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Bosnia: i migranti sono più vulnerabili all’infezione nonostante la quarantena

Anja Vladisavljevic e Danijel Kovacevic, Balkan Insight - 23 marzo 2020

Reception camp Bira near the town of Bihac. Photo: BIRN

Le strade di Banja Luka, la città principale della parte a prevalenza serba della Bosnia denominata Repulika Sprska, sono quasi vuote. La paura di contrarre il coronavirus induce la maggior parte delle persone a restare in casa.

Ma alcune persone non possono fare lo stesso, perché dalla loro casa sono fuggite, e quella casa si trova a migliaia di chilometri di distanza dalla Bosnia.

Non molto lontano dalla stazione dei treni di Banja Luka, BIRN incontra Feroz, un migrante dall’Afghanistan, e un suo amico del Marocco.

Ho trascorso quasi tutto l’inverno in una tenda nella stazione di Tuzla [Bosnia orientale], ma non posso più farlo. Andrò a Bihac [vicino al confine croato] e proverò ad entrare in Croazia”, ha detto Feroz.

Ha sentito parlare del coronavirus, ma non ha paura. Dice che non ha saputo nulla della dichiarazione dello stato d’emergenza in Bosnia Erzegovina.

Nella Republika Srpska sono stati confermati, giovedì, 29 casi di coronavirus, e 23 di essi sono a Banja Luka.

Il Paese ha introdotto misure d’emergenza per prevenire la diffusione della malattia. Tutti i ristoranti e i bar sono chiusi, restano aperti solo i negozi di alimentari e le farmacie.

Alle persone viene ricordato quotidianamente di attenersi alle regole di igiene personale, di evitare assembramenti pubblici e di non lasciare le proprie case se non per motivi urgenti.

Feroz, che ha lasciato l’Afghanistan tre anni fa, è preoccupato che questo possa complicare il suo viaggio verso la sua destinazione finale prescelta, la Germania.
C’erano molti ammalati nelle tende a Tuzla, ma non credo fosse il corona[virus]”, ha detto.

Restrizioni alla libertà di movimento

Reception camp Bira near the town of Bihac. Photo: BIRN
Ci sono circa 7500 immigrati registrati in Bosnia Erzegovina. Per almeno 2500 di questi, non c’è posto nei centri d’accoglienza temporanea creati dalle autorità.
Mercoledì il governo del cantone di Sarajevo, che include la capitale bosniaca e diverse cittadine e paesi nei dintorni, ha imposto restrizioni agli spostamenti dei migranti e ha ordinato di tenerli nei centri di accoglienza temporanea.

Poiché la capienza dei centri di accoglienza temporanea già esistenti non sarà sufficiente ad accogliere tutti i migranti che si trovano e si spostano all’interno del cantone di Sarajevo, il governo darà subito alle autorità locali il compito di creare un ulteriore centro di accoglienza temporanea (edificio, tendopoli, etc.) nella regione” , ha annunciato il governo del cantone di Sarajevo in un comunicato stampa.

Il cantone di Una-Sana, nella parte occidentale del Paese, vicino al confine con la Croazia, è stato quello più colpito dalla crisi migratoria. In aggiunta, martedì è stato confermato il primo caso di coronavirus in quella zona.

Di conseguenza, le unità di crisi del cantone di Una-Sana hanno emesso lunedì l’ordine di impedire completamente i movimenti dei migranti fuori i centri di accoglienza temporanea in cui vivono.

A Banja Luka, Feroz e il suo compagno marocchino non sapevano che a Bihac, dove avevano intenzione di andare, fossero entrate in vigore misure che proibiscono il movimento dei migranti. Hanno detto che se ne preoccuperanno quando arriveranno là.

I migranti stanno negli squat senza supervisione

Migrants and refugees in front of the reception camp Bira near the town of Bihac. Photo: BIRN
Fino ad adesso non sono stati segnalati casi con sintomi da coronavirus nei centri di accoglienza temporanei per migranti in Bosnia Erzegovina, a quanto dice l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM).

Nei centri di accoglienza si stanno mettendo in atto misure preventive in cooperazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il Consiglio Danese per i Rifugiati (DRC) e l’Istituto per la Salute Pubblica del cantone di Sarajevo”, ha detto a BIRN Edita Selimbegovic, una funzionaria addetta all’informazione pubblica all’IOM.
Selimbegovic ha aggiunto che al momento, all’interno dei centri di accoglienza, il personale medico è sufficiente.

