Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Brevi note sulla dichiarazione di nascita ed il riconoscimento dei figli da parte di genitori stranieri non regolarmente soggiornanti

a cura dell'Avv. Dario Belluccio

La Direttiva dell’Assessorato alle Politiche della Salute della Regione Puglia, prot. 24/624/SP del 28.09.2009 – allo stesso modo della precedente nota assessorile della Regione Piemonte emanata in materia il precedente 11.09.2009 – fornisce indicazioni in ordine alla dichiarazione di nascita ed al riconoscimento del figlio naturale a seguito della modifica dell’art. 6, comma 2, D.Lgs. 286/98 (T.U. Immigrazione), modificato ad opera della L. 94/2009.
Prima di entrare nel merito delle citate Direttive regionali è opportuno premettere in che modo la nuova legislazione ha inciso sulla dichiarazione di nascita e sul riconoscimento dei figli naturali da parte dei cittadini stranieri non regolarmente soggiornanti in Italia.

Ovviamente stiamo trattando di atti che concernono l’esercizio dei diritti fondamentali delle persone, in quanto esseri umani, indipendentemente dalla regolarità o meno del soggiorno, per cui, a parere di chi scrive, qualsiasi irragionevole limitazione alla formazione degli stessi dovrebbe ritenersi illegittima.

La nuova formulazione dell’art. 6, co. 2, T.U. Immigrazione stabilisce che il cittadino straniero non regolarmente soggiornante, “fatta eccezione per i provvedimenti riguardanti attività sportive e ricreative a carattere temporaneo, per quelli inerenti all’accesso alle prestazioni sanitarie di cui all’art. 35 e per quelli attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie, i documenti inerenti al soggiorno di cui all’art. 5, comma 8, devono essere esibiti agli uffici della pubblica amministrazione ai fini del rilascio di licenze, autorizzazioni, iscrizioni ed altri provvedimenti di interesse dello straniero comunque denominati”.
La maggiore problematicità delle nuove disposizioni, per altro, deriva da ciò: sempre con la L. 94/2008, è stato introdotto in Italia il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato (art. 10 bis, D.Lgs. 286/98, relativamente al quale già è stata sollevata questione di legittimità costituzionale), con la conseguenza giuridica che qualsiasi pubblico ufficiale che venga a conoscenza di tale reato ha l’obbligo giuridico di segnalarlo all’Autorità giudiziaria (si veda l’art. 361 c.p.).
In sostanza, nell’intenzione del Legislatore, al fine di accedere, produrre, creare, tra l’altro, gli atti di stato civile è necessario che il cittadino straniero abbia un valido titolo di soggiorno sul territorio dello Stato (permesso di soggiorno ovvero Permesso Ce per soggiornanti di lungo periodo).
Se non lo ha e si presenta dinanzi ad un pubblico ufficiale da una parte non otterrà l’atto e, d’altra parte, sarà denunciato per il reato di ingresso e soggiorno illegale.
Conseguentemente, secondo una interpretazione letterale della norma su richiamata, anche la dichiarazione di nascita ed il riconoscimento del figlio di cittadini stranieri non regolarmente soggiornanti necessiterebbe di un valido titolo di soggiorno da parte dei genitori naturali. Differentemente non potrebbero essere fatti ed il cittadino straniero non in regola sarebbe denunciato.
La norma è stata criticata da più parti e per diverse ragioni.
Per quanto riguarda la specifica questione di cui si sta scrivendo, pare abbastanza evidente che una interpretazione letterale della norma su richiamata sembra in insanabile contrasto sia con la Costituzione italiana (artt. 2, 3, 31, 117 Cost.) sia con le norme internazionali a tutela della famiglia e dei minori, innanzitutto con la Convenzione sui diritti del fanciullo, resa a New York il 20 novembre 1989 e ratificata in Italia con la L. 176/1991 (ad es. artt. 2, 7, 10, 16, 18, 19 etc.).
Lo stesso articolo del T.U. Immigrazione, peraltro, entra in contrasto con altre norme dell’ordinamento giuridico italiano. Si pensi, per fare solo un altro esempio, all’art. 566 c.p. (“Supposizione o soppressione di stato”) secondo il quale “Chiunque fa figurare nei registri dello stato civile una nascita inesistente è punito con la reclusione da tre a dieci anni.
Alla stessa pena soggiace chi, mediante l’occultamento di un neonato, ne sopprime lo stato civile”.

