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da La Gazzetta di Reggio Emilia del 19 giugno 2003

Bossi-Fini, la «tangente» sul permesso

Berlusconi assicura che la legge Bossi-Fini sta dando i suoi frutti. Ma a guardarli bene, questi frutti, non sembrano affatto buoni. Lo sportello allestito dal laboratorio Aq16 nell’ambito del progetto Meltingpot di assistenza agli stranieri, assistito da contributi della Regione Emilia Romagna renderà noti questa sera, in un dibattito pubblico, i risultati di una prima indagine sulle regolarizzazioni a Reggio Emilia. Il primo risultato che salta agli occhi è che quasi tutti i lavoratori – il 92% dei circa 200 intervistati – hanno dovuto pagare per essere messi in regola.

Dei circa 200 lavoratori che si sono rivolti allo sportello del Laboratorio Aq16, una quarantina si è già vista rigettare la domanda di regolarizzazione.
«Delle ottomila domande di regolarizzazione presentate nella nostra provincia – spiega Stefano Molteni di Aq16 – la prefettura ne ha esaminate finora 3.500 circa. E finora, i provvedimenti di rigetto della richiesta di regolarizzazione sono stati circa 170».

I rigetti.
L’aspetto più interessante della questione dei rigetti riguarda i motivi: «Nella quasi totalità dei casi – spiega Molteni – la questura non ha concesso il nulla-osta per problemi… del datore di lavoro». In pratica, la domanda viene rigettata perché il datore di lavoro ha dei precedenti penali. La maggior parte dei rifiuti, manco a dirlo, riguarda il settore dell’edilizia. «Questo aspetto legato ai precedenti penali del datore di lavoro è quantomeno paradossale, soprattutto se si considera che il lavoratore si vede rigettata la domanda ma non sa perché». Il meccanismo della regolarizzazione è infatti questo: dopo aver ricevuto le richieste (e all’atto della consegna il lavoratore ha ricevuto il famoso cedolino che gli vale come permesso provvisorio), il ministero sdoppia la pratica inviandola sia alla questura sia alla prefettura. Alla prefettura la pratica verrà istruita solo dopo che dalla questura sarà arrivato il nulla-osta. Per una strana idea del legislatore, quando la domanda viene accolta, la comunicazione arriva sia al datore di lavoro sia al lavoratore, mentre nel caso la domanda venga respinta, l’unico a saperlo è il datore di lavoro, «che quasi mai, per ragioni anche comprensibili si prende la briga di spiegare al suo lavoratore perché è stata rigettata la domanda di regolarizzazione».

Gli intermediari.
Invero, questi casi in cui la richiesta si arena sui precedenti penali del datore di lavoro, non sono che una parte della ricerca condotta da Aq16. In molti casi questo problema è stato aggirato. Dei 200 lavoratori stranieri in corso di regolarizzazione che il Laboratorio ha intervistato, il 96,83% ha ammesso di aver istruito le pratiche per la regolarizzazione con un prestanome, un intermediario, insomma un ‘altra persona rispetto alla ditta in cui effettivamente prestava la sua opera.

Tutti hanno pagato.
Ma il dato più sconvolgente della ricerca riguarda il ricatto a cui quasi tutti i lavoratori intervistati hanno dovuto sottostare. Quasi tutti i lavoratori hanno pagato per essere regolarizzati. Si va da una sorta di tariffa politica, pari circa a 800 euro (il prezzo pagato dal 9,52% degli intervistati) ai 9.000 euro che l’1,59% dice di aver dovuto sborsare.
La media è comunque quella che va dai 2.000 ai 3.000 euro.
Spiega l’avvocato Vainer Burani: «Sono stati principalmente tre i metodi che abbiamo riscontrato. Il primo: il datore di lavoro trattiene direttamente i soldi dalla busta paga. In pratica, i 1.000 euro mensili diventano 500. Quei 500 euro che mancano, dice il datore di lavoro, vanno a coprire i contributi. Peccato che in molti casi, l’Inps non abbia ancora istruito la pratica per cui quei soldi restano nelle tasche dei datori di lavoro».
Ma c’è anche chi questi contributi li paga, sia pure con il trucco: «Alcuni dei nostri lavoratori si ritrovano buste paga con un numero di ore nettamente inferiore rispetto a quelle lavorate effettivamente. Un bel risparmio per il datore di lavoro che paga contributi infimi».
Vi è poi il caso – diffusissimo in edilizia – del lavoratore che è riuscito a chiedere la regolarizzazione grazie a un intermediario. I manovali reclutati in nero nell’edilizia vengono pagati circa 60 euro al giorno, arrivando a uno stipendio mensile di circa 1.400 euro.
Peccato che l’intermediario gliene chieda 800 per averli «aiutati» nella regolarizzazione. Così, al muratore restano 600 euro. Pagati in nero, ovvero senza contributi.