Vita dura per i lavoratori immigrati che hanno a che fare con le questure ingolfate dal lavoro per i permessi di soggiorno – un po’ tutte. La storia di un lavoratore tunisino di Campi Bisenzio (Firenze) impiegato con contratto a tempo indeterminato dal `95 in un’azienda chimica, è esemplare. Ibrahim (nome di fantasia) voleva rinnovare il suo permesso di soggiorno come comanda la legge Bossi-Fini: sessanta giorni prima della scadenza. Siamo nell’ottobre 2003. La questura gli dice: torna più tardi, troppo lavoro. Cosicché passa la scadenza stabilita per legge, ma lui è tranquillo: glielo ha detto la questura. Dopo qualche giorno ottiene il famoso cedolino, testimonianza del rinnovo in corso. Però, passano i mesi: il lavoro, negli uffici, è tanto. L’azienda si spazientisce, d’altronde la legge prevede l’arresto per il datore di lavoro che impiega cittadini extracomunitari non in piena regola, e lo sospende. Lui protesta, appoggiato dalla Filcea Cgil: il problema è della questura, non suo. L’Unione industriali interpella quindi la Direzione provinciale del lavoro che risponde: il lavoratore va sospeso, così dice la legge. In attesa del rinnovo, a cui aveva diritto, Ibrahim non ha percepito lo stipendio né ha maturato il dovuto tfr.
da Il Manifesto del 7 aprile 2004
Bossi/Fini 2: Questura lenta? Sospeso. Se a discriminare è la legge! di Cinzia Gubbini
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