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Bosnia, fuori dai luoghi comuni

Report e fotografie di Baobab Experience

Photo credit: Baobab Experience

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In Bosnia NON c’è nessuna catastrofe umanitaria.

In Bosnia, semplicemente, si sta realizzando il disegno folle e senza senso, ma perfettamente cosciente, di un’Europa che pretende di essere impermeabile al fenomeno umano più antico del mondo, quello della migrazione.

In Bosnia non c’è alcuna emergenza. È piuttosto una legge della fisica: chiudendo le frontiere, le persone in movimento si ammassano ai confini.

Abbiamo creato colli di bottiglia per migliaia di vite umane che prendono di volta in volta le forme di baraccopoli greche, dei lager in Libia, di barriere alte 6 metri a Ceuta e Melilla, dei centri di detenzione nelle isole Canarie – l’estremo sud dell’area Schengen – , dei campi in Bosnia – Sono l’Unione Europea e gli stati membri ad aver voluto, concepito, normato e finanziato questo circuito respingente di confinamento alle periferie della Fortezza Europa.

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Non è una invasione

Stiamo parlando di 10mila persone in transito verso un territorio con oltre 446milioni abitanti. Se questi uomini, donne e bambini entrassero nell’Unione Europea, la popolazione europea aumenterebbe dello 0,00224215%.

I campi in Bosnia sono sovraffollati, militarizzati e inadeguati, sì, ma chi li finanzia?

L’Unione Europea! 89 milioni di euro che finiscono quasi interamente nelle disponibilità dell’IOM (agenzia dell’ONU), che a sua volta gestisce i campi per i migranti. Alla Bosnia vanno solo le risorse destinate al controllo dei confini.

Lipa è il classico esempio in cui i migranti sono usati come arma di ricatto in un rimpallo di responsabilità tra la politica locale e l’IOM.

Del resto, i campi sono allestiti sul territorio bosniaco ma la Bosnia vede poco o nulla dei fondi UE destinati all’accoglienza. Così la municipalità di Bihac, nel tentativo di spartirsi il bottino UE, ha prima spinto affinché il centro di accoglienza fosse spostato fuori dalla cittadina e poi ha preso tempo per portare elettricità e acqua potabile a Lipa: ricatti e pressioni sulla pelle degli ultimi.

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Il problema non è (solo) l’inadeguatezza dei campi di transito

Abbiamo tutti visto le immagini del campo di Lipa. Abbiamo letto delle tende concepite per ospitare 5 persone ma dove vengono ammassati 20 o più esseri umani, delle condizioni igieniche disumane, della scarsità di cibo. Ma, attenzione: l’allestimento di hotspot dignitosi, se è un imprescindibile elemento di civiltà (e di coerenza, viste le risorse dedicate), non è certamente la soluzione.

La Bosnia è come l’Italia: un paese di transito; pochi, pochissimi la scelgono come destinazione finale. I centri, che nascono per la sosta breve, sono in realtà dei non luoghi dove persone in transito, il cui unico obiettivo è arrivare in Europa il più velocemente possibile, vengono parcheggiate per mesi o anni: attese lunghissime, intervallate da infiniti tentativi di varcare le frontiere e altrettanti episodi di respingimento da parte di quei paesi che hanno il dovere legale e morale di accogliere.

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Cos’è’ il game

Il game è una sorta di “caccia al migrante“, un reality senza regole che si gioca in Croazia, Serbia, Slovenia e Italia. Polizie di confine versus transitanti e richiedenti asilo. Gli agenti di frontiera croati sono senza dubbio a punteggio pieno, perché non solo respingono illegalmente donne, uomini e minori (così come fanno i colleghi italiani e sloveni) ma derubano, picchiano, vessano e umiliano i migranti intercettati lungo la rotta, costringendoli a ripartire dal via.

Il game si gioca in tanti modi:

Alcuni tentano la fortuna a piedi, inerpicandosi sulle montagne che dividono la Bosnia dalla Croazia, camminando attraverso i boschi e attraversando corsi d’acqua. Chi può permettersi un passeur ha certamente più probabilità di successo, mentre i più sfortunati possono tentare anche 40 o 50 volte collezionando altrettanti respingimenti.

Photo credit: Baobab Experience
Photo credit: Baobab Experience

Nelle cittadine industriali e lungo i confini si tenta il truck game: per la prima classe, si pagano 400 euro al traffico di esseri umani e ci si nasconde tra le merci di un camion, mentre per la seconda classe si ha solo una nicchia nel telaio del rimorchio.

E poi c’è il taxi game, dove la stessa automobile ti lascia a qualche km da ogni confine per aspettarti dall’altra parte della frontiera, così che solo l’attraversamento avvenga a piedi.

Un indotto da capogiro, un regalo siglato UE alla tratta e al traffico di esseri umani.

La polizia croata è “cattiva“, sì, ma chi la finanzia?

