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Bosnia Erzegovina: quando l’emergenza sanitaria si fa pretesto per politiche di esclusione, detenzione e respingimenti

di Nidžara Ahmetašević *

Photo: Velika Kladuša

Il 16 aprile il Consiglio dei ministri della Bosnia Erzegovina (BiH) ha emesso una decisione in base alla quale è completamente proibito qualsiasi movimento di migranti e rifugiati all’interno del Paese. In precedenza, il Ministero della Sicurezza, l’ente statale che si occupa di stranieri e richiedenti asilo, aveva emesso un ordine in base al quale tutti i centri di accoglienza temporanea gestiti dallo Stato o dall’IOM devono rimanere chiusi. Vietata l’entrata e l’uscita dai centri, eccetto per i dipendenti.

Photo credit: Martina Perrone (Stazione di Tuzla, Lesvos calling)
Photo credit: Martina Perrone (Stazione di Tuzla, Lesvos calling)

Per introdurre queste misure le autorità hanno usato la scusa della pandemia di Covid-19, affermando che la restrizione alla libertà di movimento per i migranti e i rifugiati impedirà la potenziale diffusione del virus. La verità è che da qualche tempo i governi a diversi livelli (la BiH ha 3 livelli di governo) stavano cercando un modo per limitare i movimenti di rifugiati e migranti, e in alcune parti – come l’area di Bihać – l’hanno persino fatto.

Sia le misure introdotte adesso che quelle introdotte precedentemente sono contrarie alle leggi esistenti in Bosnia-Erzegovina, nonché contro la Costituzione, oltre a violare il diritto umanitario internazionale. Tuttavia, sono state varate senza lamentele da parte delle organizzazioni internazionali presenti in Bosnia-Erzegovina e responsabili del benessere dei rifugiati e dei migranti, in primo luogo l’IOM e le agenzie delle Nazioni Unite, nonché il DRC e altre, che ricevono denaro dall’UE per il loro lavoro con le persone migranti.

Inoltre, a causa della struttura statale molto complicata, della debolezza dello stato di diritto e della corruzione presente in tutto il paese, nel 2018, quando il numero di persone in viaggio verso l’Europa occidentale che arrivavano in BiH ha iniziato ad aumentare, l’UE ha deciso che i suoi unici partner di riferimento sarebbero state le organizzazioni internazionali. Con questa decisione e la conseguente donazione, che finora ha superato i 30 milioni di euro, l’UE ha reso l’IOM l’organizzazione responsabile della gestione delle migrazioni in Bosnia-Erzegovina.

Tuttavia, quando si tratta di violazioni dei diritti umani, queste organizzazioni, così come l’Ufficio del rappresentante speciale dell’UE in BiH, rimangono in silenzio.

Il silenzio è stata la loro unica risposta anche quando a marzo il nuovo capo del Ministero della Sicurezza Fahruding Radoncic ha dichiarato guerra non solo al virus ma anche a migranti e rifugiati.

In una delle sue apparizioni, Radončić ha affermato che i migranti sono “il più grande hotspot del coronavirus in BiH“, ordinando la messa in quarantena dei centri e con essa il completo blocco di movimento per migranti e rifugiati, minacciando che, nel caso le persone violassero queste misure, “La polizia deve bloccarli fisicamente e vietarne ogni movimento“.

Photo credit: Martina Perrone (Febbraio 2020, Lesvos calling)
Photo credit: Martina Perrone (Febbraio 2020, Lesvos calling)

La Coalizione Contro i Discorsi e i Crimini di Odio in Bosnia-Erzegovina ha esplicitamente condannato l’introduzione di tali misure, facendo riferimento alla vigente legge contro la discriminazione. Tuttavia, la loro denuncia non ha attirato alcuna attenzione, nemmeno da parte dei media. Finora, nessuna persona tra i rifugiati e i migranti in BiH è stata confermata infetta.

Queste disposizioni lasciano almeno 6000 persone bloccate all’interno degli 8 centri esistenti, 2 gestiti dal governo e gli altri dall’IOM, trasformandoli in veri e propri centri di detenzione. I centri sono sovraffollati e le persone che vivono al loro interno si lamentano dell’aumento della violenza da parte del personale di sicurezza (agenzie private impiegate dall’IOM), ma anche della polizia che impedisce loro di tentare di lasciare il centro.

Allo stesso tempo, come riferiscono ai volontari, non hanno abbastanza cibo, l’accesso all’acqua e ai servizi igienico-sanitari rimane scarso (come prima), così come l’assistenza sanitaria o il supporto psicologico. Rispettare le misure sanitarie che potrebbero proteggerli da qualsiasi virus è a malapena possibile.

La situazione più difficile è a Sarajevo, Bihać e Velika Kladuša, dove vi è il maggior concentramento di persone. A Sarajevo ci sono 3 campi (il centro di asilo Delijaš e i centri gestiti dall’IOM di Ušivak e Blažuj), a Bihać 3 (Bira, Borići e Sedra, gestiti dall’IOM), e a Kladuša uno (Miral, anche IOM).

