risposte durature e credibili a tutti i problemi che fino ad ora abbiamo affrontato da soli. Intendiamoci bene: abbiamo giocato questo ruolo consapevoli di effettuare un’opera di supplenza nei confronti di istituzioni (Enti locali, AUSL ecc.) per denunciarne con la nostra azione l’assenza e la latitanza. D’altronde questo ruolo è stato implicitamente riconosciuto anche da questi soggetti, che hanno ben pensato di scaricare su di noi l’immensa patata bollente rappresentata dalla vita di decine di uomini, donne e bambini, ai quali si sarebbero dovute assicurare degne condizioni di vita.
E’ anche venuto il momento di ri-bussare alle porte di chi non ha voluto e saputo dare risposte credibili in questi mesi, valorizzando, se necessario, la pratica conflittuale che dall’inizio ha caratterizzato questa esperienza che, non dimentichiamo, parte dall’occupazione di uno stabile abbandonato. Con la legittimità di chi si è messo in gioco totalmente in un percorso di reciproca interazione e di definizione collettiva dei bisogni abbiamo aperto delle contraddizioni che ora, pubblicamente e in sede politica, tolgono il velo ai responsabili istituzionali che in questa città gestiscono il potere a favore delle lobby dell’edilizia, a favore di datori di lavoro che impunemente utilizzano i migranti per svolgere un lavoro nero senza diritti né protezioni, che strumentalizza la paura dei cittadini “perbene” accostando continuamente criminalità ed immigrazione. Partendo da una emergenza umanitaria, praticando percorsi orizzontali di risoluzione dei problemi, rilanciamo in modo forte la lotta che abbiamo inteso aprire non a parole, ma con la nostra esperienza.
In questo senso individuiamo come un aspetto di centrale importanza quello rappresentato dalla “questione abitativa” che, per i migranti, si pone in termini particolarmente urgenti e drammatici, ma che risulta cruciale anche per i lavoratori italiani.
Nell’ambito delle proposte concrete che lo Scalo ha elaborato in questa direzione rientra la Piattaforma sulla casa, presentata pubblicamente nel corso di una partecipata assemblea cittadina tenutasi qualche mese fa. In quell’occasione le comunità migranti presenti sul territorio (CPA Arcoveggio; V. Guelfa, V. delle Fonti, Lazzaretto ecc. e, naturalmente lo Scalo di V. Casarini) hanno apportato un contributo fondamentale alla creazione di un coordinamento cittadino proprio sulla questione abitativa.
I principi guida della piattaforma, a tutt’oggi incredibilmente ignorata dagli enti locali e, in larga misura, dalle organizzazioni sociali e politiche istituzionali, prendono spunto da un’analisi molto semplice ma di essenziale importanza:
Riteniamo sbagliato e fuorviante riproporre l’equazione problema abitativo = rilancio dell’edilizia residenziale nei termini di nuove ondate di cementificazione che continuerebbero a perpetuare speculazione e dissesto ambientale.
Riteniamo, al contrario, indispensabile una radicale revisione delle politiche edilizie allo scopo di incrementare, in maniera sensibile, la disponibilità di abitazione con canoni di locazione realmente adeguati alle condizioni lavorative delle fasce più deboli, i migranti in particolare.
I punti salienti delle rivendicazioni e delle proposte, ancora in attesa di interlocutori vergognosamente latitanti, sono così riassumibili:
– Riconoscimento dello stato di necessità per le occupazioni in atto di unità dimesse o sfitte e loro regolarizzazione rimuovendo, inoltre, gli articoli dei regolamenti comunali che impediscono la richiesta regolare di alloggio per coloro che, per necessità, hanno effettuato tali pratiche.
– Attivazione di meccanismi non burocratici per verifica e controllo dei bandi di assegnazione per stranieri e non.
– Autorecupero. Realizzazione di progetti (ne esistono centinaia da decenni!) di ristrutturazione autogestita da soggetti collettivi cui sia concessa la possibilità di accedere a finanziamenti agevolati.
– Porre un tetto al caro affitti che ormai hanno raggiunto livelli inverosimili.
– Dare vita, e rendere effettivamente partecipabile dal basso, ad un’agenzia per l’affitto.
– Requisizione per pubblica utilità di appartamenti sfitti da anni.
– Centri di prima accoglienza che siano realmente tali e non ghetti di emarginazione sociale (e sfruttamento) perpetui.
– Alberghi popolari tramite la ristrutturazione di edifici dimessi o inutilizzati che integrino gli ormai asfittici CPA.
Queste sono ad ora le nostre proposte concrete, questo il senso di questa esperienza, questi i limiti e i problemi che non abbiamo voluto nascondere.
Fra i bisogni materiali e le questioni politiche che necessariamente la loro rivendicazione ha generato ci sono legami inscindibili: la nostra azione lo dimostra.
Non ci saranno soluzioni materiali senza cambiamenti nell’impianto politico di questa legge.
Per questo lottiamo.