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131 milioni di euro sono i finanziamenti europei, per il periodo 2014-2020, a copertura dei costi operativi di controllo delle frontiere, inclusi l’indennità giornaliera, il pagamento degli straordinari e l’equipaggiamento degli agenti di polizia e delle guardie di frontiera croati.

Anche la polizia bosniaca non scherza…

I raid e gli sgomberi delle forze dell’ordine bosniache nei campi informali e negli edifici abbandonati dove si riparano i migranti (nella vecchia fabbrica Kraina Metal, a Bihac, c’è ad oggi un numero variabile di 400-600 persone) sono un fenomeno in continuo aumento.
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Durante questi episodi si registrano anche atti di violenza, ma soprattutto appropriazioni indebite dei soldi e di alcuni beni personali dei migranti da parte degli agenti in divisa.

Non c’è solo Lipa…

La gran parte della stampa e dell’attivismo si sono soffermati su Lipa, ma la Bosnia è un mosaico di grandi e piccole comunità di transitanti. A Sarajevo e nei dintorni, lungo tutta la linea di confine croata e serba, in ogni singolo snodo di ogni tratto di rotta, ci sono cellule di giovani e giovanissimi che si rifugiano in occupazioni abusive, case abbandonate o campi tendati improvvisati in attesa di provare e riprovare il game.

La Bosnia non è razzista

La Bosnia è la lacrima dei Balcani. È una terra dove sono ancora aperte le ferite della guerra degli anni ’90. È un paese della diaspora e, dunque conosce, riconosce e rispetta la diaspora. Solidali e attivisti, da Sarajevo a Tuzla, da Mostar a Doboj, da Bihac a Zenica, di ogni età e fede, collaborano in una rete interna, operativa h24 per dare supporto alle persone migranti e coordinare gli aiuti interni e internazionali.

La popolazione autoctona è stanca dell’immobilismo opportunista della politica interna, comprensibilmente diffidente nei confronti delle organizzazioni sovranazionali (Srebrenica è un mostro difficile da ignorare) e scioccata dell’approccio europeo al fenomeno migratorio.
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La criminalizzazione della solidarietà

È impossibile restituire un’immagine univoca della Bosnia giacché è un paese piccolo ma storicamente e culturalmente complesso. Il potere decisionale qui è costituzionalmente frammentato e spesso decentrato alle realtà cantonali e municipali. Così come l’Europa gioca a ping pong con i migranti, allo stesso modo i poteri locali, trainati dai nazionalismi interni, si rimpallano le responsabilità. In una dialettica e una propaganda tutta partitica e mediatica, i migranti vengono trasportati ai bordi di un’altra amministrazione territoriale e abbandonati lì come strumento di sfida e dispetto.

Il clima ostile si percepisce soprattutto nel cantone di Una-Sana. Qui sono state emanate ordinanze che vietano ai cittadini di distribuire cibo ai migranti e affittare appartamenti ai richiedenti asilo. Tuttavia, la solidarietà dal basso è stoica e instancabile.

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Come aiutare?

Le realtà locali sono le sole che conoscono il territorio, che lo vivono tutti i giorni, che comprendono i bisogni e sono in grado di identificare spazi di azione e interlocutori.

È importante che il desiderio nobile di aiutare sia incanalato in modo costruttivo: interventi autonomi, non mirati e non coordinati con i solidali e le associazioni bosniache rischiano di essere inutili per i migranti e controproducenti per chi opera quotidianamente in un contesto di criminalizzazione della solidarietà. Baobab Experience è attiva in Bosnia attraverso la rete locale, con cui mantiene contatti e rapporti costanti.
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Quali soluzioni?

Una sola: la libertà di movimento, l’apertura delle frontiere, nel rispetto, in primis, del principio di uguaglianza (a prescindere dal passaporto) e di autodeterminazione dell’individuo.

In attesa che l’Unione Europea dismetta il vestito dell’ipocrisia, della miopia, dell’arroganza e dell’illegalità, mettendo fine alla strategia del confinamento dei flussi migratori sugli stati periferici e i paesi immediatamente oltreconfine, si potrebbe fare qualche passo in avanti, ad esempio interrompendo il finanziamento di picchiatori in divisa, attivando un sistema di monitoraggio alle frontiere o quantomeno sottraendoci, come Italia, alla prassi dei respingimenti automatici, anche di minori e richiedenti asilo.
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Durante la missione abbiamo raccolto molte, troppe testimonianze di migranti, anche minorenni, respinti nei pressi di Trieste, senza alcuna valutazione della condizione di rifugiati.

Fermo restando che ci è difficile comprendere perché la ricerca di una vita migliore debba essere concessa a chi fugge dalle bombe e non anche a chi fugge dai morsi della fame, non possiamo che constatare che con il Patto sulla Migrazione la Commissione Europea stia andando nella direzione diametralmente opposta a quella sperata: verso un coronamento dell’esternalizzazione delle frontiere e dei cordoni di hotspot ai confini, dove operare selezioni sommarie di chi ha diritto a una seconda opportunità e di chi, invece, deve fare dietrofront.