Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

Bologna – Nell’inferno del Cie tra paure e proteste

Tratto da Repubblica.it del 22 luglio 2011

“E poi si chiedono perché diano fuoco ai materassi. E’ il solo modo che hanno per provare a farsi ascoltare, per sfogare la rabbia e la paura, per chiedere libertà e dignità”. La giurista Alessandra Ballerini e la parlamentare Pd Sandra Zampa escono dal Cie di via Mattei con la faccia e le parole di chi ha visto “una situazione raccapricciante” e di “follia” del sistema. “Il termine accoglienza non si può usare – sottolinea l’onorevole – perché le persone chiuse all’interno sono trattate come detenute”. Come in carcere, peggio che in carcere. Chi finisce in galera sa perché e sa quando uscirà. Qui ci sono stranieri diventati clandestini perché hanno perso il permesso di soggiorno dopo il licenziamento e anni a sgobbare duro. Ci sono incensurati. Ci sono ragazze nigeriane rastrellate per strada, terrorizzate dall’idea di tornare da dove sono partite, con il debito con le maman ancora da pagare e i riti juju che fanno paura. Gli uomini sono 47 (32 dei quali richiedenti asilo), le donne 32 (14 richiedenti asilo). Vengono da ogni parte di mondo. Alcuni “dormono su materassini appoggiati su blocchi di cemento”. I meno fortunati, dopo le azioni di protesta e gli spazi diventati inagibili, “stanno anche in 10-12 per stanza, praticamente a terra”. Per tutti il futuro è una incognita o la perdita di un anno e mezzo di vita vera, dopo la proroga a 18 mesi del periodo massimo di trattenimento. “Una pura vendetta contro gli immigrati e atto contrario sia alla cultura sia alle direttive Ue – incalza Zampa – E’ un’inciviltà tenere rinchiuse per 18 mesi delle persone che scappano dalla fame” e dalle guerre e dalle torture. “C’è una ragazza tunisina con il volto segnato dalle cicatrici e dalle tumefazioni – racconta sconvolta Alessandra Ballerini – L’avevo già incontrata a Lampedusa, qualche settimana fa. Anziché metterla in un centro per richiedenti asilo, come si sarebbe dovuto fare, è stata portata qui. Significa che la rimpatrieranno coattivamente, nonostante i rischi che potrebbe correre tornando in Patria. Nemmeno le ragazze nigeriane dovrebbe stare qui. Sono vittime delle tratta, andrebbero protette e tutelate”. Una parte degli ospiti è arrivata qui dal carcere tradizionale, in attesa dell’espulsione prevista come misura di sicurezza a fine pene: “Il motivo addotto è che devono essere compiutamente identificati. Non si può non chiedere perché non lo abbiamo fatto prima, mentre erano detenuti. Li hanno arrestati e imprigionati senza sapere chi fossero? Possibile? L’essere rinchiusi qui è una condanna in più, senza senso, senza spiegazione. Sembra invece una forma di vendetta portare dentro chi è stato scarcerato dopo la demolizione della Bossi-Fini relativamente alle ripetute inottemperanze agli ordini di espulsione”.
Basterebbe la privazione totale della libertà a far sballare chiunque. “In più le condizioni igienico sanitarie sono pessime. I servizi igienici sono in uno stato inimmaginabile da fuori, da chi pensa di vivere in un paese civile. Anche quella del Cie – è l’affondo della giurista reduce dalla visita – è tortura. E poi si chiedono perché queste persone brucino i materassi”.