Ma i migranti che vivono negli squat o in strada, invece che nei centri di accoglienza temporanei, sono un’altra questione. Una gran parte di loro si trova a Tuzla, nella Bosnia orientale, e nella parte occidentale del Paese, nel cantone di Una-Sana, vicino alla Croazia.

Non abbiamo il posto per accogliere adeguatamente tutti i migranti che vivono al di fuori dei centri di accoglienza temporanei, né i mezzi per monitorarli per evitare che si infettino”, ha detto Selimbegovic.

La costruzione di una tendopoli nell’area “Lipa”, tra Bihac e Bosanski Petrovac è iniziata sabato, e dovrebbe accogliere i migranti e i rifugiati che vivono per strada.

Abbiamo ricevuto il supporto del Ministero per la Sicurezza e del Governo Federale e abbiamo iniziato immediatamente ad allestire una tendopoli. Lo scopo primario di tutto quello che facciamo è prevenire un’epidemia e una crisi sanitaria in città, ma anche trovare un’accoglienza più umana per queste persone” ha detto sabato il sindaco di Bihac, Suhret Fazlic.

IPSIA, una ONG italiana che lavora in Bosnia Erzegovina dal 1997 e adesso aiuta i migranti e i rifugiati, aveva rilevato il rischio che i migranti che vivevano negli squat e nei campi improvvisati sarebbero potuti finire a vivere in condizioni pericolose.

I migranti all’interno dei campi non capiscono cosa stia succedendo, al momento sono più confusi che arrabbiati” ha detto ISPIA a BIRN.

I migranti che stanno tentando di raggiungere i Paesi dell’UE non sanno che le restrizioni di movimento per prevenire il coronavirus sono applicate anche negli altri Paesi, ha aggiunto ISPIA.

I migranti non sanno nemmeno che anche se arrivano in Slovenia o in Italia non possono muoversi liberamente all’interno di questi Paesi, sappiamo che molti sono bloccati a Trieste [in Italia] e al momento i centri di accoglienza sono pieni o in quarantena anche lì” ha detto.

Nel frattempo la polizia di frontiera bosniaca ha avvertito che l’afflusso di migranti potrebbe presto aumentare.

In primis fa più caldo, e poi c’è il fatto che la Turchia ha aperto i confini [così che i migranti possano partire per l’UE]”, ha detto a BIRN Franka Vican, portavoce della polizia di frontiera.

Non abbiamo abbastanza forze di polizia o mezzi tecnici per controllare il confine. La polizia di frontiera ha 401 poliziotti in meno per svolgere le sue normali attività. Nelle circostanze straordinarie in cui ci troviamo al momento, servono altri 1200 poliziotti per controllare efficacemente il confine bosniaco” ha aggiunto Vican.

“Nessuno è al sicuro finché non siamo tutti protetti”

Reception camp Bira near the town of Bihac. Photo: BIRN
Mercoledì un gruppo di attivisti coinvolti nel Gruppo di Solidarietà Transbalcanica ha pubblicato una lettera aperta con circa 500 firme, sollecitando l’Unione Europea e i Paesi della regione a prendersi cura dei rifugiati e dei migranti che sono “bloccati nei nostri Paesi”.

Hanno denunciato che al momento ci sono decine di migliaia di rifugiati e migranti nei Balcani – alcuni di loro all’interno di centri d’accoglienza ufficiali, ma “un alto numero di persone rimane fuori dal sistema, sopravvivendo grazie all’aiuto della popolazione locale e il supporto che viene dato loro dai volontari che operano nella regione”.

Con il dilagare del coronavirus, la situazione di rifugiati e migranti “sta diventando ancora più difficile e richiede un’azione immediata delle autorità responsabili – degli attori locali e internazionali – e solidarietà da parte di tutti noi” hanno detto.

Questo ci viene richiesto come segno di semplice umanità così come nella logica della tutela della salute pubblica, perché nessuno è al sicuro finché non siamo tutti protetti” conclude la loro lettera.

Per quanto riguarda Feroz, il migrante afgano che al momento vive a Banja Luka, egli insiste nel continuare il suo viaggio verso la Germania se potrà – qualunque cosa accada con il coronavirus.