Il paradosso creato dalle nuove norme, letteralmente interpretate, comporterebbe che lo straniero non regolarmente soggiornante sarebbe costretto o a fare la dichiarazione di nascita ovvero il riconoscimento esponendosi alla denuncia del pubblico ufficiale relativamente al nuovo reato di ingresso e soggiorno illegale (art. 10 bis, T.U. Immigrazione), ovvero – al fine di evitare la ora citata denuncia – a non fare tale dichiarazione esponendosi, per converso, alla violazione del più grave delitto previsto dall’art. 566 c.p.
Il vero e proprio corto-circuito legislativo creato dalla L. 94/2009, anche in questo campo, è evidente e, si ritiene, verrà prima o poi portato all’attenzione della Corte costituzionale.

Le Regioni su indicate hanno dato una lettura della nuova norma che risulta utile ed interessante almeno sotto due punti di visti:
1) da un lato si afferma che, facendo riferimento l’art. 6, co. 2, T.U. Immigrazione ai “provvedimenti di interesse dello straniero” la stessa norma esclude la possibilità di essere applicata alla dichiarazione di nascita e riconoscimento del figlio. Tali dichiarazioni, essendo di interesse non solo del genitore straniero quanto anche del figlio oggetto del provvedimento e, comunque, di un interesse pubblico generale, esulerebbero dalla nuova formulazione del D.Lgs. 286/98;
2) d’altro lato (e questo pare maggiormente significativo, almeno in una fase di emergenza quale quella creata da questi contrastanti interventi legislativi) si ricorda la possibilità di operare la dichiarazione di nascita e di riconoscimento anche presso la struttura sanitaria in cui è nato il bambino, ovvero a mezzo di un procuratore speciale.
Tali ultime possibilità, infatti, sono previste dal D.P.R. 396/2000 (“Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile”). Esso, all’art. 30, co. 1, stabilisce che “La dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l’eventuale volontà della madre di non essere nominata”.

In questo modo si ricorda, innanzitutto, la possibilità (per tutti, quindi anche per i genitori stranieri non regolarmente soggiornanti) di rendere la dichiarazione di nascita a mezzo di procuratore speciale, ovvero direttamente facendola fare dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che abbia assistito al parto (art. 30, co. 1. D.P.R. 396/2000).
Quindi, si rende edotta la moltitudine migrante della possibilità di procedere, oltre che alla dichiarazione di nascita anche al riconoscimento del figlio attraverso la stessa struttura sanitaria.
La base giuridica di tale ultima possibilità è data dallo stesso D.P.R. 396/2000. Ed, infatti, l’art. 30, co. 4, prevede che “La dichiarazione (di nascita, Ndr) può essere resa, entro dieci giorni dalla nascita, presso il comune nel cui territorio è avvenuto il parto o in alternativa, entro tre giorni, presso la direzione sanitaria dell’ospedale o della casa di cura in cui è avvenuta la nascita. In tale ultimo caso la dichiarazione può contenere anche il riconoscimento contestuale di figlio naturale e, unitamente all’attestazione di nascita, è trasmessa, ai fini della trascrizione, dal direttore sanitario all’ufficiale dello stato civile del comune nel cui territorio è situato il centro di nascita o, su richiesta dei genitori, al comune di residenza individuato ai sensi del comma 7, nei dieci giorni successivi, anche attraverso la utilizzazione di sistemi di comunicazione telematici tali da garantire l’autenticità della documentazione inviata secondo la normativa in vigore”.
Tale possibilità è molto rilevante in quanto, da un lato permette di non incorrere nel reato di soppressione di stato previsto dall’art. 566 c.p. e, d’altro lato, non espone il dichiarante ad alcun obbligo di presentazione del titolo di soggiorno in quanto tali atti sarebbero formati all’interno delle strutture sanitarie (pubbliche o private non importa). Come effetto ne deriverebbe l’applicazione dell’art. 35, co. 5, T.U. Immigrazione (“L’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano”) e comunque la impossibilità di richiesta del titolo di soggiorno da parte del pubblico ufficiale ivi addetto (ex art. 6, co. 2, nuova formulazione, T.U. Immigrazione). In secondo luogo si indica la possibilità, sia pure residuale, di compiere tali atti e dichiarazioni a mezzo di procuratore speciale e, quindi, senza comparire personalmente dinanzi al pubblico ufficiale e dovere mostrare il titolo di soggiorno.