Inoltre, a Sarajevo un numero sconosciuto di persone vive in alloggi privati, ospitate da gente del posto, o in affitto in camere o appartamenti, alcune sono in ostelli, mentre la maggior parte si trova all’esterno, in vecchi edifici abbandonati. Lo stesso a Tuzla, Mostar ma anche in molte altre città.

Photo credit: Martina Perrone (Febbraio 2020, Lesvos calling)
Photo credit: Martina Perrone (Febbraio 2020, Lesvos calling)

A Bihac, il governo (ancora una volta violando la legge) impedisce alle persone di affittare posti a rifugiati e migranti e almeno 1000 persone sono costrette a vivere per strada in condizioni più che precarie.

Tuttavia, anche coloro che vivono in appartamenti e ostelli, o quelli costretti a vivere per strada, il più delle volte non possono permettersi il cibo e fanno affidamento sulla rete dei volontari locali che al momento dipende dall’aiuto e dalla solidarietà dei gruppi dell’UE o dei paesi più ricchi, in grado di inviare denaro in modo da poter fornire alle persone il minimo per vivere. Inoltre, molte persone in BiH stanno aiutando indipendentemente e in vari modi.

Altra situazione molto complicate si riscontra nelle zone più vicine al confine con la Croazia, dove spesso si verificano respingimenti. Vicino a Velika Kladusa, in una vecchia fabbrica, tra le 150 e le 200 persone vivono nella situazione più precaria che si possa immaginare. Tra queste persone ci sono anche molti minori, esposti alla violenza, all’abuso di persone che li usano in modi diversi, compreso l’abuso sessuale. Tuttavia, le organizzazioni internazionali presenti sul campo si rifiutano di aiutarli dicendo, a quanto riferiscono i volontari sul campo e le persone che vivono in questo luogo, che sono responsabili solo delle persone all’interno dei centri a gestione IOM.

Le persone che si trovano a Bihac saranno presto trasferite nel nuovo campo a 22 km dalla città. Il campo sarà gestito, ancora una volta, dall’IOM e dal DRC, e sarà costruito principalmente con le donazioni dall’UE. Il campo è isolato, nella zona in cui non vivono persone, non ci sono negozi, né infrastrutture, né acqua né servizi igienici. Era stato promesso che tutto ciò sarebbe stato pronto prima che le persone avessero iniziato a trasferirsi, ma non è certo che questo accadrà.

Photo credit: Martina Perrone (Febbraio 2020, Lesvos calling)
Photo credit: Martina Perrone (Febbraio 2020, Lesvos calling)

Molte persone che sono per strada a Bihac sono impazienti di andare nei campi essendo consapevoli che non saranno in grado di sopravvivere a lungo in queste circostanze, facendo affidamento su volontari e altre persone che li stanno aiutando.

Secondo alcune stime, almeno 10.000 persone si trovano in questo momento in Bosnia ed Erzegovina e, con tutto ciò che sta accadendo a causa della pandemia, il loro futuro è incerto. La Bosnia ed Erzegovina è uno dei paesi più poveri d’Europa, è uno stato disfunzionale, dove i diritti umani della popolazione locale vengono soffocati da anni, così come nel resto dei Balcani.

Un gruppo di attivisti della regione, supportato da molti singoli e gruppi di tutta Europa, sotto il nome di Transbalkan Solidarity, ha recentemente avviato una campagna chiedendo lo stesso trattamento per tutte le persone indipendentemente dal loro status e dai documenti che hanno. Nella loro lettera aperta intitolata “Nessuno è al sicuro finché tutti non sono protetti“, affermano come “lo stato di emergenza attualmente in vigore in molti paesi della regione è una base per il proseguimento e il rafforzamento delle disuguaglianze sociali e purtroppo è già funzionale ad una ulteriore stigmatizzazione e repressione dei più deboli. Ma questa situazione eccezionale non deve diventare una scusa per il proseguimento di politiche di esclusione, limitazione ed espulsione, sofferenza e angoscia. “

Finora, l’appello ha ricevuto il sostegno principalmente dei singoli ma i funzionari e i responsabili non stanno rispondendo, così come tacciono da anni sulle violazioni dei diritti umani dei migranti alle frontiere dell’UE.

#Lesvoscalling

Una campagna solidale per la libertà di movimento
Dopo il viaggio conoscitivo a ottobre 2019 a Lesvos e sulla Balkan route, per documentare e raccontare la drammatica situazione sull'isola hotspot greca e conoscere attivisti/e e volontari/e che si adoperano a sostegno delle persone migranti, è iniziata una campagna solidale lungo la rotta balcanica e le "isole confino" del mar Egeo.
Questa pagina raccoglie tutti gli articoli e il testo di promozione della campagna.
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