Le soluzioni adottate dalle Regioni Piemonte e Puglia sono sicuramente utili, soprattutto se di esse verrà data ampia comunicazione. In ogni caso si deve sottolineare che tali soluzioni possono essere reclamate ed ottenute in ogni parte d’Italia, dato che si tratta di applicare la legislazione nazionale e non una legislazione territorialmente limitata.
E’ evidente, tuttavia, che non si tratta di soluzioni definitive rispetto a vicende (la disciplina dell’immigrazione e la formazione di atti di stato civile) che non rientrano nella competenza regionale quanto in quella statale. Le nuove norme dettate dalla L. 94/2009 costituiscono un grave vulnus nell’ordinamento giuridico italiano, colpendo anche penalmente il cittadino immigrato in sé ed indipendentemente dalla sua condotta. Inoltre queste nuove norme si sovrappongono ad una legislazione già pesantemente provata, nel corso degli anni, da continui quanto inopportuni interventi in materia di immigrazione comunitaria e non comunitaria, con l’ulteriore conseguenza di non permettere quello che dovrebbe essere il normale processo di adattamento della realtà sociale ed amministrativa al quadro giuridico, e viceversa.
Le questioni relative al riconoscimento dei figli ed alle dichiarazioni di nascita, come d’altronde tante altre, non possono rischiare di provocare, nemmeno in un caso, uno stato di “abbandono legale” del figlio ovvero l’apertura di una procedura di adozione per un bambino che abbia i suoi naturali genitori consapevoli e capaci di accudirlo e farlo crescere in un ambiente sano e rispettoso dei suoi diritti. Vengono coinvolti, nelle derive securitarie cui oramai anche i più progressisti sono portati, interessi e diritti della persona umana tutelati al massimo grado formale.
Al riguardo si spera, occorre ripetere, che tali ed altre questioni vengano portate quanto prima all’attenzione della Corte costituzionale o, meglio ancora, che sia affrontate politicamente a partire dalla abrogazione del reato di ingresso e soggiorno irregolare.
Nel frattempo non può che ricordarsi essere indubbio che l’interpretazione delle norme su richiamate, sistematicamente interpretate, debba essere data in conformità alla Costituzione ed alle norme internazionali ratificate (il principio, oltre che essere quasi univocamente ribadito dalla dottrina – in particolare da V. Onida e Perlingieri – si ritrova in numerosi provvedimenti della Corte costituzionale, tra cui ord. 28.11.1994, n. 410).
A parere di chi scrive, tuttavia, pur con ogni sforzo non solo interpretativo quanto anche di immaginazione, queste norme sono manifestamente incostituzionali e contrari a principi di diritto internazionale convenzionalmente riconosciuti.

Avv. Dario Belluccio

Vedi anche:
Nota dell’Assessorato tutela della Salute e Sanità della Regione Piemonte, prot. 1772/UC/SAN del 11.09.2009
Direttiva dell’Assessorato alle Politiche della Salute della Regione Puglia, prot. 24/624/SP del 28.09.2009